Sono
iniziati sabato scorso i festeggiamenti per il nuovo anno amazigh, tradizione
ancestrale presente nei calendari agricoli di tutta l'Africa settentrionale
(dalla Mauritania alla Libia) che sta godendo negli ultimi tempi di una
rinnovata partecipazione popolare, grazie anche al dinamismo delle associazioni
culturali schierate in prima linea per la difesa dell'identità berbera.
Tradizioni
culinarie, celebrazioni collettive, musica e rituali ancestrali per festeggiare
l'arrivo del 2963. Dopo gli anni della marginalizzazione culturale, seguiti
alla costruzione di Stati indipendenti improntati sul modello panarabista
mediorientale, il primo giorno del calendario berbero (Idh Yennayer, che corrisponde al 14 gennaio) è ormai divenuta
l'occasione per riaffermare un'appartenenza identitaria a lungo negata (o
folklorizzata). Un modo per ricordare - secondo gli attivisti marocchini,
algerini e libici - che il patrimonio e la memoria della regione non possono
essere ridotti alla sola dimensione arabo-islamica.
Il
termine Yennayer - periodo che
nell'antichità simboleggiava "la porta aperta sul nuovo anno" e
coincideva con il solistizio d'inverno - rimanda direttamente al Ianuarius latino, come del resto la
denominazione assegnata agli altri undici mesi del calendario. In effetti il
calcolo e la periodizzazione temporale in Nord Africa - sebbene preesistenti e
legati a tradizioni religiose locali - ha risentito inevitabilmente della
dominazione romana, ricordano gli specialisti dell'Encyclopédie Berbère.
Di
conseguenza il calendario solare berbero viene comunemente assimilato a quello
giuliano, utilizzato in tutta la 'cristianità' fino alle modiche apportate da
Papa Gregorio XIII nel 1582. Come si spiega la sua adozione e l'utilizzo
assiduo anche nelle zone più meridionali della regione sahariana (tuareg), dove
l'influenza latina fu notoriamente più debole e la penetrazione arabo-islamica
repentina?
Diverse
le ipotesi formulate in proposito, tra cui quella dell'antropologa Nedjma
Plantade che riconosce l'apporto degli studiosi andalusi di epoca medievale. Gli
agronomi di Cordoba e Granada hanno infatti redatto numerosi trattati in lingua
araba (al tempo lingua di divulgazione scientifica) sulle tecniche di
coltivazione improntate al calendario giuliano-spagnolo - ritenuto più adatto
alla regolazione dei lavori agricoli stagionali rispetto a quello musulmano (di
tipo lunare) - assicurandone in questo modo la salvaguardia e la diffusione.
L'ipotesi
della Plantade spiegherebbe anche il recupero nel calendario islamico (per lo
più informale) di alcune ricorrenze esogene all'ortodossia religiosa che ne è
alla base e, sull'altro versante, l'utilizzo di alcuni termini di etimologia
araba.
L'attaccamento
alla terra e ai suoi cicli produttivi del calendario berbero è poi testimoniato
dai riti e dalle consuetudini di carattere propiziatorio - pressoché identici
da un capo all'altro del Maghreb - che accompagnano la celebrazione di Yennayer. Ancora oggi è d'uso onorare il
primo giorno dell'anno con un pasto abbondante a base di frutta secca (chiamato
khoulta o tbigua nella regione orientale del Marocco), carne essiccata (berkoukech) e "cuscus alle sette
verdure" (o ai sette legumi, cherchem).
Quanto
al computo della successione temporale, è solo nella seconda metà del secolo
scorso che i primi attivisti amazigh - riuniti a Parigi nell'Académie Berbère -
hanno cominciato a calcolare gli anni a partire dal 950 a.C., data
approssimativa dell'investitura di Shoshenk, primo faraone berbero (libico)
d'Egitto. L'avvento dell' "era Shoshenk" (secondo cui il 2013 diventa
2963) è stata accolta e difesa con crescente entusiasmo dai militanti berberi,
che l'hanno definitivamente integrata al bagaglio identitario condiviso e
rivendicato, in modi e tempi differenti, in tutta l'area nordafricana.
Per esempio, le concertazioni tra il regime algerino e una parte della dissidenza berbera cabila dopo le rivolte del printemps noir (2001) - oltre a sancire la tamazight come "lingua nazionale" nella costituzione - avevano spinto la Haute commission pour l'amazighité (HCA, istanza governativa) ad organizzare ogni anno, in una città differente, celebrazioni di carattere ufficiale in occasione di Yennayer (festeggiato il 12 gennaio).
Il
provvedimento, tuttavia, non è bastato a risolvere gli attriti profondi - non
solo di carattere culturale - tra la Cabilia e Algeri, come dimostrano i
continui interventi repressivi disposti dal governo, l'ultimo dei quali si è
verificato a Tizi Ouzou proprio nel giorno di capodanno (berbero).
Le
evoluzioni più interessanti, in termini di apertura istituzionale nei confronti
delle rivendicazioni
amazigh, sono invece quelle registrate in Marocco e in Libia a seguito degli
sconvolgimenti (o delle modifiche costituzionali nel caso marocchino) indotti
dalle recenti "primavere".
A
Tripoli, se sotto Gheddafi la berberità del paese era esclusa dal credo di
regime e gli attivisti messi a tacere in modo violento, la caduta del dittatore
ha tolto il coperchio al vaso di Pandora in cui era stato relegato il
sentimento di appartenenza identitaria.
Nella
capitale libica la celebrazione dell'anno 2963 - dichiarata festa nazionale - è
stata caratterizzata da due eventi maggiori. L'organizzazione di un grande concerto che ha visto la
partecipazione di numerosi artisti internazionali e la tenuta del primo Forum per i
diritti costituzionali della comunità amazigh - su iniziativa dei consigli
locali delle regioni berberofone (Zwara, Jadu, Nalut, Yefren..) e con il
patrocinio del nuovo parlamento eletto - che ha formulato le sue
raccomandazioni in merito alla redazione della nuova carta fondamentale ed ha
ufficializzato la nascita dell'Haut conseil des imazighen de Libye (HCIL).
In
Marocco, dove la tamazight "è
una lingua ufficiale" dal luglio 2011 e il suo insegnamento nelle scuole
pubbliche ha mosso i primi passi (seppur incerti) ormai da un decennio, le
associazioni culturali e i collettivi militanti continuano a far pressione sulle
autorità affinché rendano operativi i dispositivi previsti - e non ancora
attuati - dalla nuova costituzione.
L'ingresso
nell'anno 2963 è stato salutato dalle decine di organizzazioni che compongono
il locale movimento amazigh con concerti, serate di musica e danze tradizionali (ahidous, ahwaj..) e incontri pubblici. Uno scenario impensabile - anche per
la partecipazione e l'entusiasmo suscitato tra la popolazione - fino a qualche
anno fa, quando Yennayer veniva
bollato dai responsabili politici e dalle fasce più conservatrici della società
come "una sterile rievocazione pagana estranea alla cultura marocchina".
Si
tratta indubbiamente di un altro passo in avanti, ma non ancora sufficiente -
secondo gli attivisti - ad appagare l'esigenza di riscatto e di affermazione che
anima il tessuto militante, tanto a livello regionale
che su scala nazionale.
"E'
giunto il momento che le autorità attribuiscano un carattere ufficiale a questo
giorno - dichiara un giovane artista di Ouarzazate, 'emigrato' nella capitale
per poter terminare gli studi - Nel calendario non c'è nessuna festa che
ricordi le radici amazigh su cui poggia il paese. Hanno arabizzato la
toponomastica e la storia, perfino la nostra cucina. E' come se ci
considerassero un popolo piovuto dal cielo piuttosto che gli abitanti originari
di questa terra..".
Le
celebrazioni per il nuovo anno sono state anche un'occasione per rilanciare la
'battaglia politica e sociale'. E' così che nella regione 'ribelle' del Sud-est
(Errachidia, Goulmima, Tinghir) i numerosi gruppi musicali - fioriti di recente
sulla scia tracciata da Lounes Matoub e dai Tineriwen - hanno promosso
iniziative per chiedere la liberazione dei detenuti politici amazigh, la
restituzione delle terre collettive confiscate alle tribù berbere sotto il
Protettorato francese e per sostenere la protesta degli abitanti di Imider,
che da un anno e mezzo si battono contro la spoliazione delle risorse locali.
La
componente giovanile - essenzialmente studentesca - del movimento amazigh,
invece, ha scelto Yennayer per
diffondere sui social network un appello alla
mobilitazione nazionale (Tawada),
prevista per il 3 febbraio prossimo, "in difesa dei diritti culturali e
socio-economici delle popolazioni berbere".
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