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mercoledì 9 gennaio 2013

La maledizione del mare da Essaouira a Dakhla

Con il documentario Les damnés de la mer (2008) il regista belgo-marocchino Jawad Rhalib restituisce un lucido spaccato delle ingiustizie sociali che colpiscono i piccoli pescatori della costa atlantica marocchina.



Rhalib racconta la storia senza parole superflue, senza commenti o voci fuori campo. La telecamera cattura le immagini dei protagonisti, impegnati in mansioni quotidiane o in discussioni private nei momenti di intimità. Riuniti attorno al fuoco ad esempio, mentre consumano un pasto improvvisato sulla sabbia, vicino alla rimessa degli scafi, nella maggior parte dei casi inutilizzati da tempo, sventrati e corrosi dalla salsedine.

"Prima di girare, ho bisogno di passare del tempo con i protagonisti senza la telecamera. Ho bisogno di parlare con loro e soprattutto di ascoltarli - spiega il regista - La promessa che faccio è di raccontare le loro vicende, le ingiustizie subite, nel modo più fedele possibile. Con le loro stesse parole. Niente di più".

E' così che i pescatori, le cui rivendicazioni restano inascoltate dai responsabili politici locali, si lasciano andare ad una testimonianza struggente. "Sopravviviamo a stento nel paradiso del pesce… ci stanno ingannando…il paradiso si è trasformato in inferno". Attraverso i dialoghi e i piani sequenza, un'immagine dopo l'altra, lo spettatore può ricostruire da solo una realtà fatta di disuguaglianza e depredazione delle risorse marittime, dove la disparità dei mezzi a disposizione e il dispiegamento delle reti clientelari determinano il fallimento di molti (pescatori artigianali) e il successo di pochi (i proprietari delle grandi imbarcazioni commerciali).

Il film si apre sulle baracche attorno al molo di Essaouira, dove un gruppo di marinai ricorda i tempi andati in cui i carichi di sardine ricoprivano quotidianamente l'ingresso del porto. La ricchezza alieutica del Marocco si sta esaurendo rapidamente negli ultimi decenni, obbligando i pescatori e le industrie di trasformazione a spostarsi sempre più a sud. Da Casablanca a Safi, poi a Essaouira, Agadir, Sidi Ifni, Tan-Tan, e infine a Laayoune e Dakhla (Sahara Occidentale).

Nel momento in cui a Sarga (una spiaggia pochi km a sud di Dakhla) iniziano le riprese, le barche e le polpare sono desolatamente ammassate a riva. E' il periodo di fermo biologico e i lavoratori del settore sono tutti in "disoccupazione tecnica".

Tutti o quasi.

Chi possiede il capitale per "oliare gli ingranaggi" e pagare un "protettore" può uscire in mare senza temere controlli né provvedimenti giudiziari. "Guarda i padroni miliardari, non si nascondono nemmeno" confessa la moglie di un pescatore della zona. "Ne ho abbastanza di vederli saccheggiare le nostre coste mentre noi viviamo dimenticati nella miseria!".

Nell'oceano poco distante due pescherecci svedesi stanno rientrando a terra con il bottino della giornata (in media 400 tonnellate di pesce a scafo), apparentemente incuranti della povertà che li circonda. Le imbarcazioni, dotate dei più moderni apparati radar e sonar, lavorano in tandem dispiegando al loro passaggio una lunga rete a strascico.

Il capitano spiega, di fronte alla telecamera, che ha firmato un contratto di fornitura con una fabbrica marocchina e dispone di una "licenza di pesca per le specie pelagiche (che vivono nelle acque di superficie, nda)". Si dice soddisfatto della sua permanenza a Dakhla, dove guadagna bene e lavora tutto l'anno, mentre "in Svezia la politica ha rovinato la pesca" tanto che l'unica soluzione "è spostarsi altrove". Qui non ci sono quote o restrizioni..

O meglio, le quote e le restrizioni in teoria ci sarebbero, ma chi deve assicurarne il rispetto (la polizia marittima e l'ONP - Office national de la pêche) non lo fa. Per Hassan Talbi, presidente dell'associazione di proprietari delle barche artigianali, "l'amministrazione regionale è nel migliore dei casi indifferente e nel peggiore semplicemente corrotta. L'ONP non controlla né la quantità né le specie di pesce catturato, per non parlare delle tecniche utilizzate". Così i due pescherecci svedesi - solo un piccolo esempio dello sfruttamento selvaggio delle risorse ittiche consumato da queste parti - possono continuare indisturbati a raschiare i fondali con le loro paranze.

E i marinai di Sarga? La frustrazione, il sentimento di abbandono e di impotenza sembrano sul punto di provocare una reazione. "I responsabili approfittano della nostra debolezza…Uniamoci per difendere i nostri diritti…Unirsi? Hai dimenticato la repressione e il massacro dei pescatori di Larache?".

L'obiettivo del regista Rhalib e dei protagonisti di Les damnés de la mer era portare l'opinione pubblica a conoscenza delle ingiustizie e delle difficili condizioni vissute dai piccoli pescatori marocchini, un mestiere a rischio di estinzione come parte delle risorse ittiche a disposizione nel paese. La speranza inconfessata, invece, era quella di vedere le autorità reagire ad un simile atto di denuncia. Ma dal 2008 ad oggi la situazione non sembra essere cambiata.
"Quando le risorse si esauriranno anche a Dakhla, dove andranno i proprietari dei grandi pescherecci a saccheggiare e distruggere nuovi ecosistemi ancora intatti? - si domanda Rhalib alla fine del documentario, mentre i volti dei protagonisti sfumano sullo sfondo nero della pellicola - Con quali speculatori riusciranno ad allearsi la prossima volta?".

(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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