Place Mohammed V, Casablanca (ore 11:30). “Ecco cosa intendeva il re quando nel suo discorso ha parlato di «larga consultazione popolare»”, il commento riportato su Facebook in riferimento a questa foto.
Place Mohammed V, Casablanca (ore 11:30). “Quando la dittatura non ha più argomenti utilizza il manganello”, il commento riportato su Facebook in riferimento a questa foto.
Casablanca, nei dintorni di Place des Nations Unies (ore 12).
Domenica 13 marzo il Movimento 20 febbraio ha indetto un sit-in pacifico in piazza Mohammed V a Casablanca. L’intenzione era quella di manifestare l’insoddisfazione per la risposta data dal re alle aspettative dei giovani con il discorso del 9 marzo scorso. L’idea era quella di ribadire “no alle riforme di facciata, sì ad un cambiamento di sostanza, ad una rottura vera con l’assolutismo monarchico”. Niente più che un’idea, dato che le forze dell’ordine hanno massacrato le sette/ottocento persone radunatesi in piazza alle undici di mattina, ed hanno impedito al resto dei manifestanti di raggiungere il luogo convenuto a colpi di manganello. Verso mezzogiorno i primi comunicati del movimento parlavano già di centoventitre arrestati e di svariate decine di feriti.
Casablanca, nei dintorni di Place Mohammed V (ore 11). Nel cartello esposto dal manifestante si legge "Allah, al Watan, Ashaab ual Hurria" (Dio, la Nazione, il Popolo e la Libertà), in riferimento all'attuale art. 7 della costitizione che recita: "il motto del regno è Dio, la Patria, il Re".
Questo il primo atto di una tragedia che è poi continuata nel pomeriggio, quando oltre mille attivisti si sono radunati di fronte alla sede del PSU (Partito socialista unificato, legalmente riconosciuto e schierato a sostegno del movimento) per protestare contro l’intervento brutale subito poche ore prima e per chiedere la liberazione immediata delle persone trasferite in commissariato. La polizia non ha esitato a continuare la repressione, scagliandosi con violenza contro la folla inerme e pacifica. Un gruppo di agenti in assetto antisommossa ha cercato di penetrare nei locali del PSU, dove avevano trovato rifugio alcune donne e le prime vittime dei pestaggi. Perfino i responsabili del partito, schieratisi al fianco dei manifestanti, sono stati trasferiti all’ospedale Ibn Roch per le gravi contusioni riportate. I medici della struttura hanno confermato di aver soccorso durante tutta la giornata di ieri circa duecento feriti, alcuni in condizioni gravi.
Rue de Agadir, Casablanca (sede del PSU). (ore 14:00)
“Le azioni contano più delle parole. E’ su questa base che deve essere giudicato il discorso del re sulla revisione della costituzione e l’avanzamento verso la democrazia. Per il momento, la volontà riformatrice di cui si è tanto parlato in questi ultimi giorni passa attraverso il manganello!”, è il commento di un’attivista per i diritti umani in merito agli episodi che ieri hanno sconvolto la città di Casablanca.
Rue de Agadir, Casablanca (di fronte alla sede del PSU). Ore 13.30, poco prima dell'intervento della polizia.
Di seguito un breve articolo pubblicato ieri dal celebre blogger marocchino Larbi (Comme une bouteille jettée à la mer) e il racconto in prima persona del giornalista (al settimanale L’observateur) Salaheddine Lemaizi, arrestato dalla polizia in piazza Mohammed VI poco dopo l’inizio della repressione.
Quale credito accordare al discorso di Mohammed VI dopo la repressione selvaggia dei manifestanti che si è avuta oggi a Casablanca ?
Proprio quando i militanti e gli attivisti si aspettavano la liberazione dei prigionieri politici e la possibilità di avere accesso ai media pubblici, il regime ha risposto con una violenza incredibile e incomprensibile, mettendo a segno una sporca provocazione di cui non può prevedere la reazione. Un partito politico legalmente riconosciuto, il PSU, ha visto i suoi locali presi d’assedio e i suoi dirigenti malmenati. In tarda mattinata alcune centinaia di manifestanti sono stati linciati dagli agenti anti-sommossa sulla piazza Mohammed V, ad altri è stato impedito l’accesso a colpi di manganello. Tuttora non si conosce quale sorte sia toccata alle decine di persone rinchiuse nelle celle dei commissariati. E’ questo il lato “operativo” del discorso del 9 marzo? Bisogna arrendersi all’evidenza: in Marocco la repressione è una costante di perpetuità. E non è certo l’assegno in bianco che la classe politica, a larga maggioranza, ha appena consegnato al re dopo il suo discorso che aiuterà a cambiare questo dato di fatto.
Rue de Agadir, Casablanca (sede del PSU). Ore 14:00, l'arrivo della polizia in assetto antisommossa.
“Voglio condividere con voi una piccola esperienza di giornalismo sul campo, vissuta questa mattina nel mio paese. Al momento della repressione del sit-in indetto dal Movimento 20 febbraio a Casablanca molti giornalisti sono stati arrestati e si sono visti confiscare il loro materiale. E’ stato anche il mio caso. Quando mi hanno arrestato stavo fotografando dei feriti in condizioni gravi trasportati verso le ambulanze. Ho provato a spiegare alla polizia che ero un giornalista, ma non ne hanno voluto sapere niente. Un agente mi ha preso la macchina fotografica e il telefono. Poi mi hanno caricato in macchina e ammanettato, colpito e insultato (“ti mostreremo cosa significa essere giornalista, figlio di puttana! La legge e la libertà di stampa te le puoi mettere nel…”). In seguito sono stato trasferito assieme ad altre persone fermate assieme a me nel commissariato centrale (Anfa). Dopo due ore di detenzione sono stato liberato; il capo della polizia giudiziaria si è mostrato un po’ più rispettoso quando ha saputo che ero un giornalista. Sono riuscito a recuperare le mie cose non senza difficoltà, poiché gli agenti non avevano dichiarato il materiale confiscato e probabilmente volevano tenerselo per loro.
L’intervento eseguito della forze di sicurezza questa mattina è stato di una brutalità atroce e il trattamento riservato alle sessantadue persone ammassate nel commissariato di Anfa è stato a dir poco degradante. Tra loro c’era perfino un ragazzino di dodici anni che passava per caso in piazza Mohammed V. Una donna di cinquantotto anni è stata malmenata durante l’arrivo al posto di polizia. Nei corridoi c’erano quattro persone con evidenti fratture (naso, braccia, gambe..) che la polizia si è rifiutata di far trasferire in ospedale. Insomma, è stata una vergogna!”
(Salaheddine Lemaizi)
N. B.: Si ringrazia il giornalista Mehjoub Feryate (Akhbar Al Youm) per aver messo a disposizione alcune delle foto proposte in questo articolo.
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