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giovedì 3 febbraio 2011

Ben Brik: “La rivoluzione deve portare a un cambiamento radicale”

TUNISI – Al decimo piano di un enorme palazzo bianco, abbarbicato nella lontana periferia della città, il “Don Chisciotte di Tunisi” racconta la sua rivoluzione e non fa mistero della preoccupazione per il possibile rigurgito autoritario che sembra già minacciare la “rivoluzione del gelsomino”.
Taoufik Ben Brik, poeta e romanziere di fama internazionale, non ha mai nascosto la sua attività di oppositore al regime di Ben Ali. “Nell’aprile del 2000, per protestare contro le violazioni dei diritti umani nel paese, rimasi per quarantadue giorni in sciopero della fame, fino a quando il ministro dell’Interno, sotto la pressione delle autorità francesi, non acconsentì al mio ricovero in un ospedale di Parigi restituendomi il passaporto”, ricorda lo stesso Ben Brik, da anni affetto dal morbo di Cushing (una malattia che lo priva delle difese immunitarie). I suoi libri sono stati banditi dal territorio nazionale. Nei suoi articoli, pubblicati in gran parte dalla stampa francese (Le Nouvel Observateur, Le Courrier International), ha denunciato per anni la feroce dittatura instaurata dall’ex presidente. “Non ho mai avuto la libertà ma ho sempre trovato i mezzi per esprimermi – confida con orgoglio l’oppositore – non ho mai smesso di scrivere, nemmeno dopo le intimidazioni e gli avvertimenti degli sgherri di Ben Ali, nemmeno dopo la prigione”. In occasione delle ultime elezioni presidenziali (ottobre 2009) Ben Brik ha pagato la sua insubordinazione con sei mesi di carcere, colpevole di aver criticato sui media internazionali “la mascherata elettorale che ha accompagnato la quinta incoronazione del despota di Cartagine”.





Intervista a Taoufik Ben Brik (Tunisi 26 gennaio 2011)

Jacopo Granci: Si dice che i letterati e soprattutto gli intellettuali abbiano sempre il termometro della situazione. Taoufik Ben Brik si aspettava un così brusco risveglio del popolo tunisino?
Taoufik Ben Brik: Le risponderò senza falsa modestia, una dote che del resto non mi appartiene. Nei miei libri ho predetto la rivoluzione, di cui mi considero un po’ il profeta. Profeta non perché inviato da qualcuno, ma perché ho descritto gli eventi a cui abbiamo assistito nelle scorse settimane. “Sublime gennaio concedimi un giorno di gloria”, ho scritto in una poesia. Tutto era là, pronto ad esplodere e bisognava essere ciechi per non vederlo. Mi aspettavo di vedere il popolo marciare per strada e bruciare le foto di Ben Ali già nel 2004. Ero solo in anticipo sui tempi.

J. G.: Quale è stata la sua reazione il 14 gennaio scorso?
T. B. B.: Se penso a quanto successo in Tunisia tra la fine di dicembre e il 14 gennaio, la prima immagine mi riporta subito a Cervantes: migliaia di Don Chisciotte armati di una misera lancia di legno che attaccano il più grande dei mulini a vento del nostro paese, il tetro Ministero dell’Interno. Ma allo stesso tempo, senza nulla togliere allo straordinario coraggio del popolo tunisino, senza il quale nulla sarebbe stato possibile, non credo che sia stata detta la verità su quanto accaduto all’interno del Palazzo.

J. G.: Che cosa intende dire?
T. B. B.: Penso che ci siano state delle trattative, dopo la carneficina di Thala e Kasserine. In quel preciso momento Ben Ali è divenuto scomodo, pesante, anche per i suoi alleati occidentali, che gli hanno intimato di lasciare il campo. Ben Ali si è guadagnato la sua pensione dorata, ha negoziato la buona uscita del clan Trabelsi, e si è assicurato un ponte aereo. Ha chiesto 3 tonnellate d’oro e gliene hanno concessa una e mezza. La sua partenza è stata ben preparata. La famiglia è partita ad inizio gennaio. L’ultimo a lasciare il paese è stato Sakhr al Materi, genero di Ben Ali, il 12 gennaio. Il gran capo poi se ne è andato in Arabia Saudita, il cinquantunesimo Stato americano. Non penso sia un caso. In più quando è partito c’era con lui un emiro saudita. La destinazione era già decisa.

J. G.: Cosa pensa della situazione attuale?
T. B. B.: L’esecutivo di transizione, compresi i partiti della vecchia opposizione riconosciuta e fagocitata da Ben Ali, non hanno alcuna legittimità. Sono entità vuote, distanti anni luce dai bisogni e dalle speranze della popolazione. Queste misere figure che si fanno rappresentanti dell’unità nazionale stanno cercando senza alcun pudore di recuperare la rivoluzione, di soffocarla, e in parte ci sono già riuscite. Giorno dopo giorno, tutti quanti hanno finito per allinearsi al corso degli eventi. Gli uomini dell’RCD ora sostengono la rivoluzione, perfino i poliziotti hanno fatto mea culpa. I giornali e le televisioni di regime, che mai avevano osato sollevare il minimo dubbio o la minima critica in ventitre anni di potere di Ben Ali, adesso si riempiono la bocca e non parlano altro che di rivoluzione, libertà e transizione democratica. La verità è che hanno rubato il sogno del popolo tunisino e stanno già preparando le basi per il nuovo regime, identico a quello precedente. Per questo le manifestazioni continuano. Le proteste sono legittime e andranno avanti fino a quando non verrà portato a termine il lavoro.

J. G.: Che cosa manca alla rivoluzione tunisina per dirsi compiuta?
T. B. B.: Una rivoluzione, per dirsi tale, deve portare a un cambiamento radicale sul piano politico, economico e sociale. Qui sta il grande problema a cui il paese si trova di fronte. Una parte considerevole della società tunisina traeva vantaggi dal sistema messo in atto da Ben Ali, dal suo partito-stato, dalle milizie, dai 130 mila poliziotti assoldati, dalle pratiche clientelari su cui si reggono le amministrazioni, perfino dal contrabbando alle frontiere. Questo blocco monolitico non è ancora stato intaccato e finché non verrà smontato pezzo per pezzo è difficile immaginare un simile cambiamento, di cui in molti ora hanno paura.

J. G.: Qual è, a suo avviso, la priorità per arrivare al cambiamento?
T. B. B.: Assieme ad altri personaggi di spicco del panorama culturale, sindacale e associativo abbiamo rivolto un appello, rimasto inascoltato, per la costituzione di una Convenzione nazionale. Una convenzione che raccolga le istanze politiche (eccetto le mummie ereditate dal vecchio regime), sindacali e della società civile. Ripeto, non sono i due o tre partiti ora al governo i legittimi rappresentanti del popolo tunisino. Dalla Convenzione nazionale dovrà uscire poi un’assemblea costituente, con l’obiettivo di redigere le linee guida e i riferimenti assoluti del nuovo stato, democratico e garante delle libertà e del rispetto dei diritti dei cittadini, in una parola la nuova costituzione.

J. G.: La costituzione attuale non garantisce tali libertà?
T. B. B.: La costituzione attuale è un mostro orribile! In Ben Avi la momie ho dedicato pagine e pagine alla denuncia di questo testo, modificato più e più volte in corso d’opera, che ha fatto di Ben Ali un Dio in terra. “Si è fatto murare vivo, neanche fosse un faraone, e la costituzione è il suo sarcofago, cesellato e rifinito per celebrarne la gloria eterna. (…) gli dà il potere supremo, l’immunità atemporale e gli assicura l’immortalità”. Anche il tempo è preso in ostaggio in questa costituzione.

J.G.: In ogni caso, mi corregga se sbaglio, lei ha già proposto la sua candidatura alle prossime presidenziali.
T. B. B.: Sì, mi sono proposto come candidato indipendente, anche se in principio sono contrario all’istituzione della Presidenza della repubblica, che in queste condizioni resta un invito alla gestione dittatoriale e autoritaria del paese. L’ho scritto ben chiaro in Les Plageurs, sono contro tutti i presidenti “che vivono in palazzi gulliveriani e dilapidano in un’ora quello che le genti di Karachi spendono in un decennio”. Sono contro un’istituzione che a mio avviso trasforma l’essere umano in essere divino, che gli concede palazzi dai soffitti dorati alti cinque metri, adatti forse a Gargantua ma non certo a personaggi del calibro di Vaclav Havel o di Ben Ali.

J. G.: Allora perché vuole candidarsi?
T. B. B.: Per dire alla gente che quella poltrona non è un trono sacro. Che quel posto spetta ai comuni mortali, tanto che anche un cialtrone come Ben Brik può nutrire la speranza di arrivarci. In realtà in passato (elezioni presidenziali del 2004, nda) l’ho fatto per far inferocire Ben Ali, per cercare di rovinargli la festa. Adesso lo faccio per dar fastidio ai nuovi pretendenti, a tutti quei capibanda che si atteggiano da martiri del regime e legittimi eroi rivoluzionari.

J.G.: Sa che cosa dicono in giro di lei?
T. B. B.: Alcuni mi chiamano “il folle di Tunisi”. Dicono che sono troppo iconoclasta e radicale, ma a loro io rispondo: sono radicale come la gente che in questi giorni scende in piazza per difendere posizioni e principi non negoziabili.

J. G.: Nel caso improbabile di immediate elezioni politiche, come vede l’ipotesi di un governo che comprenda al suo interno gli uomini di Ennadha?
T. B. B.: Molti amici da giorni mi dicono: “prima avevi di fronte Ben Ali, adesso che il tuo vecchio nemico non c’è più ne arriverà uno nuovo, Rachid Ghannouchi e il suo seguito islamista”. Per quanto mi riguarda sono sempre stato chiaro al riguardo. Mi sono battuto per riaffermare la libertà e non voglio certo affidarla a qualcuno che la limiterà di nuovo. Adesso non è il loro momento, ma credo che nei prossimi mesi gli islamisti usciranno allo scoperto e faranno il vuoto dietro di loro. Sono presenti in tutto il territorio nazionale, dalle grandi città ai piccoli villaggi dell’interno, grazie alle moschee e agli imam. Questi luoghi, sorvegliati dalla polizia di Ben Ali dalla fine degli anni ottanta, torneranno ad essere dei veri focolai di Ennadha.

J. G.: Mi parli un po’ della sua vita di oppositore sotto il regime Ben Ali. Lo prenda come un esercizio per scacciare via fantasmi speriamo ormai lontani.
T. B. B.: Ben Ali ha fatto di tutto per rendermi la vita impossibile. Per anni ho avuto i suoi uomini sotto casa, il telefono e la posta intercettata, ero pedinato continuamente. Ogni tanto stringevano la morsa per lanciarmi degli avvertimenti. Una volta hanno manomesso i freni della mia macchina. Nel 2004, per opporsi alla mia candidatura alle presidenziali, Ben Ali ha portato in giudizio tutti i membri della mia famiglia, eccetto mia madre. Nel 2009 poi ha messo in carcere anche me. Pensavo avesse deciso di liquidarmi. Con la mia malattia un medico di prigione non è certo in grado di curarmi. Di solito sono seguito da specialisti e devo sottopormi a controlli rigidi una volta al mese. Le condizioni di detenzione poi, tra il freddo, l’umidità e la sporcizia, non aiutano una persona priva delle difese immunitarie come me. Invece ho resistito per tutti i sei mesi della condanna. Il 14 dicembre scorso, limite dell’assurdo, se la sono presa anche con mio figlio Ali. E’ stato sequestrato da due agenti che volevano condurlo in caserma per fargli fare servizio militare a quattordici anni! Ne ha parlato tutta la stampa internazionale. “Il paese dove si arruolano bambini di quattordici anni”, così aveva titolato Le Canard Enchainé. Dopo lo sciopero della fame del 2000, con la visibilità che avevo assunto sul piano internazionale, ero diventato scomodo per il regime. Ben Ali ha cercato in tutti i modi di costringermi a lasciare il paese. Io gli ho risposto scrivendo Je ne partirai pas.

J. G.: A proposito di libri, pensa che scriverà qualcosa per celebrare questa rivoluzione?
T. B. B.: Durante le ultime settimane ho scritto più di quaranta articoli, che saranno presto raccolti e pubblicati in un volume. Sono solo indeciso sul titolo, tra Tunis brule e Sidi Bouzid mon amour.


Bibliografia
  • Et maintenant, tu vas m'entendre, éd. Aloès/Exils Éditeur, Tunis/Paris, 2000
  • Le rire de la baleine, éd. Le Seuil, Paris, 2000
  • Une si douce dictature. Chroniques tunisiennes 1991-2000, éd. La Découverte, Paris, 2001
  • Chronique du mouchard, éd. La Découverte, Paris, 2001
  • Ben Brik Fi El Kasr, éd. Dar El Kaws, Tunis, 2001
  • Ben Brik président suivi de Ben Avi la momie, éd. Exils Éditeur, Paris, 2003
  • Les Plagieur, éd. Exils Éditeur, Paris, 2004
  • Je ne partirai pas, éd. Chihab, Alger, 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

probabilmente quello che afferma è tutto vero, però all'anima che modestia!