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domenica 13 marzo 2011

Le aperture di Mohammed VI e la costituzione marocchina: alcune considerazioni…

Dopo il discorso pronunciato da Mohammed VI il 9 marzo, cha ha annunciato la formazione di una commissione (di nomina reale) per la riforma della costituzione, il Movimento 20 febbraio ha rilanciato le sue rivendicazioni, rifiutando in blocco le “aperture” proposte dal regime.



La promessa di una giustizia indipendente, del riconoscimento di maggiori diritti e libertà, del rafforzamento della posizione del primo ministro e della creazione di assemblee regionali elette (oltre all’applicazione delle raccomandazioni dell’IER e al riconoscimento costituzionale dell’identità amazigh) è bastata a placare la timida richiesta di “riforme” avanzata negli ultimi giorni dalle forze politiche presenti in parlamento (dai socialisti agli islamisti fino ai partiti di regime), che si erano viste scavalcare dai giovani cyber-dissidenti, ben più propositivi e attenti ai bisogni della popolazione. Ma le parole del sovrano non hanno dissuaso il movimento e le organizzazioni della società civile che lo sostengono (associazioni per i diritti umani, associazioni studentesche, alcuni sindacati, l’associazione islamica Giustizia e Carità - non riconosciuta dal regime – oltre ai partiti di estrema sinistra) ad abbandonare la protesta e le mobilitazioni.
“Chiediamo riforme sostanziali, non cambiamenti di facciata ai quali siamo abituati da troppo tempo”, è il commento di Abadila, disoccupato quarantenne tra i promotori del “20 febbraio”. “L’assemblea costituente deve essere eletta, non nominata dal monarca, che in questo modo conserva per intero le prerogative monopolistiche contro cui stiamo lottando”. Per Abadila le linee guida su cui si muoverà la commissione presieduta da Abdeltif Manouni apporteranno al massimo dei “piccoli ritocchi”, ma in nessun modo arriveranno a scalfire la struttura assolutista del regime. “La nostra risposta alle promesse di Mohammed VI è chiara – precisa l’attivista – in una monarchia parlamentare vera, nostro primo obiettivo sul piano politico, la sovranità deve appartenere al popolo e non alla nazione (art. 2 costituzione), soprattutto se si tiene conto che per costituzione (art. 19) il rappresentante supremo della nazione è il re! Questo punto nei propositi democratici di Mohammed VI non è stato nemmeno menzionato, come non c’è alcun riferimento all’eliminazione dell’articolo 19, chiave di volta dell’assolutismo monarchico assieme all’articolo 23 (che sancisce la sacralità del sovrano, ndr). Ciò significa che rimarremo sudditi, non cittadini!”.


Nel Marocco democratico rivendicato dal Movimento 20 febbraio, il concetto di autorità dovrà corrispondere necessariamente al concetto di responsabilità. “Chi possiede incarichi istituzionali deve esserne responsabile di fronte al popolo sovrano – continua Abadila – mentre ora tutto quello che riguarda l’attività del re (politica e economica) non può essere soggetto a critiche, nemmeno i suoi discorsi possono essere dibattuti in parlamento (art. 28). Il sovrano nomina il primo ministro, i cinque ministri chiave detti non a caso di “sovranità” (Interno, Esteri, Difesa, Giustizia e Affari religiosi) ed ha il potere di sciogliere il governo ed entrambe le camere del parlamento (artt. 24, 27). La commissione Manouni non toccherà nessuno di questi aspetti, del resto lo stesso presidente ha detto chiaramente che la riforma di cui è incaricato non prevede l’instaurazione di una monarchia parlamentare”.
Tra le reazioni più interessanti al discorso di Mohammed VI c’è il comunicato diffuso on-line dal portavoce dell’associazione islamica Giustizia e Carità Fathallah Arsalan (di seguito il testo tradotto in italiano).

“E’ finito il tempo delle costituzioni concesse dall’alto”

Dopo tre settimane di mobilitazioni e di proteste popolari, represse in modo selvaggio dal regime (il bilancio vanno iscritti alcuni martiri e un numero imprecisato di feriti, senza contare i verdetti severi pronunciati dal tribunale contro i manifestanti finiti in arresto), il discorso del re ha annunciato misure ufficiali alle quali apportiamo le seguenti osservazioni:
1) Il discorso ha annunciato una modifica della costituzione che si realizzerà seguendo la stessa formula adottata nel caso delle costituzioni precedenti, il ché significa che avremo una nuova carta concessa per decisione individuale (…). Una carta sprovvista delle esigenze basilari richieste da una costituzione democratica, che presuppongono l’instaurazione di una commissione emanata dal popolo, con una libertà di azione e di riflessione priva di linee rosse e restrizioni, in grado di prendere decisioni indipendenti. La commissione, dopo aver aperto la possibilità a tutte le componenti della società di partecipare al dibattito, deve rendere il suo lavoro al popolo, suo unico referente legittimo, e non al sovrano.
Come si può pretendere di arrivare ad una costituzione popolare democratica se questa resta la concessione di una sola parte, che si appropria della sua concezione e della sua mediatizzazione, impedendo agli oppositori di agire e di esprimersi liberamente? Ci ritroviamo ancora una volta nello stesso clima che ha visto nascere le costituzioni passate, fatte su misura e di cui i risultati erano già noti in anticipo. In un contesto dove si perpetua una volontà di tutela monarchica sul popolo, spogliato della sua volontà e della sua sovranità, il referendum sarà l’ennesimo pezzo di carta in un’urna falsata, sigillo dell’egemonia e del dispotismo.
Le rivendicazioni (del Movimento 20 febbraio, ndr) erano chiare: una assemblea costituente, scaturita dal popolo, nella sua forma come nel suo contenuto e nella sua composizione, in grado di produrre un cambiamento costituzionale essenziale in accordo con tutte le componenti del popolo marocchino, nessuno escluso. Quanto è stato annunciato dimostra la mancanza di volontà a perseguire un cambiamento reale. (…)
2) Le prerogative del sovrano e le implicazioni politico-economiche dell’istituzione reale e della sua entourage costituiscono l’essenza del problema, se non il problema in sé. La soluzione proposta da Mohammed VI non menziona questo aspetto.
3) Nel discorso del sovrano non viene fatta menzione della sacralità della figura monarchica, che resta indiscussa, perpetrando un’anomalia a livello religioso, legale e razionale. (…)
4) Il discorso passa sotto silenzio il monopolio economico del regime, il saccheggio della ricchezza nazionale, l’impoverimento del popolo e la confisca del suo diritto al lavoro, all’insegnamento, alla sanità e alla casa. Come si può accettare una riforma proveniente da chi continua ad esercitare una spaventosa egemonia sulle ricchezze del paese?
5) In assenza dei principi sopra elencati, essenziali a discernere una vera volontà di cambiamento, riteniamo che il solo obiettivo verso cui muove l’atteggiamento del regime è quello di guadagnare tempo per riuscire a contenere la collera del popolo, vanificando l’opportunità di veder concretizzate le sue rivendicazioni legittime.
(11 marzo 2011)

Data la pertinenza del tema, propongo di seguito un breve articolo sulla “sovra-costituzione” marocchina, estratto dalla pubblicazione La libertà di associazione in Marocco (Analisi storica, politica e giuridico-costituzionale del XX secolo marocchino), J. GRANCI, Università degli Studi di Perugia, 2007.

Il costituzionalista Bernard Cubertafond (esperto di diritto marocchino) spiega come il regime alawita abbia cercato di proteggersi nel corso degli ultimi cinquanta anni e come ci sia riuscito, rendendo impossibile la modifica delle prerogative care al potere monarchico, che hanno acquisito uno status superiore alla stessa costituzione che le ha sancite.

Quella che Cubertafond ha definito “sovra-costituzione” rappresenta il nucleo fondamentale, il nocciolo duro su cui poggia la base autoritaria del regime marocchino. Questo insieme di articoli, che assicura il primato del sovrano ponendolo al di sopra del dibattito politico e delle istituzioni a carattere democratico (la camera bassa del parlamento eletta a suffragio universale), è rimasto intatto nel corso delle quattro revisioni costituzionali avute fino ad oggi (dopo l’approvazione della prima carta nel 1962, il testo è stato modificato nel 1970, 1972, 1992, 1996). Del resto le stesse prerogative in questione non possono essere oggetto di revisione, in virtù dell’articolo 106 dell’attuale costituzione che recita: “la forma monarchica dello Stato, così come le disposizioni relative alla religione musulmana, non possono essere fatte oggetto di una revisione costituzionale”. Solo una rivoluzione (o una costituente indipendente che riscriva l’intero testo), conducendo ad un cambiamento radicale della forma di governo, potrebbe far saltare questo rigido dispositivo di garanzia e di tutela dell’assolutismo monarchico.
Anche nel testo del 1996, infatti, che all’articolo 1 definisce il Marocco come “una monarchia costituzionale, democratica e sociale”, continuano a coabitare due strutture legali differenti. La prima, immutabile, è la “sovra-costituzione”, la seconda è la “costituzione subordinata”. Hassan II, fino ad ora l’unico costituente della storia moderna marocchina, ha modificato solo alcuni aspetti della costituzione subordinata, concedendo sì delle aperture democratiche, ma non mutando mai la base autoritaria del sistema politico e sociale, e facendo ben attenzione a non intaccare la sua posizione di dominio monopolistico della vita politica ed economica del regno.
Oltre al già citato articolo 106, fanno parte della “sovra-costituzione” alcune disposizioni relative alla natura dello Stato marocchino, quali il primo paragrafo del Preambolo (che recita: “il regno del Marocco è uno Stato musulmano sovrano, di cui la lingua ufficiale è l’arabo”), l’articolo 6, secondo cui “l’islam è la religione di Stato che garantisce a tutti il libero esercizio di culto”, e l’articolo 7, che afferma: “il motto del regno è Dio, la Patria e il Re”.
Ci sono poi delle specifiche disposizioni in merito alla natura del potere reale, quali gli articoli
  • 19: “Il re, Comandante dei credenti, è il rappresentante supremo della nazione e da ciò simbolo dell’unità. Deve essere il garante della perpetuazione e della continuità dello Stato. Come difensore della fede deve garantire il rispetto della costituzione. Deve essere il protettore dei diritti e delle libertà dei cittadini, dei gruppi sociali e delle organizzazioni. Il re deve essere il garante dell’indipendenza della nazione e dell’integrità territoriale del regno e dei confini stabiliti”.
  • 35: “Quando l’integrità del territorio nazionale è minacciata e possono verificarsi dei fatti che mettono in pericolo il funzionamento delle istituzioni costituzionali, il re può, dopo aver consultato i Presidenti delle camere e del Consiglio costituzionale e, dopo aver indirizzato un messaggio alla nazione, proclamare per dahir lo Stato d’eccezione (…)”.
In base a quanto definito dai presenti articoli, è il re a fissare il limite al di là del quale si ha una trasgressione inammissibile delle regole del gioco politico, capace di giustificare, in risposta, la repressione da parte del sovrano o il ricorso ai poteri eccezionali garantiti dall’articolo 35. Di fatto, almeno storicamente, questa sorta di linea rossa non è mai stata tracciata in modo chiaro e definitivo, tant’è che il giudizio finale sulle azioni dei marocchini rimane tuttora a completa discrezione del monarca. Ma, al di là della linea da non travalicare possono essere collocati con certezza i pilastri della nazione enunciati nell’articolo 7 della costituzione (immodificabili secondo quanto stabilito dall’articolo 106):
  • “Dio”. Richiama la discendenza divina della monarchia alawita, dove il re, come afferma l’articolo 19, è Comandante dei credenti e garante dell’unità politica e religiosa della comunità nazionale. Il riferimento a Dio e alla religione è funzionale al mantenimento della “sovra-costituzione”, tanto che Hassan II l’ha confermato in un’intervista a Le Monde, in cui ha affermato: “l’islam mi impedisce di dar vita ad una monarchia costituzionale nella quale il sovrano deleghi tutti i suoi poteri senza governare”.
  • “Patria”. Sempre in base all’articolo 19, è ancora una volta il re a dover garantire l’indipendenza della nazione e l’integrità territoriale del regno nelle sue frontiere autentiche.
  • “Re”. Il sovrano, oltre ad essere Comandante dei credenti, garante della costituzione e protettore dei diritti e delle libertà (art. 19), viene anche definito “rappresentante supremo della nazione”, sottraendo tale presupposto ad una istituzione direttamente scaturita dalla volontà popolare, come il parlamento, titolare del requisito in tutti i sistemi costituzionali moderni.
In conclusione la monarchia, elevandosi al di sopra delle costituzioni da lei stessa emanate, ha dato fondamento ad un potere di controllo su tutti gli individui, i gruppi e le istituzioni nazionali, compresi gli organi elettivi. Per il sovrano, infatti, gli stessi partiti sono intrinsecamente portatori di esigenze temporanee e particolari, le quali non possono che prevaricare le istanze generali e permanenti che muovono l’umma (l’intera comunità), che soltanto lui è in grado di incarnare e rappresentare in modo proficuo. Una simile pretesa, di carattere inequivocabilmente totalitario, ha ucciso sul nascere le aspirazioni democratiche, fondate al momento sulla dialettica parlamentare e sulla pratica elettorale, germogliate in Marocco negli ultimi quindici anni.

Bibliografia di riferimento
CUBERTAFOND B., La vie politique au Maroc, L'Harmattan, Paris, 2001
OLIVIERO M., Le Costituzioni dei Paesi Arabi – Il Maghreb, Perugia, 2003
BENDOUROU O., “Transition démocratique et réformes politiques et constitutionnelles au Maroc”, in Annuaire de l'Afrique du Nord, tome XXXIX, CNRS Editions, 2000-2001

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