"Fare cinema mi ha fatto uscire dal guscio, mi ha
permesso di guardare al mio paese da una prospettiva diversa. Prima di girare
il documentario 475 non mi
consideravo femminista. Ora sono diventato più attento a riconoscere i
pregiudizi e le raffigurazioni patriarcali della donna nel mondo che mi circonda".
Intervista al regista Nadir Bouhmouch.
(di Allison L. Mc
Manus per Jadaliyya
- traduzione a cura di Giulia Consolini) La violenza sessuale non è un
fenomeno nuovo. In Caliban and the Witch,
Silvia Federici ripercorre la nascita della violenza sessuale come fenomeno
sociale nell’Europa post feudale. In quell’epoca, l’emergente alleanza tra Stato
e borghesia cauzionava le bande che stupravano e umiliavano le donne degli
strati più bassi. Questa vergognosa tolleranza aveva uno scopo preciso:
spezzare la solidarietà tra classi e creare una valvola di sfogo per le
frustrazioni di una classe nascente di uomini poveri, operai, senza risorse
politiche. In sintesi, meglio la violenza contro le donne che la violenza
contro lo Stato.
Circa settecento anni dopo, la violenza sessuale pervade
ancora la società contemporanea, attraversando confini tra Stati, religioni e
culture. Il recente stupro di gruppo che ha provocato la morte di una giovane
donna su un autobus in India, la permanenza dell'abuso come strumento di
guerra, le violenze sessuali a Piazza Tahrir: la frequenza, l’intensità e
l’impennata di questo tipo di avvenimenti è sconcertante.
Il film 475
indaga il caso di Amina Filali, una ragazza marocchina di 16 anni, il cui
suicidio pubblico ha dominato i media internazionali e marocchini. Amina aveva
accusato un giovane del suo villaggio di stupro; quando le autorità hanno
fallito nell’accertare le sue accuse, la giovane è stata data in sposa al suo
stupratore, seguendo i dettami dell’articolo 475 del codice penale, che scagiona
uno stupratore se prende in moglie la sua vittima. Non molto tempo dopo, Amina
ingoia del veleno per topi, cammina fino al centro del mercato del villaggio,
dove si spegne.
Mettendo in risalto l’ampiezza del problema, l'equipe di 475 ha scoperto durante le riprese del
documentario che lo stupro di Amina Filali e il conseguente matrimonio era solo
uno dei quattro casi simili accaduti recentemente nel piccolo villaggio. Hanno
anche scoperto che il resoconto dell’esperienza della Filali non era così
semplice come è stato dipinto. Mentre il film evidenzia la difficoltà nel
determinare le colpe, mette in mostra con perizia la natura endemica del
problema della violenza sessuale in Marocco. Il punto non è dare la colpa a
quello che è diventato poi il marito di Amina, ma condannare la prontezza della
società ad accettare la situazione.
Perché le autorità si sono astenute dall’intervenire nel
caso di Amina? Perché hanno rinunciato, in così tanti casi, a perseguire i colpevoli
di stupro? Perché il Primo ministro Abdelilah Benkirane e il ministro della Famiglia
(unica donna dell'esecutivo) Bassima Hakkaoui sono così impegnati a sminuire le
denuncie di violenze contro le donne?
Come succedeva nell'Europa descritta dalla Federici, la
violenza sessuale sembra tollerata, addirittura legittimata dal potere. E la
solidarietà tra classi è una reale minaccia all’egemonia del regime marocchino,
il makhzen (leggi "apparato di
potere"). La resistenza al makhzen
è sempre stata sistematicamente e violentemente repressa; la tolleranza (e a
volte l’uso diretto) della violenza sessuale e l’umiliazione della donna devono
essere lette in quest’ottica.
Attraverso i filmati di Benkirane e Hakkaoui, le
interviste alla presidente dell’Associazione marocchina per i diritti umani
(AMDH) Khadija Riyadi, all’avvocato Omar Benjelloun, le famiglie di Amina
Filali e del suo ex marito Mustapha, 475
racconta non solo la storia di Amina, ma della relazione tra violenza sessuale
e repressione dello Stato. Collegamento che ha una ripercussione non solo in
Marocco, ma su uomini e donne in tutto il mondo.
Regista del documentario è Nadir Bouhmouch. Nadir, nato e
cresciuto a Rabat, studia attualmente alla San Diego State University dove è a
capo della sezione locale di Amnesty International e sta scrivendo la sua tesi
sulla violenza sessuale in Marocco. 475
è il suo secondo film dopo l'esordio con My
Makhzen & Me.
Il
tuo primo film My Makhzen & Me (MMAM) si incentrava sulle proteste del
movimento 20 febbraio. Queste proteste hanno influenzato l’espressione della dissidenza
in Marocco? In che modo?
In modo significativo. Molti ritengono che le proteste
del '20 febbraio' sono state un fallimento, io non sono affatto d'accordo.
Quello a cui stiamo assistendo in Marocco è simile a ciò che è accaduto in
Egitto dopo il movimento 6 Aprile. Il movimento ha avuto un successo iniziale ed
è stato subito schiacciato dalla repressione e dalla manipolazione politica. In
quel periodo, alcuni pensavano che il '6 aprile' fosse morto. Guardiamo invece all’Egitto
oggi: ribolle di dissenso e resistenza. Questo perché il '6 aprile' ha lasciato
in eredità nuove organizzazioni della società civile estremamente attive,
proprio come sta accadendo oggi ai margini del '20 febbraio'. Sono forme di attivismo
che in alcuni casi hanno un obiettivo più mirato, come gli studenti, ma servono
comunque ad indebolire l’autorità del makhzen.
(…) Quindi, ciò a cui assistiamo è una società civile più ricca (non in termini
finanziari, certo) che possiede una crescente cultura dissidente. Come in
Egitto, credo che eventi importanti mobiliteranno di nuovo la società
marocchina e le diverse componenti finiranno per compattarsi contro il makhzen.
E’ cambiato il processo di produzione - sia da un punto di vista formale che di significato - dal primo al secondo film?
Sì. Per esempio, la prima volta ho lavorato da solo e non
in squadra come invece successo con 475.
Questo ha indubbiamente facilitato alcune cose ma ne ha rese altre più
complicate. Prendere decisioni è diventato più difficile perché c’erano diverse
opinioni da tenere in considerazione. Allo stesso tempo, ha fatto sì che il
messaggio che volevamo trasmettere attraverso il film diventasse più
strutturato. Con una troupe, le cose diventano più semplici. Sono davvero grato
a tutti i membri di Guerrilla Cinema per il duro lavoro che hanno fatto; senza di loro non sarebbe stato
possibile realizzare questo film.
Un’altra cosa che è cambiata è il quantitativo di girato.
Per MMAM ho registrato circa 100GB di
filmati, per 475 500GB. Questo
contando solo le nostre riprese. Quindi, in termini di post-produzione, c’era
molto più lavoro da fare. Ci è voluto molto tempo per scegliere parte dei
filmati prima di riassumere ogni video con qualche parola su un post-it e
attaccarlo al muro, in modo da organizzare un ordine narrativo coerente. (…)
Hai
sperimentato qualche resistenza nel girare 475? Puoi specificare il quadro
legale che vincola il contesto cinematografico marocchino?
In termini di problemi con le autorità, siamo stati
fortunati e non abbiamo incontrato nessun problema serio. Ad ogni modo ci sono
stati dei momenti di tensione in cui ce la siamo cavata per miracolo. Siamo
stati costretti ad eliminare - sotto minaccia - dei filmati di un caid (autorità
locale). Alla fine ci ha lasciato andare senza confiscarci il materiale.
Quanto al quadro legale, ci sono molti ostacoli istituzionali
sul cammino di ogni film maker in Marocco. Sono tutti studiati per censurare il
prodotto finale. Il Centre cinématographique marocain (CCM) è l’istituzione che
si occupa di tutto. La sua esistenza risale agli 'anni di piombo', quando
Hassan II combatteva l’opposizione di sinistra e la crescente dissidenza
artistica. L’intento del CCM è di incanalare tutta la produzione in
un’istituzione per ‘ridurre il campo d’azione’ alle opere dissidenti, malviste.
E’ come un canestro.. più piccolo è il canestro e più difficile è per la palla
entrare. Il CCM è quel piccolo canestro costituito da diverse regole: il
rilascio di un permesso/carta per i cineasti (che puoi ottenere solo dopo aver
fatto un certo numero di film, un sistema che è di per sé viziato perché ti
impone di andare contro la legge se vuoi lavorare legalmente); per richiedere
un permesso per filmare devi essere parte di una casa di produzione; devi
consegnare un testo (o un progetto per documentari) che una commissione poi
esamina. Quest’ultimo punto è quello più soggetto alla censura.
Di
recente è stata proposta l’abolizione dell’articolo
475 comma 2. Nella stessa settimana il deputato Hassan Arif è stato assolto
dall’accusa di stupro nonostante il test del DNA provasse la sua colpevolezza.
Come valuti questa proposta, tenuto conto del contesto più ampio della lotta
contro la violenza sessuale nel paese?
Penso che l’eventuale abolizione dell’articolo 475 non
avrà nessuna influenza sul persistere della violenza sessuale in Marocco. (…)
Nella stragrande maggioranza dei casi, il processo legale non è in alcun modo
coinvolto nel matrimonio forzato delle ragazze. E sto parlando solamente dei
casi che riguardano lo stupro di minori. Se pensiamo ad altre circostanze, come
per esempio lo stupro all’interno del matrimonio, lo Stato non riconosce
neppure l'esistenza di un reato.
Un altro punto che voglio sottolineare è che c’è stata
molta speculazione su Amina e la sua relazione con il presunto stupratore.
Direi che possiamo mettere fine a quelle voci adesso, aveva una relazione con
lui. Ma ciò che molti marocchini sembrano non afferrare è che gli stupri
avvengono anche all'interno delle coppie. Per questo sono scettico (…).
E poi quando si parla di violenza sessuale non bisogna
limitarci ai casi di stupro. C'è la questione delle violenze domestiche, le
molestie quotidiane sui luoghi di lavoro, il resto della legislazione da
riformare…la battaglia è ben più complessa.
(…)
Sei
un artista e un attivista. Quale ruolo gioca il cinema nella tua esperienza?
Un ruolo fondamentale, nella mia crescita umana e come
attivista. Fare film mi ha permesso di toccare con mano aspetti difficilmente
una non incontra nel suo quotidiano. Ho conosciuto attivisti, femministe, ex
prigionieri politici, vittime di stupro e stupratori. Il cinema mi ha fatto
uscire dal guscio, ha invertito la prospettiva 'privilegiata' da cui guardavo
il mio paese permettendomi di vederlo sotto una luce diversa.
Nella pratica, prima che realizzassi My Makhzen & Me, non mi consideravo parte del movimento 20
febbraio, mentre dopo sì. E poi ancora, prima di 475, non mi consideravo femminista e, anzi, rifiutavo a priori
questa etichetta. Ora sono fiero di poter affermare che sono un femminista. E’
davvero complicato riuscire a spiegare fino
a che punto questi documentari hanno avuto un impatto su di me. Tutto ciò che
so è che i film che farò d’ora in avanti incorporeranno ancora i principi della
lotta per l'uguaglianza e la democrazia. Sono diventato più attento a
riconoscere i pregiudizi, o le raffigurazioni patriarcali della donna nel mondo
che mi circonda, ed è qualcosa che sento il bisogno di continuare a mettere in
evidenza.
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