A
Jerada, confine nord-orientale del paese, gli abitanti scavano pozzi artigianali
per raggiungere gli strati di antracite nascosti nel sottosuolo. Rischiano la
vita ogni giorno, basta un leggero cedimento delle pareti a condannarli al
soffocamento. E' quanto successo la scorsa settimana a due giovani minatori (22
anni), scesi in fondo alla descendrie
e mai tornati in superficie.
(Foto by Jacopo Granci) |
Due
vittime che si aggiungono al lungo elenco locale di caduti sul lavoro. Una
trentina all'anno, in media, gli uomini che rimangono intrappolati nelle
piccole gallerie (40 cm di altezza) erose ai filoni di combustibile fossile,
senza più riuscire ad uscirne.
La
profondità delle descendries, dove i
minatori si calano senza contratto, protezioni sindacali né misure minime di
sicurezza, può arrivare fino 60-70 metri.
A
fine giornata il carbone viene raccolto e trasferito al 'deposito', un ampio
spiazzo ricoperto da sacchi di iuta e mucchi di antracite dove uomini e
(soprattutto) donne procedono al triage.
I
minatori, invece, vengono pagati a cottimo dal piccolo nucleo di compratori - ribattezzati
'baroni' - che oggi detiene le licenze di sfruttamento rilasciate dall'autorità
locale. Jerada era conosciuta in passato come una delle maggiori riserve di
carbone del continente, oltre che per l'ottima qualità dei suoi filoni. Ma la
miniera, inaugurata da una società belga sotto il Protettorato e poi gestita
dallo Stato marocchino, ha chiuso ufficialmente nel 2000. Per esaurimento del
prodotto e perdita di concorrenzialità, aveva precisato allora il governo; per
il rapporto di forza instaurato dal movimento sindacale e le richieste avanzate
dai lavoratori, ribattono i minatori.
A
far propendere per la seconda ipotesi, la prova che l'attività continua. Con
mezzi alternativi, senza nessuna forma di tutela né benefici contrattuali, a
tutto vantaggio di chi detiene i permessi di vendita e, allo stesso tempo, il
potere di imporre il prezzo della materia prima.
(Foto by Jacopo Granci) |
Intanto
l'estrazione dell'antracite, nonostante gli alti rischi correlati (oltre al
crollo delle descendries, la
contrazione della silicosi e altre malattie respiratorie), rimane la sola
possibilità di sopravvivenza per gli abitanti della zona. Una condizione che li
condanna ad una sorta di moderna schiavitù.
A
volte succede che i 'dannati del carbone' sollevino la testa per dire basta
alla negazione dei diritti più elementari e della dignità. Come nei giorni
scorsi, in occasione dei funerali dei due ragazzi morti soffocati, o come nel
dicembre del 2009, quando i minatori erano scesi in strada per denunciare il
ricatto dei 'baroni'.
La
risposta delle autorità, oggi come allora, è stata la repressione. Fino a
quando i cittadini di Jerada saranno disposti a sopportare pacificamente?
(Foto by Jacopo Granci) |
Per
maggiori informazioni sui minatori di Jerada (reportage gennaio 2010) clicca qui.
Per
vedere il fotoreportage completo clicca qui.
Nessun commento:
Posta un commento