Tunisi, le dieci del mattino di un giorno storico. Il giorno delle prime elezioni libere dopo cinquantaquattro anni di dittatura e di plebisciti dall’esito scontato. Nella avenue Habib Bourghiba il via vai è frenetico. Alcune auto espongono la bandiera del paese e suonano il clacson per celebrare quella che si annuncia come una giornata di festa nazionale.
Per la maggior parte dei tunisini, infatti, il 23 ottobre 2011 rappresenta la seconda vittoria, dopo il 14 gennaio, di un popolo pronto a difendere con coraggio e determinazione le prerogative della rivoluzione. Una rivoluzione che attendere di raccogliere i suoi frutti dopo la designazione dei 217 membri dell’assemblea costituente, a cui competono oltre cento partiti politici e circa settecento liste indipendenti. Spetterà all’assemblea, legittima espressione della volontà popolare, nominare il nuovo governo, gettare le fondamenta della Tunisia democratica e scardinare gli ingranaggi di un regime autoritario, che i vari governi provvisori hanno preferito (o forse dovuto?) ignorare.

Superata l’imponente porte de France, i vicoli della medina sono insolitamente silenziosi e deserti. Chiusi i negozi del suq, i muri bianchi e azzurri del centro storico restituiscono agli occhi del passante i manifesti elettorali e le foto dei candidati, rimasti nascosti dalle merci ammassate in ogni angolo durante la settimana lavorativa. Le botteghe non apriranno fino al tardo pomeriggio, quando le code ai seggi saranno smaltite e gli abitanti della città vecchia torneranno alle proprie attività, in attesa dei primi risultati resi noti, forse, durante la notte.