Si
intitola Free Weld 15 il videoclip
realizzato da alcuni artisti del regno per chiedere la scarcerazione del rapper
tunisino Alaa Yaakoubi, alias Weld El 15,
e denunciare gli abusi e le censure ancora in voga nei due paesi. Il video è
frutto della collaborazione di 3 mc della scena casablanchese - la "Oukacha
Family", composta da Danger, Ghadeb e Mouad L'haqed - e del regista
militante Nadir Bouhmouch (autore dei documentari My Makhzen and Me e 475. When Marriage becomes Punishment).
"Weld
El 15 non cedere, non piegare la testa. Da Casablanca a Tunisi la libertà ci
aspetta…. Con le loro leggi vogliono fare di noi dei criminali", recitano alcuni
dei versi della canzone, mentre le immagini di repertorio a supporto del brano
ripercorrono alcuni degli episodi più cruenti che hanno segnato la repressione
nei due paesi, durante e dopo le rivolte pacifiche iniziate più di due anni fa.
Il
processo d'appello contro Alaa Yaakoubi, condannato in prima istanza a due anni
di reclusione per "attacco al pubblico pudore, insulto ai funzionari e
minaccia alla sicurezza dello Stato", è iniziato la scorsa settimana. Il
tribunale ha rifiutato la richiesta di scarcerazione provvisoria, in attesa del
verdetto previsto per il prossimo 2 luglio.
Il
giovane artista, sostenuto in aula dalla presenza di numerosi musicisti e
attivisti, si è presentato al giudice indossando una maglietta con la scritta "polsi ammanettati, spirito
libero". Gli avvocati di Alaa hanno denunciato il carattere politico
di un processo definito "storico", poiché rischia di infliggere un
duro colpo alla libertà di espressione, "recentemente e a fatica
conquistata grazie alla rivoluzione di cui tanti Weld El 15 si sono resi
protagonisti".
Nel
mirino delle autorità tunisine, il videoclip Boulicia kleb ("I poliziotti sono cani") diffuso dal
rapper a fine 2012. "A chi afferma che ho incitato alla violenza rispondo
che ho adottato lo stesso linguaggio che la polizia usa con noi. Ci minacciano
verbalmente e fisicamente. Come artista l'unica replica che posso concepire è
attraverso le parole. Sono violenti, ho dato loro un'arte violenta",
dichiarava Alaa a Nawaat qualche
tempo fa.
"Non
mi pento di niente, non ho tirato pietre e mi assumo la responsabilità di tutto
quello che ho detto: i miei versi nascono dal mio vissuto e da quello del mio
quartiere. A ricercarmi oggi sono gli stessi che hanno sparato contro i
manifestanti, ma non sono stati perseguiti né puniti per questo".
Da
ricordare che il rapper L'haqed, uno
dei volti più in vista della protesta marocchina del 2011, era stato condannato
ad un anno di carcere (già scontato) per aver composto e diffuso sul web una
canzone simile a quella imputata a Weld El 15. Anche lui, come il suo omologo
tunisino, aveva scagliato le sue rime contro le forze di sicurezza, definendo
"cani" quei poliziotti che si accaniscono sulla popolazione inerme, colpevole
di alzare la testa per rivendicare maggiori diritti e dignità.
"Non
ho bisogno né di pettegolezzi, né di fama o di soldi. Ho solo un messaggio da
lanciare: vorrei che la polizia rispettasse il popolo e che la cosa fosse
reciproca… - conclude Alaa - Ho espresso la mia opinione, credendo che ci fosse libertà.
Evidentemente mi sbagliavo".
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