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giovedì 17 gennaio 2013

Tortura/Marocco: nuove rivelazioni sull'oscuro centro di Temara

La lettera aperta di un ex commissario della DGST (polizia politica) marocchina - indirizzata al Primo ministro Benkirane - riaccende l'attenzione sul centro di detenzione di Temara, un "luogo di sevizie" di cui la classe politica ha sempre negato l'esistenza nonostante le denunce delle ong nazionali e internazionali.




"E' mio dovere, in quanto ex funzionario di polizia e cittadino marocchino, rompere il silenzio sulle violazioni dei diritti umani in Marocco e sugli atti perpetrati a Temara, simbolo della degradazione della dignità umana", scrive Ali El Gazi - diciannove anni trascorsi nei servizi di sicurezza e dal 2005 riparato all'estero - nella lettera pubblicata dal sito Yabiladi il 13 gennaio scorso.

In passato la borgata di Temara, situata qualche chilometro a sud di Rabat, era sinonimo di pace e tranquillità. Ma il piccolo agglomerato urbano, dotato di una graziosa stazione balneare, ha visto cambiare radicalmente la sua reputazione. Al termine della lunga e sinuosa strada che lo costeggia si nasconde infatti, annidato nel mezzo della foresta che cinge la capitale, un centro segreto di detenzione che - stando alle parole del giornalista Ali Amar - "potrebbe togliere lo scettro dell'orrore alla tristemente celebre prigione di Tazmamart (ribattezzata "Tazmamort" dal sopravvissuto Aziz Binebine, ndt), simbolo di quegli anni di piombo che hanno sprofondato il Marocco nella paura durante il regno di Hassan II (1961-1999)".

Il nome Temara, in Marocco, è divenuto nell'ultimo decennio sinonimo di sequestri, maltrattamenti e torture. Le inchieste di Amnesty International e della FIDH nel 2004 e il rapporto di Human Rights Watch pubblicato nell'ottobre del 2010, hanno confermato i timori di un ritorno alle pratiche conosciute in passato. A farne le spese, come ricordano i documenti diffusi dalle organizzazioni, sono nella maggior parte dei casi gli islamisti locali, i sospetti di terrorismo, oltre agli indipendentisti saharawi, ai militanti della sinistra radicale e alle vittime delle "consegne speciali" inglesi e statunitensi ai paesi amici (tra cui il regno alawita).

Secondo i rapporti menzionati, in questa struttura sono transitate le vittime degli arresti illegali, delle "sparizioni". Il loro soggiorno è durato da pochi giorni a dei mesi, dopodiché la detenzione è stata "ufficializzata" e i prigionieri trasferiti in un carcere regolare, in attesa di un processo basato essenzialmente sulle confessioni estorte durante gli interrogatori.

Per l'ex commissario El Ghazi, di conseguenza, la "nuova era" del rispetto dei diritti e delle libertà annunciata da Mohammed VI al momento dell'ascesa al trono (1999), e ribadita in occasione delle recenti contestazioni, sembra ancora lontana.

"Gli sviluppi conosciuti dal Marocco durante il 2011, la modifica della costituzione e la sua approvazione tramite referendum oltre alle elezioni legislative di novembre, avevano suscitato in me non poca speranza, su cui mi sono aggrappato ingenuamente. Ma il silenzio complice dei responsabili, che continua a circondare questa prigione segreta e le terribili azioni a cui è servita, ha compromesso le mie aspettative di cambiamento".


Il diniego delle autorità

Le autorità marocchine, direttamente interpellate dai rapporti delle ong e dalle denunce della società civile, hanno sempre negato l'esistenza di un simile luogo "del terrore" in netto contrasto con la retorica democratica promossa fin dalla metà degli anni novanta. La lettera dell'ex commissario ricorda le 'ispezioni' effettuate dal tribunale di Rabat (2004 e 2011), da alcuni parlamentari e dai vertici del CNDH (il Consiglio nazionale dei diritti umani, organismo di carattere governativo) con l'obiettivo di smentire "una leggenda durata troppo a lungo" e di constatare che nessun locale dell'edificio in questione è mai stato utilizzato a scopi detentivi.

"Una constatazione ancor più sorprendente dal momento che proviene - in alcuni casi - da vecchi detenuti politici e attivisti per i diritti umani che avevano loro stessi subito, durante gli anni di piombo, i tormenti della detenzione e dei maltrattamenti", è il commento di Ali El Gazi.

Nel novembre 2011, in seguito all'interesse dimostrato dall'ONU sulla vicenda, la delegazione marocchina aveva ribadito il suo diniego anche davanti agli esperti del Comitato contro la tortura riunito a Ginevra.

Le autorità continuerebbero quindi a difendere "un segreto di Pulcinella", si legge nella missiva, e cercano in tutti i modi di "distorcere la realtà attraverso la disinformazione (…). Perciò mi vedo costretto a ribadire, dal profondo della mia anima e della mia coscienza, che questo centro è esistito veramente [così come] gli atti abominevoli che vi sono stati praticati a cui ho sempre rifiutato di prendere parte". Stando alle parole di El Gazi, sarebbe stato proprio questo atteggiamento refrattario, causa di ritorsioni e minacce, ad averlo spinto a dare le dimissioni e a lasciare il paese.


Localizzato tramite Google Earth

Le proteste di piazza del 2011 e l'eco fornito dai militanti del Movimento 20 febbraio alla lotta contro gli abusi e l'impunità dei responsabili politici avevano indotto la piattaforma collettiva Mamfakinch - citizen media nato sulla scia della "primavera" locale - a rivelare l'ubicazione esatta di questo centro (non più) segreto, tramite un video satellitare realizzato con Google Earth.

Le immagini hanno dimostrato come il complesso di Temara, ufficialmente sede amministrativa della Direction pour la Surveillance du Territoire (DST, dal 2003 divenuta DGST), non poteva essere considerato - già a primo impatto - un semplice assembramento di uffici. "Si estende su una superficie di diversi ettari ed è cosparso di antenne satellitari. Dai fotogrammi si possono osservare anche altri tipi di antenne e perfino una sorta di pista a due corsie che permette l'atterraggio di aerei di piccole dimensioni, genere Cessna", spiegava allora il giornale elettronico Demain online.

Quello che il video non ha potuto mostrare, invece, è l'esistenza di prigioni sotterranee - adibite a camera di tortura - che ritornano nelle descrizioni fornite dai numerosi 'ospiti', marocchini e stranieri, transitati in questo luogo. Menzioniamo in proposito - oltre alle deposizioni diffuse da Amnesty, HRW e FIDH - le testimonianze direttamente raccolte degli ex detenuti Kassim Britel, Rida Benothmane, Fatiha Mejjati e di Jessica Zanchi (moglie di Younes Zarli, tuttora in stato di detenzione).


"La tortura in subappalto"

Temara, aggiunge nel testo l'ex commissario El Gazi, è servita anche da base d'appoggio ai servizi stranieri per gli interrogatori sui sospetti appartenenti ad al-Qaida catturati in Afghanistan, in Pakistan o in Iraq. In questo centro, in altre parole, per estirpare confessioni si è fatto ciò che le legislazioni occidentali non permettono sul suolo americano o europeo.

Secondo un rapporto del Parlamento UE, incaricato dell'inchiesta sui voli segreti CIA, l'intelligence statunitense avrebbe effettuato circa quaranta scali in Marocco dal 2001. Diversi i casi documentati, tra cui quello di Mohamed Binyam, un inglese di origine etiope arrestato in Pakistan nel 2002 prima di essere condotto nel regno con una extraordinary rendition.

Primo detenuto di Guantanamo ad essere liberato sotto la presidenza Obama - dopo quattro anni di calvario, tutte le accuse di affiliazione terroristica a suo carico sono cadute di colpo - Binyam ha descritto la sua permanenza a Temara. "E' stata un'esperienza che mai avrei potuto immaginare, nemmeno nei miei incubi più tremendi (…). Non riesco ancora a credere di essere stato sequestrato, trasportato da un paese all'altro e torturato in modo barbaro, il tutto sotto la supervisione degli Stati Uniti", dichiarava al rientro in Inghilterra. "Il momento peggiore è stato quando ho capito, mentre ero in Marocco, che i miei aguzzini stavano ricevendo indicazioni e informazioni sul mio conto dai servizi inglesi".

Anche questa, quindi, non è più una novità. Del resto, si domanda Ali El Gazi, "lo stesso Mustapha Ramid (deputato del partito islamico PJD, oggi ministro della Giustizia, nda) non aveva dichiarato un giorno urbi et orbi che in questo centro si praticava la tortura in subappalto per conto di altri paesi? Non aveva annunciato di aver raccolto già numerose testimonianze in proposito?".

Oggi che il PJD è al governo, quale fine abbiano fatto la documentazione e i buoni propositi proclamati da Ramid non si sa, continua l'ex commissario: "ora che il Ministero della Giustizia è nelle mani del vostro partito e che la nuova costituzione vi riconosce maggiori poteri, non avete più scuse né giustificazioni per rimanere insensibili e rifiutare l'apertura di un'inchiesta seria e approfondita".


L'operazione 'GuanTemara'

Sul finire della lettera El Gazi non ha mancato di sottolineare "il coraggio e la perseveranza dei giovani e meno giovani del Movimento 20 febbraio, che hanno sfidato i divieti e le minacce cercando di organizzare il 15 maggio (2011, nda) un sit-in nella foresta di Temara di fronte alla sede della DST".

In quell'occasione i dissidenti avevano lanciato 'l'operazione GuanTemara', volendo mettere in evidenza - con questo slogan - le similitudini tra la prigione marocchina e il carcere statunitense in terra caraibica per quanto riguarda il trattamento riservato ai detenuti. L'obiettivo dell'atto dimostrativo era aumentare la pressione pubblica per chiedere la chiusura del centro e l'incriminazione dei responsabili delle violazioni commesse. Ma gli attivisti del 20 febbraio non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi alla struttura e furono dispersi violentemente dalle cariche della polizia (in alcuni casi si verificarono veri e propri pestaggi anche all'indirizzo dei giornalisti presenti).

"La storia farà il suo corso e saprà riconoscere la determinazione di questi giovani che non si sono persi d'animo nonostante la repressione subita", conclude El Gazi, citando l'esempio dei terribili bagni penali dell'epoca di Hassan II che, per lungo tempo tenuti nascosti all'opinione pubblica, hanno finito per entrare a far parte della memoria collettiva.

Tuttavia, ricorda il testo della missiva, a Tazmamart come a Temara "gli autori degli abusi sono rimasti ai loro posti o hanno addirittura beneficiato di una promozione. Quanti anni o decenni bisognerà attendere prima che venga stabilita la loro responsabilità e che sia fatta giustizia?".

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