Lungo
le vallate dei fiumi Gheris, Todgha e Dadès, al riparo delle oasi di Goulmima,
Tinghir e Kelaat un nuovo genere è letteralmente esploso nell'ultimo decennio. Canzone
di protesta, matrimonio di strumenti moderni con i ritmi e le cadenze tradizionali
del Sud-est marocchino, l'Amun Style non è un semplice fenomeno culturale.
Incontro con l'iniziatore Moha Mallal.
Due generazioni a confronto: Mallal (sinistra) e Nba |
"Amun è un'antica
divinità egizia di cui restano ancora molte tracce nell'area di Siwa (Egitto
occidentale), dove vivono altri imazighen (plurale di amazigh,
"berbero", nda) - spiega Moha Mallal, poeta e leader
del gruppo omonimo - Amun deriva dalla
parola tamunt, che in berbero significa 'unione' e 'fratellanza'. Nel nostro
caso, simboleggia il melange stilistico e lo spirito solidale che unisce gli
artisti della regione, e la nostra adesione alle rivendicazioni
del movimento amazigh sul piano nazionale, quindi il nostro impegno civico e politico
attraverso la musica".
Moha
Mallal, prossimo ai cinquanta ma portamento ed entusiasmo da ventenne, è nato a
Tamlalte - villaggio pedemontano situato lungo il corso del fiume Dadès - ed
oggi insegna arti plastiche all'università di Ouarzazate. Artista polivalente,
è anche pittore e caricaturista, ha iniziato a scrivere poesie e a registrare
le prime cassette negli anni '80, influenzato dall'esperienza cabila e dai
cantautori francesi. In quei tempi, mentre i suoi nastri circolano nelle
facoltà, Mallal entra in contatto con i primi attivisti amazigh.
"Ricordo che
all'università avevamo diversi testi dove i berberi erano descritti come
selvaggi ignoranti, usciti dalla preistoria solo grazie all'arrivo degli arabi
e dell'islam. Io iniziavo all'epoca a prendere coscienza della mia cultura e
delle tradizioni ancestrali in essa custodite. Non ero più disposto ad accettare
la falsificazione in silenzio ed ho reagito con i mezzi a me più
familiari".
La
parola e la chitarra. Strumenti che serviranno a Mallal per "far conoscere
la causa" e per raccontare la quotidianità di una terra dimenticata,
povera ma fiera. Uno spaccato del Marocco profondo, lontano - non solo
geograficamente - dai piani di sviluppo sbandierati dal governo di Rabat.
"Difendere
l'identità amazigh diventa un bisogno naturale quando si conoscono le
difficoltà economiche e lo sradicamento culturale vissuto dai propri
concittadini. Per me significa trovare i versi e la melodia adatti a descrivere
le loro condizioni, a tramandarne la memoria e a denunciare la carenza cronica
dello Stato (strade, scuole, ospedali). Allo stesso tempo, significa esaltare
la grandezza di una popolazione che pur nell'indigenza non ha mai perso la
dignità".
Nonostante
il sostegno degli attivisti berberi e delle associazioni culturali, che danno
linfa al movimento negli anni '90, il matrimonio tra modernità e tradizione,
tra influenze esterne e sonorità locali proposto da Mallal non riscontra un
successo immediato.
"La società fatica
ad accettare le novità, ha bisogno di un margine di tempo per fare l'orecchio e
riconoscersi".
E'
solo dopo l'apparizione del gruppo Saghru Band e grazie al carisma del suo
giovane leader Mbark Oulaarbi che il nuovo genere acquista seguito e risonanza.
Mbark, meglio conosciuto sotto lo pseudonimo Nba, è un laureato disoccupato
quando nel 2005 muove i primi passi lungo il percorso tracciato da Mallal.
Cantante, chitarrista e sassofonista, si afferma come portavoce dei tanti Moha (titolo del primo album) che
popolano il Sud-est. Generazioni imprigionate tra il passato eroico della
resistenza alla colonizzazione (Saghru è il nome del massiccio su cui si
combatté l'ultima battaglia tra le tribù degli Ait Atta e le truppe francesi),
la paura della repressione - sperimentata a più riprese dopo l'indipendenza -,
la mancanza di lavoro e prospettive e la voglia di riscatto.
Il gruppo Tawargit |
Il
linguaggio di Nba è più diretto rispetto a quello di Mallal e l'impatto
travolgente. La sua morte per una malattia incurabile nel 2011 (aveva 29 anni) ha
rappresentato uno choc profondo per tutta la regione. Allo stesso tempo, però,
ha contribuito a farne un simbolo, un'icona per gli altri musicisti e per i
giovani in cerca di un modello, che non esitano a paragonarlo a Lounes Matoub.
"Nba era molto di
più che un semplice artista - confida Mallal - era un amico colto e generoso, un esempio
di quello che il talento e la passione possono fare malgrado le difficoltà e i
mezzi ristretti. La sua scomparsa, paradossalmente, è stata un detonatore per
la scena locale, come se le altre band avessero sentito il bisogno di
continuare la sua opera".
Oggi,
nel Sud-est marocchino, si contano oltre trenta gruppi ascrivibili al fenomeno
Amun Style. Tagrawla ("la rivoluzione"), Tawargit ("il
sogno"), Imal ("l'avvenire"), Iylaln ("le ali"), Amnay
("il cavaliere"), i loro nomi bastano ad evocare il desiderio di
cambiamento e la lettura critica della situazione attuale - sul piano
culturale, sociale e politico - che emerge dai loro testi.
Il
'pioniere' Mallal, intanto, ha allestito un home studio semi-professionale per
la registrazione dei brani, che mette a disposizione dei giovani artisti, in
maggioranza studenti universitari. Ha anche fondato l'associazione Tazra'art
assieme alla sorella Fatima (pittrice ormai affermata su scala internazionale,
'scoperta' dalla scrittrice Fatima Mernissi) per promuovere eventi culturali e
organizzare carovane di sensibilizzazione artistica nelle scuole della regione.
Lo
scorso anno Mallal ha inciso l'ottavo album della sua carriera, dal titolo Amersal.
"Si
tratta di un fenomeno naturale che attacca il terreno fertile e lo rende
totalmente sterile, a causa dell'eccesso di sali. E' il ritratto della mia
terra, dove troppo spesso gli abitanti originari sono stati estromessi e
costretti a partire, a cercare fortuna altrove, lasciandosi dietro case in
rovina, raccolti bruciati dal sole e sentieri ricoperti da erbacce".
Disegno di Moha Mallal |
Le chiederei innanzi
tutto un chiarimento storico-geografico sul termine Sud-est..
Il
Sud-est non esiste da un punto di vista amministrativo, ma designa uno spazio
più o meno omogeneo in termini di conformazione territoriale che parte
dall'Alto Atlante orientale - Ouarzazate, Errachidia, Midelt - e arriva fino al
deserto della frontiera algerina, Fguig, Merzouga, Zagora. Popolato
storicamente da numerose tribù e confederazioni tribali berbere, i suoi abitanti
hanno conservato nella memoria un senso di comune attaccamento e condividono
lingua e tradizioni. La zona, benché ricca di risorse minerarie (argento,
zinco..), è segnata da un'economia essenzialmente rurale e pastorale e dalla
carenza di infrastrutture, tanto che - dopo l'indipendenza del Marocco (1956) -
l'assenza di politiche di sviluppo ha spinto parte della popolazione locale ad
emigrare verso le grandi città della costa atlantica o all'estero.
Nelle decine di album
prodotti fino ad ora dai gruppi Amun Style è possibile reperire canzoni incise
in lingue differenti (francese, inglese, darija - la variante locale
dell'arabo) ma la maggioranza dei testi sono composti in tamazight. Cantare
nella propria lingua madre, non riconosciuta fino al 2011 dalla costituzione e
ferocemente osteggiata sotto gli anni di piombo, costituisce già in sé un atto
di ribellione?
Un
atto di emancipazione soprattutto, un segnale della nostra esistenza. 'Mai più
piangerò in silenzio' ho scritto in una poesia (Yuda, nda) per affermare che la mia lingua non è 'né morta né
dimenticata', come qualcuno vorrebbe far credere. L'utilizzo in pubblico della tamazight anche nei decenni passati
testimonia la nostra resistenza ai canoni della cultura nazionale 'ufficiale',
una cultura manipolata dalle autorità che hanno imposto l'arabizzazione
dell'insegnamento e delle amministrazioni.
E'
vero che dal 2001, con la creazione dell'Ircam,
la nostra lingua ha fatto un timido ingresso nelle scuole e nei media, ma il
ricordo della sua criminalizzazione rimane difficile da cancellare. Ecco allora
tutta la nostra fierezza nel declamarla apertamente, cercando così di offrirle
una nuova dignità artistica. Ad ogni modo, possiamo cantare in qualunque lingua
che conosciamo, il nostro non è un messaggio di esclusione o di odio razziale
ma di umanità.
Viaggiando tra le oasi
e i palmeti del Sud-est, di villaggio in villaggio, non è sorprendente notare
gruppi di ragazzi, anche adolescenti, riuniti attorno ad una chitarra. La
diffusione di questo strumento moderno può essere considerato il simbolo
dell'effervescenza musicale in atto nella regione?
Sì,
come prima lo è stata nel Rif (Marocco settentrionale, nda) e in Cabilia (Algeria, nda).
Da noi è un fenomeno recente e fino al successo dei Saghru Band c'era ancora un
po' di titubanza nei confronti del nostro stile. Oggi invece la chitarra si
trova dappertutto e sempre più ragazzi si avvicinano allo strumento. Attraverso
l'associazione TazrArt o altre organizzazioni culturali ne distribuiamo diversi
esemplari all'anno.
Anche
io avevo cominciato così, strimpellando una chitarra che mio padre - operaio in
una miniera gestita dai francesi - mi aveva regalato quando ero piccolo.
Lasciava che mi esercitassi piuttosto che mandarmi al lavoro nei campi, come
facevano tutti gli altri genitori nel villaggio dove sono cresciuto..
Al di là del recente
proliferare di gruppi e giovani artisti, che diventano un esempio da seguire, come
spiega una simile diffusione?
Da
una parte l'estensione dell'accesso a internet, dove si possono trovare corsi e
consigli utili, dall'altra la facilità di apprendimento rispetto ad altri
strumenti, tenuto anche conto della completa assenza di conservatori o scuole
di musica nella regione.
Per
cominciare a suonare il lutar (liuto
a tre corde, strumento tradizionale della zona. Nda), ad esempio, servono anni di esercizio. Nel caso della
chitarra molto meno, ed offre una gamma sonora più vasta. Questo è senz'altro
un aspetto positivo, ma allo stesso tempo mi interrogo - in prospettiva futura
- sul rischio della semplificazione e dell'imitazione. E' importante non
voltare le spalle al patrimonio locale e conservare la nostra impronta,
garanzia di originalità. La chitarra è solo un punto di partenza..
Qual è l'impronta del
Sud-est?
Offrire
una veste universale alle sonorità e ai ritmi che costellano il nostro
patrimonio, questo significa conservare l'impronta. Andare a riscoprire i canti
collettivi - soprattutto femminili - che accompagnavano ogni fase del lavoro sui
campi (semina, raccolto, battitura del grano, impollinazione delle palme..), le
danze ahidous, ahwaj e tagnawt (gnawa) con
i loro strumenti tipici (bendir e percussioni in generale, lutar..).
Mi
spiego meglio. Anni fa per comporre una canzone in stile touareg mi sono recato
a Boughmaz, un paesino del Dadès inerpicato sull'Atlante, dove la vibrazione
vocale delle donne richiama il tindé
del deserto. I ritmi ahwaj di
Ouarzazate invece - in passato tappa obbligata del commercio degli schiavi che
furono impiegati nella costruzione delle famose kasbah - rinviano a sonorità
centrafricane molto vicine al reggae. Il lavoro di ricerca e le prove in studio
possono durare mesi, a volte anni, prima di trovare il miglior 'matrimonio' con
gli strumenti moderni.
Quali sono le tematiche
che ricorrono con più frequenza nelle canzoni dei gruppi Amun Style?
Tutto
ciò che ha a che fare con la riappropriazione di un'identità a lungo negata. Si
tratta di una canzone impegnata, militante, sul piano culturale e su quello
politico. Una canzone che racconta le ferite inferte al nostro popolo e la sua
resistenza decennale di fronte all'avanzata dei coloni, dimenticata dalle
autorità una volta riacquisita l'indipendenza.
L'Amun
Style è un appello alla riscoperta della solidarietà, all'unione di tutti gli
uomini liberi contro la corruzione e il dispotismo che ci governa. Una denuncia
della disoccupazione e della precarietà sociale, e un invito a celebrare le
bellezze amare della nostra terra.
A proposito di appello
alla solidarietà, se non sbaglio da qualche mese sta girando su internet il video di una sua canzone
a sostegno della protesta
di Imider, dove gli abitanti si sono sollevati contro l'inquinamento e la
penuria idrica provocata dalla vicina miniera d'argento..
Sì,
si intitola Inkerd Imider
("Imider si risveglia") ed è un omaggio a questi uomini e a queste
donne da quasi due anni in sit-in
permanente sulle pendici del monte Alebban, nonostante le minacce e gli arresti
subiti. E' un tentativo di far conoscere la loro battaglia pacifica, boicottata
dai media, e per l'occasione anche altri artisti sono venuti in studio per
registrare i loro contributi a Imider (ad esempio il gruppo Tagrawla). Cercheremo di
ripetere l'iniziativa con nuove canzoni in omaggio ai detenuti del movimento
amazigh.
Quali sono i canali di
diffusione per gli artisti del Sud-est? Avete la possibilità di esibirvi in
pubblico?
La
rete resta il canale privilegiato, in molti casi siamo noi stessi a fare
'autopirataggio' su internet. In alternativa abbiamo trovato una piccola casa
discografica di Casablanca disposta a produrre i nostri cd per un prezzo di
favore (7500 dirhams, circa 750 euro per mille copie. Nda). I musicisti fanno la colletta tra amici e parenti, a volte
tra compagni di università, per stampare i loro album e poi si incaricano loro
stessi della diffusione, quasi un porta a porta.
I
gruppi Amun Style sono conosciuti e seguiti nella regione, ma nel resto del
paese fanno ancora fatica ad affermarsi. La nostra musica difficilmente passa
alla radio o in televisione, è vittima di boicottaggio perfino nei canali
amazigh (governativi, come la rete 8 creata nel 2010), se non fosse per il
coraggio di qualche singolo giornalista pronto a dare battaglia pur di
trasmettere i nostri pezzi e le interviste ai musicisti.
Anche
dal vivo le occasioni di mettersi in mostra non sono molte. Con la mia band non
facciamo più de 5/6 concerti all'anno. I festival ufficiali - locali o
nazionali - sono quasi incessabili agli artisti engagés del Sud-est. Restano le serate culturali organizzate dalle
associazioni e dal movimento berbero nei campus universitari.
Abbiamo già accennato
alle influenze della Cabilia di Idir, Matoub e Oulahlou. Quali
contaminazioni e di che tipo hanno contribuito alla fissazione dell'Amun Style?
L'attaccamento
all'immaginario cabilo non si riflette soltanto sul piano poetico e musicale, peraltro
innegabile, ma anche sul piano dell'attivismo regionale, definito radicale
dalle altre componenti del movimento per i toni e le forme precocemente assunte
(manifestazioni permanenti, blocco delle strade, boicottaggio delle istituzioni
ben prima della recente 'primavera', nda).
E i legami non si limitano al piano simbolico: i contatti tra gli attivisti dei
due versanti si sono moltiplicati all'inizio degli '90 - prima della chiusura
delle frontiere con l'Algeria - e le cassette e i libri degli artisti e degli
intellettuali cabili erano oggetto di un vero e proprio contrabbando culturale.
Io
stesso ne ho beneficiato: ricevetti in regalo da alcuni militanti un libro con
i testi di Ait Menguellet accompagnati dalla traduzione francese. Un libro
importante per la mia maturazione compositiva e per l'apprendimento del
dialetto cabilo.
Più in generale, parlando di influenze e
contaminazioni esterne, è doveroso menzionare l'esperienza dei Tinariwen.
Il loro blues del deserto ha fatto scuola anche in Marocco e le affinità tra
l'Amun Style e la Teshumara
sono tutt'altro che retoriche: in entrambi ritroviamo l'unione tra la
tradizione ritmica berbera e gli strumenti moderni, oltre all'utilizzo della
musica come veicolo per la rivendicazione sociale e identitaria.(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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