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sabato 1 giugno 2013

Marocco: la miniera della morte

A Jerada, confine nord-orientale del paese, gli abitanti scavano pozzi artigianali per raggiungere gli strati di antracite nascosti nel sottosuolo. Rischiano la vita ogni giorno, basta un leggero cedimento delle pareti a condannarli al soffocamento. E' quanto successo la scorsa settimana a due giovani minatori (22 anni), scesi in fondo alla descendrie e mai tornati in superficie.
(Foto by Jacopo Granci)

Due vittime che si aggiungono al lungo elenco locale di caduti sul lavoro. Una trentina all'anno, in media, gli uomini che rimangono intrappolati nelle piccole gallerie (40 cm di altezza) erose ai filoni di combustibile fossile, senza più riuscire ad uscirne.

Per scendere in fondo al camino del pozzo si servono di una corda legata sotto al bacino, collegata ad una carrucola che viene azionata manualmente dagli operai rimasti in superficie. (Foto by Jacopo Granci)
La profondità delle descendries, dove i minatori si calano senza contratto, protezioni sindacali né misure minime di sicurezza, può arrivare fino 60-70 metri.


Una volta raggiunto il giacimento di carbone, inizia la perforazione orizzontale, che avviene seguendo la linea del filone. Le descendries sono puntellate soltanto da piccoli tronchi, rimediati dalle (ormai) scarse foreste della zona. (Foto by Jacopo Granci)
  
A fine giornata il carbone viene raccolto e trasferito al 'deposito', un ampio spiazzo ricoperto da sacchi di iuta e mucchi di antracite dove uomini e (soprattutto) donne procedono al triage.


I blocchi estratti dai pozzi vengono lavorati a mano con martelli e setacci, e poi selezionati a seconda della grandezza e della destinazione. Il compenso giornaliero varia da un minimo di 50 dirham (circa 5 euro) per le donne, fino ad un massimo di 80 dirham (circa 8 euro) per gli uomini. (Foto by Jacopo Granci)
I minatori, invece, vengono pagati a cottimo dal piccolo nucleo di compratori - ribattezzati 'baroni' - che oggi detiene le licenze di sfruttamento rilasciate dall'autorità locale. Jerada era conosciuta in passato come una delle maggiori riserve di carbone del continente, oltre che per l'ottima qualità dei suoi filoni. Ma la miniera, inaugurata da una società belga sotto il Protettorato e poi gestita dallo Stato marocchino, ha chiuso ufficialmente nel 2000. Per esaurimento del prodotto e perdita di concorrenzialità, aveva precisato allora il governo; per il rapporto di forza instaurato dal movimento sindacale e le richieste avanzate dai lavoratori, ribattono i minatori.

A far propendere per la seconda ipotesi, la prova che l'attività continua. Con mezzi alternativi, senza nessuna forma di tutela né benefici contrattuali, a tutto vantaggio di chi detiene i permessi di vendita e, allo stesso tempo, il potere di imporre il prezzo della materia prima.

(Foto by Jacopo Granci)
Intanto l'estrazione dell'antracite, nonostante gli alti rischi correlati (oltre al crollo delle descendries, la contrazione della silicosi e altre malattie respiratorie), rimane la sola possibilità di sopravvivenza per gli abitanti della zona. Una condizione che li condanna ad una sorta di moderna schiavitù.

A volte succede che i 'dannati del carbone' sollevino la testa per dire basta alla negazione dei diritti più elementari e della dignità. Come nei giorni scorsi, in occasione dei funerali dei due ragazzi morti soffocati, o come nel dicembre del 2009, quando i minatori erano scesi in strada per denunciare il ricatto dei 'baroni'.

La risposta delle autorità, oggi come allora, è stata la repressione. Fino a quando i cittadini di Jerada saranno disposti a sopportare pacificamente?

(Foto by Jacopo Granci)

Per maggiori informazioni sui minatori di Jerada (reportage gennaio 2010) clicca qui.

Per vedere il fotoreportage completo clicca qui.

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