Con
il documentario Les damnés de la mer
(2008) il regista belgo-marocchino Jawad Rhalib restituisce un lucido spaccato
delle ingiustizie sociali che colpiscono i piccoli pescatori della costa
atlantica marocchina.
Rhalib
racconta la storia senza parole superflue, senza commenti o voci fuori campo.
La telecamera cattura le immagini dei protagonisti, impegnati in mansioni quotidiane
o in discussioni private nei momenti di intimità. Riuniti attorno al fuoco ad
esempio, mentre consumano un pasto improvvisato sulla sabbia, vicino alla
rimessa degli scafi, nella maggior parte dei casi inutilizzati da tempo,
sventrati e corrosi dalla salsedine.
"Prima
di girare, ho bisogno di passare del tempo con i protagonisti senza la
telecamera. Ho bisogno di parlare con loro e soprattutto di ascoltarli - spiega
il regista - La promessa che faccio è di raccontare le loro vicende, le
ingiustizie subite, nel modo più fedele possibile. Con le loro stesse parole.
Niente di più".
E'
così che i pescatori, le cui rivendicazioni restano inascoltate dai
responsabili politici locali, si lasciano andare ad una testimonianza
struggente. "Sopravviviamo a stento nel paradiso del pesce… ci stanno
ingannando…il paradiso si è trasformato in inferno". Attraverso i dialoghi
e i piani sequenza, un'immagine dopo l'altra, lo spettatore può ricostruire da
solo una realtà fatta di disuguaglianza e depredazione delle risorse marittime,
dove la disparità dei mezzi a disposizione e il dispiegamento delle reti
clientelari determinano il fallimento di molti (pescatori artigianali) e il
successo di pochi (i proprietari delle grandi imbarcazioni commerciali).
Il
film si apre sulle baracche attorno al molo di Essaouira, dove un gruppo di
marinai ricorda i tempi andati in cui i carichi di sardine ricoprivano
quotidianamente l'ingresso del porto. La ricchezza alieutica del Marocco si sta
esaurendo rapidamente negli ultimi decenni, obbligando i pescatori e le
industrie di trasformazione a spostarsi sempre più a sud. Da Casablanca a Safi,
poi a Essaouira, Agadir, Sidi Ifni, Tan-Tan, e infine a Laayoune e Dakhla (Sahara Occidentale).
Nel
momento in cui a Sarga (una spiaggia pochi km a sud di Dakhla) iniziano le
riprese, le barche e le polpare sono desolatamente ammassate a riva. E' il
periodo di fermo biologico e i lavoratori del settore sono tutti in
"disoccupazione tecnica".
Tutti
o quasi.
Chi
possiede il capitale per "oliare gli ingranaggi" e pagare un
"protettore" può uscire in mare senza temere controlli né
provvedimenti giudiziari. "Guarda i padroni miliardari, non si nascondono
nemmeno" confessa la moglie di un pescatore della zona. "Ne ho
abbastanza di vederli saccheggiare le nostre coste mentre noi viviamo
dimenticati nella miseria!".
Nell'oceano
poco distante due pescherecci svedesi stanno rientrando a terra con il bottino
della giornata (in media 400 tonnellate di pesce a scafo), apparentemente
incuranti della povertà che li circonda. Le imbarcazioni, dotate dei più
moderni apparati radar e sonar, lavorano in tandem dispiegando al loro passaggio
una lunga rete a strascico.
Il
capitano spiega, di fronte alla telecamera, che ha firmato un contratto di
fornitura con una fabbrica marocchina e dispone di una "licenza di pesca
per le specie pelagiche (che vivono nelle acque di superficie, nda)". Si dice soddisfatto della
sua permanenza a Dakhla, dove guadagna bene e lavora tutto l'anno, mentre
"in Svezia la politica ha rovinato la pesca" tanto che l'unica
soluzione "è spostarsi altrove". Qui non ci sono quote o
restrizioni..
O
meglio, le quote e le restrizioni in teoria ci sarebbero, ma chi deve
assicurarne il rispetto (la polizia marittima e l'ONP - Office national de la pêche)
non lo fa. Per Hassan Talbi, presidente dell'associazione di proprietari delle
barche artigianali, "l'amministrazione regionale è nel migliore dei casi
indifferente e nel peggiore semplicemente corrotta. L'ONP non controlla né la
quantità né le specie di pesce catturato, per non parlare delle tecniche
utilizzate". Così i due pescherecci svedesi - solo un piccolo esempio dello
sfruttamento selvaggio delle risorse ittiche consumato da queste parti -
possono continuare indisturbati a raschiare i fondali con le loro paranze.
E
i marinai di Sarga? La frustrazione, il sentimento di abbandono e di impotenza
sembrano sul punto di provocare una reazione. "I responsabili approfittano
della nostra debolezza…Uniamoci per difendere i nostri diritti…Unirsi? Hai
dimenticato la repressione e il massacro dei pescatori di Larache?".
L'obiettivo
del regista Rhalib e dei protagonisti di Les
damnés de la mer era portare l'opinione pubblica a conoscenza delle
ingiustizie e delle difficili condizioni vissute dai piccoli pescatori
marocchini, un mestiere a rischio di estinzione come parte delle risorse
ittiche a disposizione nel paese. La speranza inconfessata, invece, era quella di
vedere le autorità reagire ad un simile atto di denuncia. Ma dal 2008 ad oggi
la situazione non sembra essere cambiata.
"Quando
le risorse si esauriranno anche a Dakhla, dove andranno i proprietari dei
grandi pescherecci a saccheggiare e distruggere nuovi ecosistemi ancora
intatti? - si domanda Rhalib alla fine del documentario, mentre i volti dei
protagonisti sfumano sullo sfondo nero della pellicola - Con quali speculatori
riusciranno ad allearsi la prossima volta?".(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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