La censura continua a mietere vittime in Marocco. Se non è il regime ad incaricarsene direttamente (come nei casi di Akhbar al Youm, Al Jarida al Oula, Al Michaal, Tel Quel, Nichane e Le Journal Hebdomadaire), sono le stesse redazioni a stravolgere gli articoli che potrebbero non essere graditi al Palazzo. E’ il caso della giovane rivista Zamane, un mensile a carattere storico-divulgativo da poco in edicola. Un magazine indipendente che ha proposto fino ad ora un lavoro senz’altro meritevole. Tuttavia, quando il giornalista Aziz El Yaakoubi ha presentato un articolo sulle origini dell’esodo saharawi verso i campi di Tindouf (1975-’76), i vertici della redazione hanno censurato alcuni passaggi chiave del pezzo (come per esempio le testimonianze dei bombardamenti al napalm sulla popolazione civile in fuga effettuati dall’aviazione marocchina o le responsabilità della “marcia verde” sulla partenza dei rifugiati). Evidentemente, dopo la stretta repressiva esercitata negli ultimi due anni da Rabat sulla stampa indipendente, anche le pubblicazioni più serie e rispettabili come Zamane sentono il bisogno di “autoregolarsi” per non incorrere in sanzioni o ritorsioni giudiziarie. Un ulteriore conferma della morte della libertà di stampa in questo paese. Tanto più che la questione del Sahara resta una delle principali linee rosse espressamente elencate nel Code de la presse in vigore dal 2003.
L’articolo in questione, “Aller simple pour Tindouf”, è stato pubblicato nel mese di dicembre (Zamane, n. 2) con le opportune modifiche del caso. L’autore, Aziz El Yaakoubi, si è rifiutato di firmarlo. Di seguito la versione integrale tradotta in italiano.
Migliaia di rifugiati saharawi sono presi in ostaggio nei campi di Tindouf da un conflitto che è durato anche troppo. Inchiesta sui motivi e le condizioni che li hanno spinti a partire lontano dalle loro terre.
Il 17 giugno 1970 Mohammed Bassiri, fondatore del Harakat Tahrir Saqiat Al Hamra wa Wadi al-Daha (Movimento di liberazione del Saqiat El Hamara et Wadi al-Dahab), organizza una manifestazione pacifica contro l’occupazione spagnola nella città di Laayoune. L’esercito franchista reagisce con violenza sparando sulla folla. I morti e i feriti si contano a decine. Mohammed Bassiri sparisce nelle prigioni della potenza occupante. Profondamente colpito dagli eventi, un giovane saharawi, allora studente all’università di Rabat, prepara la risposta. El Ouali Mustapha Sayed, iscritto alla facoltà di giurisprudenza e membro attivo dell’UNEM (l’Unione nazionale degli studenti marocchini), originario di Tan-Tan, dove la sua famiglia si è installata in seguito alla disfatta dell’Esercito di liberazione del sud (operazione “Ecouvillon”), prova a bussare a tutte le porte. Riunisce attorno a lui una decina di studenti saharawi e domanda il sostegno dei partiti dell’opposizione marocchina. In un memorandum presentato nel gennaio 1973 alla sezione di Algeri del Tanzim, braccio armato dell’UNFP (Unione nazionale delle forze popolari, un movimento marocchino a carattere socialista rivoluzionario, ndt), il giovane saharawi condivide l’idea dell’integrazione del Sahara occidentale al Marocco : “Si può dire che la regione era una provincia marocchina come tutte le altre”, così termina il suo testo, pubblicato dal giornale Al Ikhtiyar Ahouri, il 19 ottobre 1977.
Di fronte all’indifferenza, in alcuni casi all’arroganza, dei nazionalisti marocchini, El Ouali si mette in marcia verso sud e cerca il sostegno dei vecchi compagni di Bassiri, in esilio in Mauritania. Altri studenti, tra cui Mohammed Cheikh Biadillah, attuale presidente della Camera bassa, si trasferiscono a Laayoune per sondare il terreno. Il gruppo di Mohammed Bassiri aveva stabilito eccellenti rapporti con il governo mauritano. Con il suo via libera, il gruppo si riunisce il 10 maggio 1973 a Zouerate, cittadina situata nel nord-est mauritano, e annuncia la creazione del Polisario. “L’obiettivo preposto era allora l’espulsione degli spagnoli dalle nostre terre, non avevamo ancora pensato a cosa fare dopo la cacciata dei colonizzatori”, ricorda Bachir Dkhil, uno dei partecipanti al congresso costitutivo del Fronte e l’ideatore dell’acronimo Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro). L’affermazione trova conferma nel manifesto politico redatto dopo la creazione del Fronte, concepito “come espressione unica di massa, che opta per la violenza rivoluzionaria e la lotta armata quale mezzo con cui il popolo arabo saharawi africano possa ottenere la sua totale libertà e dare scacco alle manovre del colonialismo spagnolo”.
Il silenzio marocchino
Dopo la nascita del Polisario, né il Marocco né l’Algeria sembrano preoccuparsi degli avvenimenti. Solo Muammar Gheddafi sostiene il movimento fin dalla sua nascita. Il Fronte effettua intanto i primi attacchi contro l’esercito spagnolo. Un primo rifornimento di armi arriva dalla Libia e le imboscate ripetute cominciano ad impensierire l’esercito franchista. “Siamo arrivati in Libia a piedi scalzi e siamo ripartiti ben armati”, dichiara El Ouali Mustapha in una conferenza stampa a Tripoli il 29 ottobre 1975, in riferimento al passaggio effettuato due anni prima nel paese di Gheddafi. Nel marzo 1974 Reuters pubblica un comunicato del Fronte che denuncia “il silenzio dei paesi arabi, dei paesi del Maghreb e soprattutto del Marocco in merito al colonialismo spagnolo e alla repressione selvaggia da questo esercitata contro il popolo saharawi”.
Di fronte alle offensive, sempre più efficaci, del Polisario il generale Franco annuncia che il suo governo sta preparando uno statuto di autonomia per il Sahara Occidentale. “Lo Stato spagnolo garantisce solennemente che la popolazione del Sahara deciderà in maniera libera del suo avvenire”. Per questo motivo il dittatore cerca di appoggiarsi sulla Jamaa, un’organizzazione tribale che raggruppa tutti i capi dei clan saharawi. L’antenato dell’attuale Corcas (Consiglio consultivo per il Sahara, istanza governativa voluta dalla monarchia marocchina, ndt). Dalla parte opposta, il Fronte Polisario condanna ogni forma di fedeltà di ordine parentale e i suoi membri affermano di non riconoscere l’affiliazione tribale. Il Fronte gode di una diffusa popolarità, mentre la reputazione della Jamaa è intaccata dalla collaborazione di alcuni suoi membri con gli occupanti.
Solo dopo l’annuncio del caudillo arriva la prima reazione ufficiale di Hassan II. In un messaggio indirizzato a Franco il 4 luglio 1974, il re dichiara che “non tollererà la creazione di uno Stato fantoccio nel sud marocchino”, rispondendo in questo modo al progetto di autonomia spagnolo. In quei mesi il Polisario moltiplica gli attacchi contro l’esercito iberico e la sua popolarità si espande ormai a tutte le frange della società saharawi come pure all’estero. “Parallelamente sono cominciati i contatti con il governo algerino. Io ero uno dei responsabili della direzione militare e ricordo che mi chiesero il permesso di montare alcune tende da campo per accogliere dei saharawi di nazionalità algerina non lontano dalla nostra base militare, sulla frontiera algero-sahariana. Non ho mai capito il perché”, spiega Bachir Dkhil. Queste tende costituiscono il primo nucleo del futuro campo profughi. Anche il secondo congresso del Fronte si è tenuto a poche decine di chilometri da Tindouf. La scelta del luogo e il motivo dell’installazione delle prime tende in questo deserto arido resta un mistero. L’anno 1974 è senz’altro il più cupo della storia del Polisario. Nel corso del secondo congresso, svoltosi dal 25 al 31 agosto, cambiano il tono e l’obiettivo delle rivendicazioni: “il popolo saharawi non ha altra scelta che la lotta fino al raggiungimento dell’indipendenza”, si legge sul manifesto politico uscito dall’assise.
La repressione spagnola e l’accordo di Madrid
Di fronte alla pressione di Marocco, Francia e Stati Uniti, la Spagna decide di cambiare gioco. Il progetto di autonomia viene abbandonato ed si apre una fase di negoziati segreti con il Marocco e la Mauritania per la decolonizzazione del Sahara. La Spagna si ritira dai punti più isolati e il Polisario la incalza occupando i territori abbandonati. In Sahara occidental: origine set enjeux d’une guerre du désert, Tony Hodges scrive che durante il mese di ottobre 1975 (pochi giorni prima della “marcia verde”, ndt) gli spagnoli controllavano solo le grandi città del Sahara, mentre non vi era traccia della loro presenza ad est di Smara. Il Fronte ha in mano ormai la quasi totalità del deserto e sferra attacchi contro i centri urbani raccolti lungo la fascia occidentale del territorio. La Spagna, dato il sostegno popolare ricevuto dai guerriglieri, sceglie la repressione. “Ogni manifestazione pro-Polisario era vietata. I quartieri saharawi di Laayoune erano assediati, circondati dal filo spinato, e tutte le sere veniva imposto il coprifuoco”, ricorda Guejmoula Bent Abbi, deputato del Partito del progresso e del socialismo (PPS), che all’epoca aveva quattordici anni. Da parte sua Hassan II annuncia la marcia verde, subito dopo il verdetto emesso dalla Corte internazionale di giustizia che rifiuta la pretesa sovranità storica sul Sahara di Marocco e Mauritania.
Nel territorio saharawi iniziano a circolare le prime voci di una “cessione del Sahara da parte della Spagna al Marocco e alla Mauritania”. In questo clima il Fronte lancia una campagna di denuncia degli accordi segreti contratti tra i tre paesi. I marocchini sono presentati alla popolazione saharawi come i nuovi invasori. “Immagini delle genti analfabete, che non conoscono niente del Marocco e della sua civilizzazione… Da un giorno all’altro gli viene annunciato che 350 mila persone stanno per invadere le loro terre”, fa notare Bachir Dkhil. La marcia verde, pur essendo presentata dal suo istigatore come una “marcia gloriosa”, sembra, in queste condizioni, un errore fatale.
La prima incursione militare marocchina è datata 31 ottobre 1975, cinque giorni prima della partenza della “marcia”. Alcune unità delle Forze armate reali (FAR) oltrepassano la frontiera est e si dirigono verso Jdiriya, Housa e Farsia, da poco in mano ai combattenti del Polisario. Scoppiano i primi scontri, i primi spari di una guerra che durerà all’incirca sedici anni. Il Fronte ne approfitta per confermare le accuse rivolte al Marocco ed ingraziarsi le popolazioni cittadine. E’ il panico generale. “La paura dei saharawi è cresciuta con l’arrivo dei partecipanti alla marcia verde”, rivela Guejmoula Bent Abbi. In effetti, le persone coinvolte provenivano, nella maggior parte dei casi, dai quartieri più poveri e degradati delle grandi città marocchine. In poco tempo si è diffusa una pessima immagine del Marocco e dei marocchini.
Il 14 novembre 1975 viene firmato l’accordo di Madrid, che trasferisce l’amministrazione del Sahara al Marocco e alla Mauritania. Il Polisario rifiuta di riconoscere l’intesa e annuncia il proseguimento della lotta armata contro “i nuovi invasori”. Il 25 novembre 1975 il primo convoglio militare marocchino fa il suo ingresso a Laayoune in compagnia di Ahmed Bensouda, governatore aggiunto del territorio sahariano, appena nominato da Hassan II. Qualche giorno più tardi è la volta del governatore mauritano a mettere piede nella città. Il Marocco sceglie di muovere guerra al Fronte Polisario, che gode tuttavia del supporto popolare, e commette lo stesso errore degli spagnoli appoggiandosi sulla Jamaa, priva di consensi dopo l’ascesa degli guerriglieri.
Bombardamenti al napalm
E’ in questo contesto che i primi rifugiati iniziano a lasciare le loro case e partono in direzione della frontiera algerina. Houari Boumedienne non nasconde più il suo sostegno al Fronte e propone ai fuggitivi di occupare la regione di Tindouf come base di ripiegamento. “Dopo l’accordo di Madrid, i marocchini hanno preso il posto degli spagnoli nella coscienza della gente. La paura fu la principale motivazione della nostra partenza”, ricorda con amarezza la deputata del PPS, che ha lasciato la città di Laayoune il 27 novembre 1975. Ognuno si arrangia come può. Gli abitanti dei centri urbani cominciano il tragitto con i propri mezzi. A piedi, a bordo di camion o delle jeep Land Rovers, migliaia di persone si dirigono verso est. Lontano, nel deserto, il Fronte Polisario si incarica di condurli fino alla frontiera algerina. Ma non è il solo. Secondo la Map (l’agenzia stampa marocchina, ndt) e Reuters, il 30 gennaio 1976 le FAR hanno preso d’assalto un’oasi (Amgala) dove stazionavano centinaia di soldati algerini e dove si erano raggruppati migliaia di rifugiati saharawi, uno dei rari punti d’acqua situato a 290 km dal confine. Decine di militari algerini muoiono durante l’attacco, un centinaio vengono fatti prigionieri.
Dopo l’incidente, l’esercito marocchino scopre altri tre accampamenti giganteschi, a Tifariti, Guelta Zemmour e Oum Dreiga. Decine e decine di rifugiati vengono uccisi dai bombardamenti dell’aviazione alawita, che utilizza anche il napalm. “Ero presente durante i raid dell’esercito marocchino a Tifariti, per fortuna avevamo scavato dei tunnel qualche giorno prima. Chi è rimasto fuori non ha avuto chance ed ha perduto la vita”, racconta Guejmoula Bent Abbi. “Sono rimasto in carcere un anno quando le forze algerine volevano assumere il controllo del Polisario. Sono stato liberato nel marzo del 1976, con l’incarico di condurre un’inchiesta sulle vittime del napalm dopo l’arrivo dei rifugiati in territorio algerino”, rivela invece Bachir Dkhil, che poi aggiunge: “nessuno sa quante persone sono morte sulla strada dell’esilio, né il Polisario né il Marocco. Io ho potuto vedere con i miei occhi decine di feriti per le bruciature del gas”.
Il dramma dei rifugiati
L’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU indica che circa 50 mila rifugiati saharawi sono finiti nei campi algerini. “Di questo numero solo 19 mila persone erano originarie del Sahara occidentale”, insiste Bachir Dkhil. Una delegazione della Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH) effettua una visita nell’accampamento di Lahmada nell’ottobre 1976. Secondo il rapporto, la popolazione è composta per l’80% da donne e bambini, “soltanto civili disarmati”. Gli uomini sono al fronte. Ma il rapporto aggiunge che tutti gli interrogati affermano di essere originari del territorio conteso. “Essere originario del Sahara spagnolo era un privilegio nei campi. E’ per questo che tutti quanti lo affermavano”, replica il co-fondatore del Polisario.
Nel 1976 si presentano i primi gravi problemi logistici per il Polisario e il paese di accoglienza. Secondo il documento della FIDH, c’è bisogno di 10 mila tende e 150 mila coperte, per ovviare ai rigori dell’inverno sahariano, di rifornimenti di vitamine, latte per i neonati, antibiotici e altre medicine per curare la bronchite, la tubercolosi e il morbillo. Nessun medico è presente nei campi negli anni ’75 e ’76, solo alcune infermiere algerine si prendono cura dei malati. E’ doveroso ricordare che quelle rese note dalla delegazione della FIDH sono soltanto delle stime, dal momento che è riuscita a visitare solo nove accampamenti sui ventidue esistenti lungo la frontiera. “I rifugiati saharawi si nutrono quasi esclusivamente di verdura, niente frutta, niente uova, la carne solo raramente”, scrive il giornalista Pierre André Barou nelle colonne di Libération, dopo aver visitato i campi nel novembre 1976.
“Durante il nostro soggiorno i rifugiati ricevevano al mese due kg di cereali, un kg di verdure essiccate, un kg di zucchero, un kg di latte in polvere, seicento grammi d’olio, trecento di tè e quasi mai dei datteri”, riporta in modo dettagliato un Comitato di sostegno svizzero, che ha trascorso l’aprile del 1976 negli accampamenti. “Lasciata Tindouf, ci sono 25 km di strada prima di avvistare le tende in cima ad un’altura. Ben presto una postazione militare ci obbliga a fermarci. Sono dei ragazzi a controllare gli accessi nel campo. A tredici, quattordici anni, spesso fanno la guardia giorno e notte. I vestiti sono ridotti a brandelli…”, si legge nel rapporto dell’associazione “Amici del popolo saharawi”, pubblicato dopo il rientro dal viaggio. Con il tempo, la storia dei rifugiati è divenuta di dominio pubblico. Trentacinque anni più tardi le condizioni di vita sono certo migliorate, ma il dramma continua. Fino a quando?
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