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mercoledì 16 marzo 2011

Marocco. A. Jamai rilancia l’informazione indipendente in francese

Ali Anouzla nella redazione di Lakome
Il giornale on-line Lakome.com, come annunciato qualche giorno fa a (r)umori dal Mediterraneo dal suo fondatore Ali Anouzla, è ormai disponibile in versione francofona. Lakome, creato circa tre mesi fa in lingua araba, è diventato un punto di riferimento irrinunciabile con le sue 100 mila visite giornaliere per tutti coloro che vogliono accedere ad un’informazione indipendente nel paese. Un’esigenza sempre più necessaria, dopo la stretta autoritaria del regime che negli ultimi anni ha portato alla chiusura dei supporti meno inclini alla propaganda ufficiale del Palazzo (gli esempi più recenti, Al Jarida Al Oula e Nichane), ha radiato i giornalisti più zelanti dalla professione (Ali Lmrabet, direttore dei settimanali Demain e Doumane, è stato condannato a quattro anni di carcere e poi al divieto dell’esercizio per dieci anni) o ha costretto quei direttori non abbastanza accomodanti ad abbandonare il territorio nazionale (è il caso di Ahmed Benchemsi, direttore di Tel Quel fino al dicembre 2010).
Aboubakr Jamai
L’avvio della versione Lakome in lingua francese segna il ritorno nel panorama mediatico marocchino del noto giornalista Aboubakr Jamai, già fondatore e direttore dei settimanali Le Journal (poi Le Journal Hebdomadaire, vittima del boicottaggio pubblicitario nel gennaio 2010) e Assahifa. A completare l’equipe nei locali di avenue Al Alaouyine (Rabat) altre due penne d’eccezione, Aziz El Yaakoubi (Zamane, Le Journal Hebdomadaire) e Omar Radi (Les Echos, Atlantic Radio). Ed è proprio con uno scoop sulla chiusura dei settimanali Le Journal e Assahifa (oltre a Demain), ordinata dal primo ministro Abderrahman Youssoufi nel dicembre 2000, che Jamai e compagni hanno inaugurato la nuova avventura. In base alle rivelazioni fatte a Lakome da un ex consigliere (Abdelaziz Nouidi) del premier socialista, non fu Youssoufi a volere l’interdizione dei tre giornali ma il Palazzo reale attraverso l’intervento del consigliere di fiducia di Mohammed VI Andrès Azoulay.




Di seguito un estratto dell’intervista rilasciata da Aboubakr Jamai a (r)umori dal Mediterraneo nel novembre del 2009, in cui l’ex direttore del Journal Hebdomadaire ritorna sull’episodio che nel 2000 mise fine in modo inaspettato alle sue prime pubblicazioni (leggi intervista integrale). A seguire, la traduzione dell’articolo di Aziz El Yaakoubi, contenente le nuove rivelazioni di Nouidi, pubblicato da Lakome.com lo scorso 15 marzo.


Intervista ad Aboubakr Jamai (Casablanca, 17 novembre 2009)

J. G. : Nel 2000 Le Journal scompare, come pure Assahifa (la sua versione arabofona), e arriva in edicola Le Journal Hebdomadaire. Che cosa è successo?
A. J. : Per capire quanto successo nel 2000, bisogna prima prendere in esame il contesto e poi il fatto in sé. Il Marocco, già durante gli ultimi anni di Hassan II, aveva intrapreso un cammino di apertura. Non dico di democratizzazione, ma di piccole riforme. Lo dimostrano le nostre pubblicazioni del tempo. Abbiamo osato cose oggi impensabili. Più di una volta abbiamo messo in copertina Ben Barka, addirittura Serfaty, ben prima del suo ritorno in patria, quando ancora era proibito anche solo parlarne. Abbiamo chiesto pubblicamente il licenziamento di Driss Basri quando ancora era ben saldo nella sua poltrona di Gran vizir. Le Journal si era dato una missione precisa: esercitare un controllo mediatico su tutte le élites che partecipano alla gestione del paese. Le élites politiche, finanziarie e militari. Questa funzione di analisi critica era strettamente proporzionale al peso assunto dalle élites stesse.
Pensavamo che il nuovo re proseguisse sulla strada della riforma e dell’apertura, ma ci siamo sbagliati. Nel 2000, ad un anno dall’ascesa al trono di Mohamed VI, ci siamo accorti che il monarca non aveva alcuna volontà di dare seguito alle sue promesse di democratizzazione. Non per questo abbiamo rinunciato alla nostra linea editoriale. Risultato: la morte del giornale. Ci hanno fatto chiudere i locali due volte in quell’anno, con una circolare proveniente dal Ministero dell’Interno, dunque senza nemmeno un processo o un qualunque accertamento giudiziario. La prima volta in aprile, dopo aver pubblicato l’intervista a Mohamed Abdelazziz (capo del Fronte Polisario), in via provvisoria. La seconda il 2 dicembre. Questa volta in via definitiva. Una data che ha segnato la fine del Journal e di Assahifa. La verità è che sotto Hassan II non siamo mai stati censurati. La repressione si è abbattuta prima su Le Journal e poi su Le Journal Hebdomadaire solo dopo l’avvento di Mohamed VI.

J. G. : Con quale pretesto, nel dicembre del 2000, vi costrinsero alla chiusura?
A. J. : Avevamo pubblicato un’inchiesta che accusava la sinistra marocchina di complicità in occasione del colpo di Stato intentato dal generale Oufkir (1972). I vertici dell’UNFP (Unione Nazionale delle Forze Popolari, da cui nacque nel 1975 l’Unione Socialista delle Forze Popolari) erano al corrente dell’iniziativa del generale e avevano garantito il loro appoggio. C’erano delle lettere, fino a quel momento tenute nascoste, che dimostravano tutto questo. Una volta arrivate in nostro possesso, abbiamo deciso di pubblicarle. A partire da allora, la complicità dell’UNFP nel golpe viene ritenuta una verità storica anche dagli accademici. E tutto questo grazie a Le Journal, che come riconoscimento ha ricevuto una condanna a morte per aver “cospirato contro la democrazia”.

J. G. : Questo accadeva mentre Youssoufi (USFP) era primo ministro. Era il primo governo “di alternanza”, il primo passo verso quella che era ritenuta una trasformazione democratica. Niente a giovato?
A. J. : Il partito socialista era direttamente coinvolto nell’affare. Invece di difendere i diritti dei cittadini, come aveva fatto fino a quel momento, il governo Youssoufi diede vita ad una campagna di linciaggio nei nostri confronti, attraverso la stampa di partito. Credo per darsi una legittimità agli occhi del nuovo re. La monarchia non poteva che felicitarsene e dare man forte.
Dopo la chiusura di Le Journal e Assahifa, ho chiesto immediatamente l’autorizzazione per la creazione di un nuovo giornale. Senza successo. Di fronte ad un rifiuto ingiustificato ho iniziato uno sciopero della fame, che per mia fortuna è durato solo due giorni. La stampa internazionale si è mobilitata attorno al nostro caso, così come le associazioni per i diritti umani. La buona fede e le promesse di Mohamed VI iniziavano ad essere messe in dubbio, ed il regime ha dovuto concederci l’autorizzazione. Così è nato Le Journal Hebdomadaire.


Il Palazzo e Andrès Azoulay dietro la chiusura di Le Journal, Assahifa e Demain nel dicembre 2000?

Nell’intervista rilasciata a Lakome.com, Abdelaziz Nouidi, consigliere dell’ex primo ministro Abderrahman Youssoufi, lascia intendere che la decisione di chiudere i tre settimanali indipendenti Le Journal, Assahifa e Demain fu presa direttamente dal Palazzo reale e non dal premier, che al tempo si era assunto ogni responsabilità.

Sabato 2 dicembre 2000, tre giornali marocchini indipendenti (Le Journal, Assahifa e Demain) furono vietati su decisione del primo ministro dell’epoca Abderrahman Youssoufi per “attacco alla stabilità dello Stato e ai fondamenti istituzionali del paese”. La chiusura arrivò dopo la pubblicazione da parte dei tre settimanali di una lettera dell’oppositore Mohamed Basri, nella quale si parlava di un coinvolgimento della sinistra nel tentativo di colpo di Stato attuato dal generale Oufkir nel 1972. Dieci anni fa, Abderrahman Youssoufi era stato considerato il principale responsabile dell’interdizione, mentre il Palazzo era rimasto in disparte, lontano dalla vicenda. Bisogna sottolineare che il primo ministro socialista si era assunto pubblicamente l’intera responsabilità della decisione. Oggi Abdelaziz Nouidi, all’epoca consigliere di Youssoufi, rivela in quali circostanze venne adottato il provvedimento e gli scenari in cui maturò una censura che fece scandalo a livello internazionale.
“Il pomeriggio del 1° dicembre 2000 ero nell’ufficio di Youssoufi quando il consigliere reale Andrès Azoulay chiese un incontro con il primo ministro. Se ben ricordate, Azoulay al tempo era l’addetto alla comunicazione del Palazzo reale. (…) L’atmosfera era tranquilla al momento in cui il consigliere venne ricevuto dal Premier. Quest’ultimo mi presentò ad Azoulay come suo consigliere nel campo dei diritti umani e di conseguenza capii che i due volevano discutere in privato di un tema delicato. Salutai entrambi e uscii dall’ufficio”.
Con grande stupore Abdelaziz Nouidi, il giorno seguente, ha saputo della decisione del primo ministro di chiudere i tre giornali. “Mi ricordo che Abbas El Fassi, all’epoca ministro del Lavoro, aveva dichiarato che la decisione non era stata presa dal Consiglio dei ministri”. In effetti, l’interdizione è arrivata dopo una settimana dalla pubblicazione della lettera in questione. “Confesso che il provvedimento fu un vero choc per tutti. Mi ricordo che Abderrahman Youssoufi incassò critiche da ogni parte. Ma, poco dopo quel 2 dicembre, ricevette una lettera del gabinetto reale dove Mohammed VI gli ribadiva il suo amore e il suo rispetto. Una lettera davvero insolita, poiché questo genere di espressioni non era mai stato utilizzato in Marocco per qualificare i rapporti tra il sovrano e il suo primo ministro”.
“Dopo aver letto la lettera, ho chiesto ad Abderrahman Youssoufi se era felice. Mi ha risposto, con aria profondamente rattristata, che tutta la vicenda gli era costata la perdita di molti amici. Ne ho concluso che molte decisioni, tra cui la chiusura dei tre settimanali, erano state prese contro la sua volontà e che la sua era una situazione difficile”.
Andrès Azoulay aveva trasmesso al premier Youssoufi l’ordine di bloccare i tre giornali indipendenti durante quella famosa riunione? Abdelaziz Nouidi continua: “questa è una mia conclusione. La decisione è stata presa subito dopo la visita del consigliere del re, quel venerdì pomeriggio”. Nouidi afferma inoltre che il capo del governo di alternanza guardava con rispetto alle tre pubblicazioni in questione, ma non scarta l’ipotesi che quest’ultimo (visto l’ombra di discredito che la lettera di Basri gettava sulla sua figura e sul suo partito, ndt) abbia adottato un tale provvedimento per impedire che “i tre giornali minassero la fiducia necessaria al governo per conseguire le riforme annunciate”. In ogni caso, conclude lo stesso Nouidi, “tutti gli indizi di cui ho parlato confermano che non fu lui a decidere e a concepire la chiusura del Journal e degli altri due settimanali”.
(Aziz El Yaakoubi, 15 marzo 2011)

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