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venerdì 27 maggio 2011

Gioventù ribelle e giochi di potere: quel 23 marzo a Casablanca…

La rivista Zamane (mensile di storia in lingua francese) ha dedicato il numero di maggio ai giovani marocchini “che hanno fatto la storia”. Tra i contributi proposti, merita particolare attenzione l’articolo scritto dal professor Maati Monjib (di seguito tradotto in italiano), già ospite di (r)umori dal Mediterraneo lo scorso febbraio (vai all’intervista). Mentre i giovani del “20 febbraio” rilanciano la sfida al regime (nuove manifestazioni pacifiche sono in programma per sabato 28 e domenica 29 maggio), Monjib si sofferma sulle rivolte scoppiate a Casablanca nel lontano marzo 1965, “il primo vero indizio storico che dimostra come il Marocco abbia mal negoziato il suo patto sociale post-indipendenza”. Oggi quel “patto sociale” che vede ancora una monarchia assoluta garante della stabilità nazionale, fulcro nevralgico della vita politica ed economica del paese assieme ad una corte fatta di “consiglieri particolari” e rappresentanti di partito, è di nuovo messo in discussione. Le formazioni politiche sembrano far quadrato attorno alle “aperture democratiche” promesse dal Palazzo, e rigettano le rivendicazioni della piazza, giudicate “estremiste e sovversive”. In attesa di un nuovo fine settimana ad alta tensione (le autorità hanno già comunicato il divieto ad ogni contestazione), riportiamo alla memoria il triste ricordo di quel 23 marzo a Casablanca…


1965, quando Hassan II ha domato i giovani marocchini

Le rivolte sanguinose del 23 e 24 marzo 1965 sono cominciate dai ragazzi di Casablanca. Ma sono stati poi i politici a negoziare con il Palazzo reale per uscire dalla crisi, con l’unico risultato di trasformare il regime in una dittatura ancor più feroce.

In origine erano semplici proteste di liceali contro il regolamento scolastico. Poi si sono trasformate in una rivolta durissima, seguita dalla più brutale repressione registrata dal raggiungimento dell’indipendenza (il professor Monjib tralascia la rivolta del Rif nel 1958-’59, circa 8 mila morti nella sola “battaglia di Al Hoceima”, ndt). E’ il 22 marzo a Casablanca, quando cominciano le prime manifestazioni degli studenti. In base alle testimonianze raccolte, il primo nucleo si forma attorno al liceo Moulay Abdellah, in boulevard Modibo Keita. Il gruppo si ingrossa rapidamente, con il sopraggiungere degli alunni del liceo Mohammed V. Le studentesse di Al Khansae non sono da meno. I raduni, che talvolta si trasformano in piccole marce verso l’avenue Mohammed V, sono assolutamente pacifici. Gli slogan denunciano la politica di esclusione voluta dal Ministero dell’Educazione. In effetti, una circolare diffusa nei giorni precedenti, vieta agli studenti con più di quindici anni di proseguire la propria formazione all’interno degli istituti superiori.

“Hassan II al rogo!”
L’indomani, 23 marzo 1965, a Casablanca comincia la repressione della polizia. Da quel momento le manifestazioni si trasformano progressivamente in violente rivolte popolari. Le sommosse contagiano altre città del paese, come Rabat e Fes, ma la reazione delle autorità è meno brutale. Operai e disoccupati raggiungono i giovani nelle strade. Il “popolino”, nel disincanto generale seguito all’euforia dei primi anni di indipendenza, conserva almeno una speranza: quella di veder un giorno i propri figli scolarizzati, per poi divenire dipendenti dello Stato e migliorare le condizioni di vita dell’intera famiglia. La decisione del governo, soprattutto per i più umili, ha il sapore di una provocazione insopportabile. Gli autobus che cercano di passare tra la folla sono presi d’assalto con lanci di pietre e poi incendiati. Le banche sono devastate e i commissariati assediati. Il 24 marzo, la rabbia popolare raggiunge il suo apice. Vengono scanditi i primi slogan contro il sovrano: “i pomodori sono troppo cari, Hassan II al rogo!”.
Tale sommossa è il primo vero indizio storico che dimostra come il Marocco, di nuovo padrone della propria sovranità grazie ad un movimento politico iniziato negli anni ’30, abbia mal negoziato il suo “patto sociale” post-indipendenza.
Ma la rivolta di Casablanca è anche l’occasione per il generale Mohamed Oufkir di dimostrare ad Hassan II che può contare sul sostegno delle Forces Armées Royales – FAR (create dal monarca, al tempo principe ereditario, assieme allo stesso Oufkir qualche anno prima, ndt). Il graduato sale su un elicottero e guida dall’alto una repressione impietosa. Lui stesso avrebbe mitragliato la folla dal velivolo, secondo alcuni testimoni. Gli arresti vanno avanti per giorni. Hassan II ne riconoscerà poi almeno duemila. Quanto al numero dei decessi, le approssimazioni e le contraddizioni ufficiali si confondono con le voci più incredibili. L’ambasciata francese, in un telegramma classificato di “massima segretezza”, stima che ci siano stati almeno quattrocento morti (millecinquecento secondo i documenti raccolti dallo storico Pierre Vermeren, ndt). E’ difficile avere cifre precise. Le vittime sono interrate dalle autorità, spesso di notte, in fosse comuni. Le famiglie che sono riuscite a recuperare i corpi dei loro cari, li inumano nella più totale discrezione. A volte, non denunciano nemmeno i decessi allo stato civile, per paura delle rappresaglie.

Casablanca, 23 marzo 1965

Un buon popolo è un popolo ignorante
Il 29 marzo, Hassan II riconosce le cause economiche e sociali della collera popolare, ma non mette in discussione i fondamenti del suo regime (plasmato dal 1961, anno della sua ascesa al trono, ndt). Al contrario, lascia trasparire il suo odio per la gioventù educata e scolarizzata. “Non c’è pericolo più grande per lo Stato dei presunti intellettuali. Sarebbe meglio avere un popolo di illetterati”, afferma in un discorso rivolto alla nazione. D’altronde, è proprio a partire dal 1965 che l’insegnamento inizia a regredire, per poi stagnare in un deprecabile analfabetismo. Il tasso di scolarizzazione supererà la soglia del 50% solo durante il “governo di alternanza” del socialista Youssoufi, vale a dire trent’anni più tardi. Come aveva predetto un khedive d’Egitto (dopo aver chiuso scuole e facoltà), “è più facile dominare un popolo ignorante che un popolo istruito”. Hassan II, in poco tempo, arriverà a chiudere l’Istituto di sociologia e antropologia di Rabat e rimpiazzerà l’insegnamento all’università della filosofia e delle scienze sociali con i dipartimenti di studi islamici.
Tornando alla Casablanca del 1965, duemila persone finiscono in tribunale. Uno degli avvocati che difendono i giovani ribelli è Abdelkrim Benjelloun, amico personale di Mohammed V (padre e predecessore di Hassan II, ndt) e, per molto tempo, suo ministro della Giustizia. E’ la prima volta, dal 1930, che un sovrano marocchino si trova così distante dai bisogni e dalle aspirazioni della gioventù nazionale e dall’elite formatasi durante la lotta per l’indipendenza. Ma Hassan II è pronto a questa eventualità. La sua prima mossa è stata quella di creare una polizia efficiente e le FAR, non più esercito nazionale ma milizia reale imbevuta dell’ideologia di Palazzo.

Dalla rivolta ai negoziati
Mentre le manifestazioni erano state organizzate – o almeno iniziate – dai giovani in aperta rottura con i partiti politici (come Mohamed Mahjoubi, Ahmed Herzenni), Hassan II sceglie di negoziare la crisi con l’Istiqlal e l’Unione Nazionale delle Forze Popolari (i due partiti usciti dal movimento nazionale, forze di massa che hanno sostenuto il sovrano alawita durante la lotta per l’indipendenza – strana (?) coincidenza con quanto sta accadendo oggi nel regno, ndt). L’Istiqlal si dimostra più furbo del fraterno nemico di sinistra. Allal El Fassi esige la dissoluzione delle due camere elette e l’organizzazione immediata di “nuove elezioni libere e autentiche” (entrambe le formazioni erano state sconfitte, inaspettatamente, nel 1963 dalla neonata creatura di regime nota come Fronte per la Difesa delle Istituzioni Costituzionali, ndt). L’UNFP sembra dar prova di maggiore moderazione. Il partito, che all’interno dei confini nazionali è diretto da Abderrahim Bouabid e Abdellah Ibrahim (mentre il suo fondatore Ben Barka si trova già in esilio, ndt), sa di essere la prima vittima nel caso di un’ascesa al potere dei militari. L’UNFP offre la sua disponibilità a partecipare ad un governo di unità nazionale, a condizione che un “contratto pubblico” stabilisca la missione di tale governo e un calendario dettagliato delle azioni da promuovere nell’immediato. Avendo boicottato il referendum costituzionale (1962, a seguito della carta costituzionale redatta e proposta dallo stesso Hassan II, ndt), l’UNFP non può appoggiare la decisione dell’Istiqlal (che non aveva boicottato il referendum) di organizzare una nuova consultazione popolare sulla base della costituzione in vigore. La formazione di Bouabid e Ibrahim sembra preferire un provvisorio ritorno al passato; vuole aprire un negoziato che non coinvolga in nessun modo le istituzioni uscite dalla costituzione del 7 dicembre 1962 (dunque il governo a guida FDIC e il parlamento). Ricominciare tutto da zero. Una delle principali rivendicazioni politiche della formazione socialista viene subito soddisfatta dal Palazzo: i dirigenti e la maggioranza dei militanti del partito, rinchiusi in prigione dopo il “complotto” del 1963, vengono graziati dal re.
Tuttavia, il sovrano non svela i progetti che ha in mente per uscire dalla crisi. I conciliaboli con l’UNFP, la soddisfazione ostentata nella stampa di regime, sembrano far credere alla nomina imminente di un governo di sinistra. I leader dell’UNFP sono ottimisti. Secondo loro ad Hassan II, che ha sperimentato tutte le combinazioni possibili dal 1960, non resta altra scelta che appoggiarsi al partito di Ben Barka. E’ “la logica della democrazia”, dichiara Abderrahim Bouabid.

Casablanca, 22 marzo 1965: l'inizio delle manifestazioni...

Nella trappola del re
In seguito si scoprirà che il vero obiettivo delle aperture monarchiche ai militanti di sinistra è quello di riportare Ben Barka all’ovile. Ma il fondatore dell’UNFP, che sa di essere sorvegliato dagli agenti di Hassan II tanto in Egitto che in Francia e in Svizzera, dove risiede occasionalmente, esige la pubblicazione nel bollettino ufficiale del regno del provvedimento di grazia nei suoi confronti. Cosa che il sovrano si rifiuta di fare. Mistero!
La maggioranza parlamentare, messa sotto pressione dagli eventi, si sfalda. Del Fronte per la Difesa delle Istituzioni Costituzionali non resta che il nome. Anche i partiti che lo compongono si vedono lacerati da scissioni interne. Il Movimento Popolare (formazione di regime a carattere rurale, ndt) soffre la contrapposizione tra il segretario generale Mahjoubi Aherdane e il presidente Abdelkrim Khatib. I ministri si dimettono, il leader del FDIC Ahmed Reda Guedira sembra più cosciente di Hassan II dei rischi che la situazione politica del paese potrebbe provocare. E’ lui stesso a ricordare pubblicamente al re che un risultato così negativo deriva dall’“applicazione malsana del regime costituzionale”. In maniera a dir poco sorprendente, il fondatore del Fronte lascia intendere in una dichiarazione a Le Figaro che la concentrazione di tutti i poteri nelle mani del sovrano è la vera fonte della crisi (ancora una volta sorprendenti analogie con l’attualità, del resto la costituzione in vigore conserva le prerogative assolutiste sancite nel testo del 1961, ndt). “Bisogna consegnare l’autorità amministrativa nelle mani del vertice politico…vale a dire del primo ministro”, afferma Guedira.
I giovani marxisteggianti che hanno preso parte alle rivolte di Casablanca gridano alla vittoria, interpretando i dissensi tra le fila monarchiche come preludio alla caduta del regime. Gli esiti saranno ben diversi. Guedira si oppone alla militarizzazione rampante delle strutture autoritarie, ma allo stesso tempo rifiuta la nomina arbitraria di un governo di sinistra da parte del re. Invita i dirigenti dell’UNFP a negoziare direttamente con il FDIC – o quello che rimane – per concertare una soluzione alla crisi sociale e di governo. Guedira critica anche la presenza nell’esecutivo di militari e ministri “politicamente irresponsabili” (i cinque “ministri di sovranità” – Interno, Esteri, Affari religiosi, Difesa e Giustizia – ancora oggi scelti e nominati direttamente dal sovrano, ndt). Purtroppo Bouabid e Ibrahim, che disprezzano questo liberale al servizio del makhzen, ne ignorano gli appelli e saltano a piedi pari nella trappola tesa da Hassan II, rifiutandsi di condannare lo stato d’assedio proclamato dal monarca sei settimane dopo le manifestazioni del marzo 1965. Per i dirigenti dell’UNFP, la sospensione delle istituzioni elette voluta da Hassan II non è che il primo passo verso la nomina di un governo di sinistra…
Con l’assassinio di Ben Barka (a Parigi) qualche mese più tardi e il rafforzamento degli apparati di sicurezza del regime, invece, il Marocco sprofonda negli anni di piombo. La spirale di repressione e violazioni si allenterà soltanto in seguito alle rivolte di un’altra generazione di giovani, cominciate con i fatti di Fes del 14 dicembre 1990 (sollevamento dei quartieri popolari soffocato nel sangue, decine di morti secondo quanto riportato da Pierre Vermeren, ndt) e proseguite con le manifestazioni pro-Iraq del febbraio 1991. Un nuovo rapporto di forza tra il popolo e il sovrano è all’orizzonte e Hassan II deciderà di allentare la sua morsa. Una nuova fase della storia del Marocco ha così potuto avere inizio.

(Maati Monjib, "1965, ou comment Hassan II a maté la jeunesse", Zamane, n. 7 - mai 2011)

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