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domenica 29 maggio 2011

Testimonianza dal Marocco che non cede…

“Non molleremo – mamfakinch – porteremo la nostra protesta fino in fondo”, stanno intonando gli attivisti marocchini da Tangeri a Agadir, proprio in questo momento, mentre per la terza domenica consecutiva i manganelli della polizia si abbattono con violenza sulle loro braccia (e non solo), levate pacificamente al cielo. Le proteste guidate dal Movimento 20 febbraio hanno ormai assunto una cadenza settimanale, dappertutto nel paese. I giovani dissidenti hanno deciso in questo modo di sfidare un regime che li reprime apertamente sulle strade e li condanna violentemente a parole attraverso i media (cercando in tutti i modi di provocare una frattura tra le forze politiche e sociali che li appoggiano). “Il movimento si è radicalizzato, vittima degli estremisti islamici e di sinistra che vogliono gettare il paese nel caos”. E’ questa la linea con cui il governo giustifica l'uso sconsiderato della forza che sta facendo, una linea difesa a pieno ritmo dalla stampa nazionale. All’evidenza dei fatti però, sono solo le forze di polizia e chi li guida alla carica di cittadini inermi ad “essersi radicalizzati”. Viene quindi da domandarsi chi, in realtà, stia cercando di “gettare il paese nel caos”. Per il momento, gli attivisti di Giustizia e Carità (associazione islamica non riconosciuta dal regime) e di Annaj Addimocrati (piccolo partito della sinistra radicale che da sempre boicotta le elezioni) restano placidamente al fianco dei dissidenti internauti, vittime della stessa repressione. Tuttavia, se gli arresti e la “guerra aperta” dichiarata dal regime continuerà con questo ritmo, c’è effettivamente da chiedersi per quanto i manifestanti continueranno a scendere in strada, fronteggiando gli anti-sommossa e i poliziotti in tenuta civile (novità dell’ultima ora!) al grido “la nostra marcia è pacifica, non abbiamo né pietre né coltelli”.

Quartiere Sbata, Casablanca, 29 maggio 2011

venerdì 27 maggio 2011

Gioventù ribelle e giochi di potere: quel 23 marzo a Casablanca…

La rivista Zamane (mensile di storia in lingua francese) ha dedicato il numero di maggio ai giovani marocchini “che hanno fatto la storia”. Tra i contributi proposti, merita particolare attenzione l’articolo scritto dal professor Maati Monjib (di seguito tradotto in italiano), già ospite di (r)umori dal Mediterraneo lo scorso febbraio (vai all’intervista). Mentre i giovani del “20 febbraio” rilanciano la sfida al regime (nuove manifestazioni pacifiche sono in programma per sabato 28 e domenica 29 maggio), Monjib si sofferma sulle rivolte scoppiate a Casablanca nel lontano marzo 1965, “il primo vero indizio storico che dimostra come il Marocco abbia mal negoziato il suo patto sociale post-indipendenza”. Oggi quel “patto sociale” che vede ancora una monarchia assoluta garante della stabilità nazionale, fulcro nevralgico della vita politica ed economica del paese assieme ad una corte fatta di “consiglieri particolari” e rappresentanti di partito, è di nuovo messo in discussione. Le formazioni politiche sembrano far quadrato attorno alle “aperture democratiche” promesse dal Palazzo, e rigettano le rivendicazioni della piazza, giudicate “estremiste e sovversive”. In attesa di un nuovo fine settimana ad alta tensione (le autorità hanno già comunicato il divieto ad ogni contestazione), riportiamo alla memoria il triste ricordo di quel 23 marzo a Casablanca…


martedì 24 maggio 2011

La "domenica nera" del Marocco democratico


Attorno alle mura della medina, nella capitale...

RABAT - Premetto, questo è un post particolare, che si differenzia dalla linea seguita fin'ora dal blog. Scorrendolo, non vi troverete analisi, interviste o articoli apparsi nella stampa internazionale, ma solo il breve racconto di un testimone oculare, seguito da una sequenza di immagini e video, che cercano assieme di restituire i contenuti di una "giornata particolare". Quanto accaduto domenica 22 maggio, nelle principali città del Marocco, è la conferma per gli attivisti pro-democratici (il Movimento 20 febbraio e le organizzazioni che lo sostengono) che il regime ha gettato finalmente la maschera, dichiarando guerra alle contestatizioni e chiudendo le porte a quella "libertà di espressione" sbandierata ai quattro venti dal portavoce del governo Khalid Naciri.

domenica 22 maggio 2011

“La ricreazione è finita”

RABAT – Omar Radi, giornalista indipendente (Lakome, Les Echos, Atlantic radio) e attivista del Movimento 20 febbraio, racconta quanto successo nella capitale marocchina il 15 maggio scorso, quando i giovani dissidenti hanno lanciato l’“operazione GuanTemara” (un sit-in di protesta simbolico di fronte alla sede della polizia politica (DST), situata nella foresta di Temara, a pochi chilometri da Rabat – vai al link per maggiori informazioni su cosa succede a Temara) trovando per tutta risposta la violenta repressione della polizia. Nel corso dell’intervista, il ventiquattrenne Radi si sofferma sulla nuova strategia delle autorità (intrapresa dopo l’attentato di Marrakech) nei confronti delle contestazioni che da tre mesi agitano il paese, sul ritorno della violenza all’indirizzo di manifestanti pacifici, sulla perdita di consenso di un regime che rilancia lo spauracchio del terrorismo internazionale e del pericolo islamista per fare quadrato attorno a sé. In attesa delle manifestazioni previste per domani, 22 maggio, “si annunciano giorni oscuri per il movimento e per tutte le forze democratiche marocchine”, ricorda Omar.

Omar Radi durante una conferenza a Rabat

giovedì 19 maggio 2011

Temara, le torture nella “nuova era” marocchina

Domenica 15 maggio, il Movimento 20 febbraio ha organizzato un sit-in di protesta di fronte al centro di detenzione (clandestino) di Temara, a pochi chilometri da Rabat. Queste almeno le intenzioni dei giovani marocchini, poiché l’“operazione GuanTemara”, atto dimostrativo per chiedere la chiusura del centro illegale e l’apertura di un’inchiesta sull’insieme delle violazioni che vi sono commesse, ha scatenato la dura e immediata repressione delle forze di sicurezza. Le decine di attivisti, radunatesi di primo mattino nella periferia della capitale, sono state aggredite dagli agenti anti-sommossa, che si sono abbandonate a pestaggi e inseguimenti nelle vie del quartiere Hay Riad. Niente sit-in e nessuna inchiesta dunque, per il regime l’affaire Temara resta un tabù e i suoi scheletri devono rimanere gelosamente custoditi nell’armadio. Del resto le autorità, ignorando le numerose testimonianze degli ex detenuti che hanno invaso la rete nelle ultime settimane, continuano a smentire l’esistenza dell’oscuro luogo e lo stesso portavoce del governo, Khalid Naciri, ha ribadito domenica scorsa (mentre i manganelli colpivano i manifestanti a pochi isolati dalla sua abitazione) che “Temara è un complesso amministrativo dove lavorano regolarmente dei funzionari”.

sabato 7 maggio 2011

Abdelhak Serhane: “avete detto primavera marocchina?”

Scrittore e intellettuale di fama internazionale, Abdelhak Serhane torna a parlare della contestazione popolare che si è propagata in Marocco in seguito agli appelli lanciati dal Movimento 20 febbraio. Serhane, dopo la Lettera aperta a Mohammed VI, ribadisce la necessità di un cambiamento radicale nel paese, invita la popolazione a portare fino in fondo la sua rivoluzione, a chiudere i conti con un regime totalitario e a compiere finalmente "una decolonizzazione in ritardo di cinquant'anni". Di seguito la traduzione dell'articolo pubblicato dal settimanale marocchino TelQuel (n. 470, dal 23 al 29 aprile).

martedì 3 maggio 2011

Sahara Occidentale: né referendum né diritti umani

Come ogni anno dal cessate il fuoco firmato nel 1991 tra Marocco e Fronte Polisario, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per esaminare il rapporto del Segretario generale Ban Ki Moon e rinnovare il mandato della MINURSO (la missione ONU per l’organizzazione del referendum in Sahara Occidentale). La risoluzione 1979, approvata all’unanimità lo scorso 27 aprile dai quindici membri del Palazzo di Vetro, ha confermato la permanenza dei circa trecento effettivi già dislocati nella ex colonia spagnola (parte ad ovest del “muro di sabbia” – e mine – eretto dalle forze marocchine, parte nella zona controllata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica) fino al 30 aprile 2012. Tuttavia la realizzazione del referendum – obiettivo dichiarato della missione e primo passo verso l’autodeterminazione del popolo saharawi (nel cammino verso l’indipendenza) – non sembra più essere all’ordine del giorno.
Prevista inizialmente per il gennaio del 1992, la consultazione ha infatti subito sistematici rinvii, fino al definitivo accantonamento sopraggiunto nel 2007, quando Rabat ha sottomesso alle Nazioni Unite il suo “piano di autonomia” per il Sahara Occidentale, prontamente rifiutato dal Polisario e dal fedele alleato algerino. Il Marocco, che dal 1975 ha occupato due terzi della regione assicurandosi una annessione de facto delle “storiche province del sud”, non intende rinunciare alla propria sovranità su Laayoune, Smara e Dakhla, mentre il Fronte di stanza a Tindouf (territorio algerino) continua a sostenere la legittimità della causa indipendentista, portando a supporto delle proprie rivendicazioni la risoluzione ONU 1514 (approvata nel 1960) che riconosce “il diritto dei popoli all’autodeterminazione” e la carta fondativa dell’Unione Africana (1963) che impegna i membri a rispettare “l’intangibilità delle frontiere coloniali”.