La
lettera aperta di un ex commissario della DGST (polizia politica) marocchina -
indirizzata al Primo ministro Benkirane - riaccende l'attenzione sul centro di
detenzione di Temara, un "luogo di sevizie" di cui la classe politica
ha sempre negato l'esistenza nonostante le denunce delle ong nazionali e
internazionali.
"E' mio dovere, in
quanto ex funzionario di polizia e cittadino marocchino, rompere il silenzio
sulle violazioni dei diritti umani in Marocco e sugli atti perpetrati a Temara,
simbolo della degradazione della dignità umana",
scrive Ali El Gazi - diciannove anni trascorsi nei servizi di sicurezza e dal
2005 riparato all'estero - nella lettera pubblicata dal sito Yabiladi
il 13 gennaio scorso.
In
passato la borgata di Temara, situata qualche chilometro a sud di Rabat, era
sinonimo di pace e tranquillità. Ma il piccolo agglomerato urbano, dotato di
una graziosa stazione balneare, ha visto cambiare radicalmente la sua reputazione.
Al termine della lunga e sinuosa strada che lo costeggia si nasconde infatti,
annidato nel mezzo della foresta che cinge la capitale, un centro segreto di
detenzione che - stando alle parole del giornalista Ali Amar - "potrebbe
togliere lo scettro dell'orrore alla tristemente celebre prigione di Tazmamart
(ribattezzata "Tazmamort" dal sopravvissuto Aziz Binebine, ndt), simbolo di quegli anni di piombo
che hanno sprofondato il Marocco nella paura durante il regno di Hassan II
(1961-1999)".
Il
nome Temara, in Marocco, è divenuto nell'ultimo decennio sinonimo di sequestri,
maltrattamenti e torture. Le inchieste di Amnesty International e della FIDH
nel 2004 e il rapporto di Human Rights Watch pubblicato nell'ottobre del 2010, hanno confermato i timori di un
ritorno alle pratiche conosciute in passato. A farne le spese, come ricordano i
documenti diffusi dalle organizzazioni, sono nella maggior parte dei casi gli
islamisti locali, i sospetti di terrorismo, oltre agli indipendentisti
saharawi, ai militanti della sinistra radicale e alle vittime delle
"consegne speciali" inglesi e statunitensi ai paesi amici (tra cui il
regno alawita).
Secondo
i rapporti menzionati, in questa struttura sono transitate le vittime degli
arresti illegali, delle "sparizioni". Il loro soggiorno è durato da
pochi giorni a dei mesi, dopodiché la detenzione è stata "ufficializzata"
e i prigionieri trasferiti in un carcere regolare, in attesa di un processo
basato essenzialmente sulle confessioni estorte durante gli interrogatori.
Per
l'ex commissario El Ghazi, di conseguenza, la "nuova era" del
rispetto dei diritti e delle libertà annunciata da Mohammed VI al momento
dell'ascesa al trono (1999), e ribadita in occasione delle recenti
contestazioni, sembra ancora lontana.
"Gli sviluppi
conosciuti dal Marocco durante il 2011, la modifica della costituzione e la sua
approvazione tramite referendum oltre alle elezioni legislative di novembre,
avevano suscitato in me non poca speranza, su cui mi sono aggrappato
ingenuamente. Ma il silenzio complice dei responsabili, che continua a
circondare questa prigione segreta e le terribili azioni a cui è servita, ha compromesso
le mie aspettative di cambiamento".
Il diniego delle
autorità
Le
autorità marocchine, direttamente interpellate dai rapporti delle ong e dalle
denunce della società civile, hanno sempre negato l'esistenza di un simile
luogo "del terrore" in netto contrasto con la retorica democratica promossa
fin dalla metà degli anni novanta. La lettera dell'ex commissario ricorda le
'ispezioni' effettuate dal tribunale di Rabat (2004 e 2011), da alcuni
parlamentari e dai vertici del CNDH (il Consiglio nazionale dei diritti umani,
organismo di carattere governativo) con l'obiettivo di smentire "una
leggenda durata troppo a lungo" e di constatare che nessun locale
dell'edificio in questione è mai stato utilizzato a scopi detentivi.
"Una constatazione
ancor più sorprendente dal momento che proviene - in alcuni casi - da vecchi
detenuti politici e attivisti per i diritti umani che avevano loro stessi
subito, durante gli anni di piombo, i tormenti della detenzione e dei
maltrattamenti", è il commento di Ali El Gazi.
Nel
novembre 2011, in seguito all'interesse dimostrato dall'ONU sulla vicenda, la
delegazione marocchina aveva ribadito il suo diniego anche davanti agli esperti
del Comitato contro la tortura riunito a Ginevra.
Le
autorità continuerebbero quindi a difendere "un
segreto di Pulcinella", si legge nella missiva, e cercano in tutti i
modi di "distorcere la realtà
attraverso la disinformazione (…). Perciò mi vedo costretto a ribadire, dal
profondo della mia anima e della mia coscienza, che questo centro è esistito
veramente [così come] gli atti abominevoli che vi sono stati praticati a cui ho
sempre rifiutato di prendere parte". Stando alle parole di El Gazi,
sarebbe stato proprio questo atteggiamento refrattario, causa di ritorsioni e
minacce, ad averlo spinto a dare le dimissioni e a lasciare il paese.
Localizzato tramite
Google Earth
Le
proteste di piazza del 2011 e l'eco fornito dai militanti del Movimento 20 febbraio alla lotta contro gli abusi e l'impunità dei responsabili politici
avevano indotto la piattaforma collettiva Mamfakinch
- citizen media nato sulla scia della "primavera" locale - a rivelare
l'ubicazione esatta di questo centro (non più) segreto, tramite un video
satellitare realizzato con Google Earth.
Le
immagini hanno dimostrato come il complesso di Temara, ufficialmente sede amministrativa
della Direction pour la Surveillance du Territoire (DST, dal 2003 divenuta
DGST), non poteva essere considerato - già a primo impatto - un semplice
assembramento di uffici. "Si estende su una superficie di diversi ettari
ed è cosparso di antenne satellitari. Dai fotogrammi si possono osservare anche
altri tipi di antenne e perfino una sorta di pista a due corsie che permette l'atterraggio
di aerei di piccole dimensioni, genere Cessna", spiegava allora il giornale
elettronico Demain online.
Quello
che il video non ha potuto mostrare, invece, è l'esistenza di prigioni
sotterranee - adibite a camera di tortura - che ritornano nelle descrizioni
fornite dai numerosi 'ospiti', marocchini e stranieri, transitati in questo
luogo. Menzioniamo in proposito - oltre alle deposizioni diffuse da Amnesty,
HRW e FIDH - le testimonianze direttamente raccolte degli ex detenuti Kassim Britel, Rida Benothmane, Fatiha Mejjati e di Jessica Zanchi (moglie di Younes Zarli, tuttora in stato di detenzione).
"La tortura in
subappalto"
Temara,
aggiunge nel testo l'ex commissario El Gazi, è servita anche da base d'appoggio
ai servizi stranieri per gli interrogatori sui sospetti appartenenti ad
al-Qaida catturati in Afghanistan, in Pakistan o in Iraq. In
questo centro, in altre parole, per estirpare
confessioni si è fatto ciò che le legislazioni occidentali non permettono sul
suolo americano o europeo.
Secondo
un rapporto del Parlamento UE, incaricato dell'inchiesta sui voli segreti CIA,
l'intelligence statunitense avrebbe effettuato circa quaranta scali in Marocco
dal 2001. Diversi i casi documentati, tra cui quello di Mohamed Binyam, un
inglese di origine etiope arrestato in Pakistan nel 2002 prima di essere
condotto nel regno con una extraordinary
rendition.
Primo
detenuto di Guantanamo ad essere liberato sotto la presidenza Obama - dopo
quattro anni di calvario, tutte le accuse di affiliazione terroristica a suo
carico sono cadute di colpo - Binyam ha descritto la sua permanenza a Temara.
"E' stata un'esperienza che mai avrei potuto immaginare, nemmeno nei miei
incubi più tremendi (…). Non riesco ancora a credere di essere stato sequestrato,
trasportato da un paese all'altro e torturato in modo barbaro, il tutto sotto
la supervisione degli Stati Uniti", dichiarava al rientro in Inghilterra.
"Il momento peggiore è stato quando ho capito, mentre ero in Marocco, che
i miei aguzzini stavano ricevendo indicazioni e informazioni sul mio conto dai
servizi inglesi".
Anche
questa, quindi, non è più una novità. Del resto, si domanda Ali El Gazi, "lo stesso Mustapha Ramid (deputato
del partito islamico PJD, oggi ministro della Giustizia, nda) non aveva dichiarato un
giorno urbi et orbi che in questo centro si praticava la tortura in subappalto
per conto di altri paesi? Non aveva annunciato di aver raccolto già numerose
testimonianze in proposito?".
Oggi
che il PJD è al governo, quale fine abbiano fatto la documentazione e i buoni
propositi proclamati da Ramid non si sa, continua l'ex commissario: "ora che il Ministero della Giustizia è
nelle mani del vostro partito e che la nuova costituzione vi riconosce maggiori
poteri, non avete più scuse né giustificazioni per rimanere insensibili e
rifiutare l'apertura di un'inchiesta seria e approfondita".
L'operazione 'GuanTemara'
Sul
finire della lettera El Gazi non ha mancato di sottolineare "il coraggio e la perseveranza dei
giovani e meno giovani del Movimento 20 febbraio, che hanno sfidato i divieti e
le minacce cercando di organizzare il 15 maggio (2011, nda) un sit-in nella
foresta di Temara di fronte alla sede della DST".
In
quell'occasione i dissidenti avevano lanciato 'l'operazione GuanTemara', volendo mettere in evidenza - con questo slogan - le
similitudini tra la prigione marocchina e il carcere statunitense in terra
caraibica per quanto riguarda il trattamento riservato ai detenuti. L'obiettivo
dell'atto dimostrativo era aumentare la pressione pubblica per chiedere la
chiusura del centro e l'incriminazione dei responsabili delle violazioni
commesse. Ma gli attivisti del 20 febbraio non riuscirono nemmeno ad
avvicinarsi alla struttura e furono dispersi violentemente dalle cariche della
polizia (in alcuni casi si verificarono veri e propri pestaggi anche all'indirizzo
dei giornalisti presenti).
"La storia farà il
suo corso e saprà riconoscere la determinazione di questi giovani che non si
sono persi d'animo nonostante la repressione subita",
conclude El Gazi, citando l'esempio dei terribili bagni penali dell'epoca di
Hassan II che, per lungo tempo tenuti nascosti all'opinione pubblica, hanno
finito per entrare a far parte della memoria collettiva.
Tuttavia,
ricorda il testo della missiva, a Tazmamart come a Temara "gli autori degli abusi sono rimasti ai loro posti
o hanno addirittura beneficiato di una promozione. Quanti anni o decenni
bisognerà attendere prima che venga stabilita la loro responsabilità e che sia
fatta giustizia?".
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