Arrêt sur image

martedì 22 febbraio 2011

Il "Marocco del 20 febbraio": una cronaca sconosciuta

RABAT – Come annunciato dal Movimento 20 febbraio attraverso Facebook ed internet in generale, domenica scorsa si sono svolte manifestazioni in tutto il territorio marocchino. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, le dimostrazioni “per la democrazia e la dignità” hanno coinvolto trentacinque città per un totale di circa 75 mila partecipanti. Sempre secondo il Ministero, al termine della giornata si sono registrati cinque morti, centoventotto feriti e centoventi persone in stato di fermo. Diverse sono le stime degli organizzatori, che parlano di cinquantatre centri abitati toccati dall’iniziativa e di circa 300 mila aderenti. Nessuna ipotesi è stata avanzata in merito ai contusi e ai manifestanti finiti in arresto. In ogni caso al momento non è possibile disporre di cifre esatte, anche perché non c’è stata copertura mediatica degli eventi prodottisi nelle regioni interne del paese, dove la protesta ha coinvolto interi villaggi ed ha assunto toni più duri. Una protesta proseguita il giorno seguente, tra rivolte popolari, repressione violenta da parte delle autorità e tentativi di suicidio, che non sembra destinata ad arrestarsi nell’immediato.



venerdì 18 febbraio 2011

Marocco: aspettando il 20 febbraio/2

RABAT – Manca poco ormai al 20 febbraio, giorno in cui in tutto il territorio nazionale sono annunciate manifestazioni di protesta contro l’assolutismo monarchico e in favore della democrazia. La società marocchina comincia a muoversi. Giovedì 17 febbraio le organizzazioni per la difesa dei diritti umani (quattordici in totale), guidate dal Forum Verità e Giustizia e dall’Associazione marocchina dei diritti dell’uomo (AMDH) hanno convocato una conferenza stampa per sostenere pubblicamente i gruppi di giovani che hanno promosso l’iniziativa via internet. “Condividiamo le rivendicazioni degli organizzatori e chiediamo: una riforma della costituzione che faccia del popolo la sola fonte di legittimità e sovranità; l’instaurazione di un regime parlamentare democratico, basato su una vera separazione dei poteri; il rispetto delle libertà pubbliche e individuali, e la fine della censura; il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche per restituire la dignità al popolo marocchino”, questo in sintesi il comunicato rilasciato dalla coordinazione, riunitasi ieri pomeriggio nei locali dell’AMDH.



mercoledì 16 febbraio 2011

“In caso di rivolta l’obiettivo sarà la monarchia”

RABAT - Maati Monjib è professore di Storia e politica dei paesi del Maghreb all’Università di Rabat (Institut des Etudes Africaines, Université Mohammed V—Souissi) e Chairman dal 2008 al Saban Center for Middle East Policy (The Brookings Institution, Washington, D.C.). Oltre ad essere tra i fondatori del Centre Ibn Rochd d'Études et de Communication (Rabat), collabora attualmente con il mensile storico-divulgativo Zamane.
Nel 1992 il Professor Monjib ha pubblicato uno dei primi studi accademici sull’edificazione dell’assolutismo monarchico in Marocco. Il libro, La monarchie marocaine et la lutte pour le pouvoir: Hassan II face à l'opposition nationale, de l'indépendance à l'état d'exception (Paris, L'Harmattan), è tuttora vietato nel paese. Partendo dall’analisi della sua opera, Maati Monjib ricostruisce il quadro politico del Marocco post-indipendenza e l’evoluzione del sistema di potere nello Stato maghrebino fino ai giorni nostri. Descrive i rapporti di forza che legano la monarchia di Mohammed VI al panorama politico attuale, e parla del ruolo rivestito dalle forze islamiste e dalla società civile, in un paese che si prepara all’esplosione del dissenso (appuntamento fissato per il 20 febbraio).


martedì 15 febbraio 2011

Viaggio di sola andata per Tindouf

La censura continua a mietere vittime in Marocco. Se non è il regime ad incaricarsene direttamente (come nei casi di Akhbar al Youm, Al Jarida al Oula, Al Michaal, Tel Quel, Nichane e Le Journal Hebdomadaire), sono le stesse redazioni a stravolgere gli articoli che potrebbero non essere graditi al Palazzo. E’ il caso della giovane rivista Zamane, un mensile a carattere storico-divulgativo da poco in edicola. Un magazine indipendente che ha proposto fino ad ora un lavoro senz’altro meritevole. Tuttavia, quando il giornalista Aziz El Yaakoubi ha presentato un articolo sulle origini dell’esodo saharawi verso i campi di Tindouf (1975-’76), i vertici della redazione hanno censurato alcuni passaggi chiave del pezzo (come per esempio le testimonianze dei bombardamenti al napalm sulla popolazione civile in fuga effettuati dall’aviazione marocchina o le responsabilità della “marcia verde” sulla partenza dei rifugiati). Evidentemente, dopo la stretta repressiva esercitata negli ultimi due anni da Rabat sulla stampa indipendente, anche le pubblicazioni più serie e rispettabili come Zamane sentono il bisogno di “autoregolarsi” per non incorrere in sanzioni o ritorsioni giudiziarie. Un ulteriore conferma della morte della libertà di stampa in questo paese. Tanto più che la questione del Sahara resta una delle principali linee rosse espressamente elencate nel Code de la presse in vigore dal 2003.
L’articolo in questione, “Aller simple pour Tindouf”, è stato pubblicato nel mese di dicembre (Zamane, n. 2) con le opportune modifiche del caso. L’autore, Aziz El Yaakoubi, si è rifiutato di firmarlo. Di seguito la versione integrale tradotta in italiano.



sabato 12 febbraio 2011

Jilani Hamami, un sindacalista “dissidente” tunisino si racconta


TUNISI - Jilani Hamami, oltre ad aver ricoperto la carica di segretario generale dei funzionari PTT (federazione di categoria, posta e telecomunicazioni, che fa parte dell’Unione generale dei lavoratori tunisini - UGTT, ndr), è uno dei fondatori del Partito comunista dei lavoratori tunisini (PCOT). Sindacalista “dissidente” e oppositore politico durante il regime Ben Ali, Hamami parla delle connivenze tra l’UGTT e l’ex dittatore e racconta la sua lotta all’interno del sindacato di cui è membro ancora oggi.


mercoledì 9 febbraio 2011

Ritorno a Sidi Bouzid, epicentro della rivolta tunisina (e araba)

E’ passato un mese dalla fuga di Ben Ali e dalla conquista di Cartagine. Quasi due dall’inizio del sollevamento, divampato nelle remote (e fino a quel momento sconosciute) regioni dell’interno, mentre la transizione democratica fatica a muovere i primi passi. Ritorno da dove tutto è cominciato…



domenica 6 febbraio 2011

Marocco: aspettando il 20 febbraio…

In Egitto continuano le manifestazioni per chiedere la partenza di Mubarak. La Tunisia è di nuovo teatro di violenze e scontri in tutto il paese. La popolazione e i partiti di opposizione contestano la nomina dei nuovi governatori locali fatta dall’esecutivo provvisorio. Sabato 5 febbraio nella città di El Kef, quattro persone (due secondo il Ministero dell’Interno) hanno perso la vita durante un assalto delle milizie dell’RCD (partito dell’ex presidente) alla caserma della polizia. Intanto il ministro dell’Interno Ferhat Najhi ha annunciato la sospensione dell’ex partito al potere “in attesa di presentare una domanda ufficiale alla giustizia per ottenere la sua dissoluzione”.
Nel regno alawita cresce la tensione in vista della giornata di mobilitazione annunciata per il prossimo 20 febbraio. “Per cambiare il Marocco, libertà e democrazia subito” è lo slogan promosso da Rachid Antid, giovane internauta che ha lanciato l’evento su Facebook una settimana fa. L’Associazione marocchina per i diritti umani e l’organizzazione islamica Giustizia e Carità (non riconosciuta dal regime) hanno dichiarato pubblicamente il loro sostegno alle manifestazioni in programma su tutto il territorio nazionale. Nel frattempo aumentano i segnali di un possibile contagio delle rivolte scoppiate in Tunisia e in Egitto. Nelle ultime settimane si sono registrati quattro tentativi di suicidio. L’ultimo il 1° febbraio, quando un giovane insegnante si è dato fuoco di fronte al Ministero dell’Educazione. Nei giorni scorsi ci sono stati incidenti e decine di feriti nella città di Fes, dove le associazioni degli studenti marxisti avevano indetto una marcia di protesta repressa dalla polizia.


sabato 5 febbraio 2011

Delenda Trabelsi, o la rivincita del popolo tunisino

La rivolta tunisina si è lasciata dietro le vestigia di un clan decadente. Reportage al centro delle rovine e degli ex voto, sulla scia della rivoluzione.

Sulla colonna di destra che regge il porticato in pietra c’è inciso Dar Bouazizi (“Casa Bouazizi”). Così i tunisini in rivolta hanno ribattezzato la villa di Moez Trabelsi, dopo averla saccheggiata. Passato l’ingresso, sotto l’arco a tutto sesto color salmone, un’altra scritta simile cattura subito lo sguardo: “riposa in pace Bouazizi”, in riferimento al giovane ambulante di Sidi Bouzid che si è immolato il 17 dicembre scorso cospargendosi il corpo di benzina. Da lì è cominciata la rivoluzione che ha portato poi alla fuga dell’ex presidente Ben Ali.
Una decina di tunisini incuriositi passeggiano all’interno della casa, (ex) proprietà di uno dei dieci fratelli di Leila Trabelsi, la premiere dame scappata a Jedda assieme al suo sposo. Passo dopo passo scoprono quel che resta di un impero decadente, toccando con mano il fasto in cui era immerso il clan al potere e leggendo con soddisfazione i messaggi impressi sulle pareti dai loro compatrioti. Sul muro di cinta che proteggeva la residenza dagli sguardi indiscreti di un popolo affamato di pane e libertà, una citazione dell’imam Ali (il quarto califfo, cugino e genero del profeta dell’islam) suona come un monito per i prossimi candidati dittatori: “se il tuo potere ti porta ad essere ingiusto con le genti, ricordati del potere che Dio ha su di te”.


venerdì 4 febbraio 2011

Le speranze (tradite?) di una rivoluzione

TUNISI - Sono passate tre settimane dalla fuga del dittatore Zine el Abidine Ben Ali e dalla caduta del clan dei Trabelsi. I popoli vicini, i media occidentali, perfino il presidente degli Stati Uniti Barak Obama hanno salutato con entusiasmo la rivoluzione tunisina l’indomani del 14 gennaio. Ma, per le strade della capitale, sta lentamente scomparendo quel profumo di gelsomino che in pochi giorni era riuscito a risvegliare la speranza dell’intero mondo arabo, diffondendo coraggio in tutta la regione, dall’Egitto fino allo Yemen. Quell’aroma dolce e delicato sembra aver lasciato il posto alle vampate aspre e irritanti del gas lacrimogeno. La polizia è tornata a reprimere, con violenza, i manifestanti che continuano a chiedere la dissoluzione dell’RCD (il partito dell’ex presidente) e l’epurazione dagli apparati istituzionali e amministrativi degli uomini chiave del vecchio regime. Durante il blitz alla casbah effettuato venerdì 28 gennaio i reparti speciali, intervenuti per disperdere una protesta pacifica di fronte alla sede del primo ministro Ghannouchi, si sono lasciati dietro i primi morti della Tunisia post-rivoluzionaria. Nonostante le testimonianze di alcuni avvocati presenti al momento del massacro, i media nazionali hanno taciuto, già proni ai nuovi equilibri e alle oscure manovre che reggono un “governo di unità nazionale” autoproclamato e privo di legittimità.



giovedì 3 febbraio 2011

Ben Brik: “La rivoluzione deve portare a un cambiamento radicale”

TUNISI – Al decimo piano di un enorme palazzo bianco, abbarbicato nella lontana periferia della città, il “Don Chisciotte di Tunisi” racconta la sua rivoluzione e non fa mistero della preoccupazione per il possibile rigurgito autoritario che sembra già minacciare la “rivoluzione del gelsomino”.
Taoufik Ben Brik, poeta e romanziere di fama internazionale, non ha mai nascosto la sua attività di oppositore al regime di Ben Ali. “Nell’aprile del 2000, per protestare contro le violazioni dei diritti umani nel paese, rimasi per quarantadue giorni in sciopero della fame, fino a quando il ministro dell’Interno, sotto la pressione delle autorità francesi, non acconsentì al mio ricovero in un ospedale di Parigi restituendomi il passaporto”, ricorda lo stesso Ben Brik, da anni affetto dal morbo di Cushing (una malattia che lo priva delle difese immunitarie). I suoi libri sono stati banditi dal territorio nazionale. Nei suoi articoli, pubblicati in gran parte dalla stampa francese (Le Nouvel Observateur, Le Courrier International), ha denunciato per anni la feroce dittatura instaurata dall’ex presidente. “Non ho mai avuto la libertà ma ho sempre trovato i mezzi per esprimermi – confida con orgoglio l’oppositore – non ho mai smesso di scrivere, nemmeno dopo le intimidazioni e gli avvertimenti degli sgherri di Ben Ali, nemmeno dopo la prigione”. In occasione delle ultime elezioni presidenziali (ottobre 2009) Ben Brik ha pagato la sua insubordinazione con sei mesi di carcere, colpevole di aver criticato sui media internazionali “la mascherata elettorale che ha accompagnato la quinta incoronazione del despota di Cartagine”.



martedì 1 febbraio 2011

“Per ventuno anni ho smesso di essere un uomo”

TUNISI – L’appuntamento è fissato per le 15:30 ad Ariana, un sobborgo a nord-est di Tunisi dall’aspetto popolare e leggermente decadente. La voce di Leila è inquieta, riattacca bruscamente il telefono appena capisce che sono arrivato a destinazione. Sceso dal taxi mi trovo la sua macchina di fronte, lei fa un gesto con la mano e mi invita a salire.
Leila è la sorella minore di Samir Ben Alaya, un militante di Annadha rimasto per ventuno anni nascosto in un rifugio sotterraneo nella regione di El Kef. Nonostante le aperture fatte dal governo provvisorio al partito islamico e a tutte le opposizioni non riconosciute dal vecchio regime, Laila non è tranquilla e preferisce non correre rischi. “Io non faccio parte del movimento – chiarisce subito la donna, sulla quarantina – rispetto mio fratello e i suoi compagni che hanno fatto la prigione e che hanno subito la repressione, ma mi considero assolutamente laica e lontana dalla loro ideologia”. Laila gira a vuoto per una ventina di minuti, prima di imbucare una stradina laterale. Il sentiero oltrepassa gli ultimi palazzi della città e va a morire in uno spiazzo isolato, nascosto dietro alcuni olivi che lo separano dai caseggiati grigi in vago stile sovietico. Samir ci sta aspettando. Seduto su una grossa pietra, assapora la sua sigaretta lentamente.