Arrêt sur image

venerdì 17 giugno 2011

In attesa della nuova costituzione, ancora le vecchie abitudini

RABAT – Mancano solo poche ore al discorso di Mohammed VI e alla presentazione del nuovo testo costituzionale, voluto dallo stesso sovrano dopo l’inizio delle contestazioni nel paese. Intanto il Movimento 20 febbraio ha già fissato una nuova giornata di mobilitazione per domenica 19 giugno. Indipendentemente dagli avanzamenti più o meno “democratici” che stabilirà la carta, le manifestazioni per il cambiamento non si arresteranno. Tuttavia, secondo le prime indiscrezioni filtrate in rete, la tanto annunciata divisione dei poteri, l’indipendenza della giustizia e la cancellazione dell’art. 19 (che sancisce il potere religioso del monarca, base per il suo controllo assoluto) non saranno contemplate dal testo partorito dalla commissione Mannouni (nominata dal sovrano e non scelta dal popolo, come invece chiedeva il movimento).
Se l’impianto politico e istituzionale del “Marocco della nuova era” – celebrato dal Palazzo e dagli alleati occidentali (in primis Francia e USA) – non sembra quindi avviato verso il cambiamento promesso, le pratiche repressive di un regime autocratico e autoritario restano concretamente immutate. Ce lo ricordano gli attacchi brutali contro i manifestanti pacifici, un’escalation di violenza cominciata il 15 maggio e terminata il 2 giugno con la morte dell’attivista Kamal Omari. Oppure gli arresti dei manifestanti a Fes e i maltrattamenti dei prigionieri durante gli interrogatori. Infine, la condanna dei dieci attivisti della regione di Bouarfa, vittime di un processo politico denunciato a gran voce dall’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo.
E’ proprio su quest’ultimo episodio che si concentra l’articolo scritto per (r)umori dal Mediterraneo dalla ricercatrice Montse Emperador, professoressa all’Università di Lione e studiosa dei movimenti sociali in Marocco. Di seguito la traduzione in lingua italiana.



L’altra faccia della revisione costituzionale marocchina. Dieci attivisti associativi e sindacali condannati a tre anni di prigione.

Dopo un processo durato quasi dodici ore, la notte scorsa (alba del 17 giugno) dieci attivisti associativi e sindacali sono stati condannati dai due ai tre anni di carcere nella cittadina di Bouarfa (situata nella regione dell’Orientale, a settanta chilometri dalla frontiera algerina). I capi d’accusa mossi contro i militanti sono “manifestazione illegale” e “utilizzo o incitazione all’uso della violenza contro le forze dell’ordine”. Tuttavia, per raccontare questa storia, è necessario fare un passo indietro. Il 18 maggio scorso, nove ragazzi erano finiti in arresto a seguito di un intervento della polizia contro il sit-in dei diplomés-chomeurs (laureati-disoccupati), che da alcuni giorni bloccava le strade della città. I nove sono stati rilasciati il giorno stesso, ma in meno di una settimana è partita una nuova ondata di arresti: il 24 maggio altre nove persone sono state condotte, manette ai polsi, nella prigione di Bouarfa.
Il 26 maggio, durante il processo per direttissima contro i nove fermati due giorni prima, la sezione locale dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti dell’uomo) ha organizzato un raduno di solidarietà di fronte al tribunale di prima istanza di Bouarfa. Nel corso della manifestazione, due membri dell’AMDH e allo stesso tempo sindacalisti presso la CDT (Confederation democratique du travail) sono stati arrestati con l’accusa di “incitamento all’uso della violenza contro le forze dell’ordine” dispiegate in massa per l’occasione.
Uno dei due attivisti incarcerati il 26 maggio è Saddik Kabbouri, segretario generale della sezione cittadina della CDT, membro dell’organizzazione per la tutela dei diritti umani e coordinatore, dal 2006, di una rete associativa locale promotrice di una campagna di mobilitazione contro il degrado dei servizi pubblici e l’aumento del prezzo dei prodotti di base. La coordinazione di Kabbouri aveva ottenuto, dal maggio 2006, la distribuzione gratuita dell’acqua potabile, dopo una serie di manifestazioni di massa che avevano visto la partecipazione di oltre 10 mila persone (la metà della popolazione cittadina). Il boicottaggio contro l’ONEP (Office National de l’eau publique) ha permesso a tutti gli abitanti del territorio di poter ignorare le fatture dell’acqua ed ha promosso la rete guidata da Kabbouri al rango di interlocutore sociale privilegiato nel dialogo con il potere in carica. La coordinazione, infatti, non si è fermata alla gestione dell’acqua pubblica, ma ha continuato la sua azione di denuncia, mettendo in primo piano il problema della qualità della sanità pubblica, la riduzione del tasso di disoccupazione e la corruzione dilagante in seno al consiglio municipale.
Tale movimento, dal carattere prettamente sociale, si è sviluppato a ridosso di una congiuntura geo-climatica segnata dalla siccità, che ha seriamente penalizzato l’economia della regione. Situata in una zona prettamente arida, la vitalità mineraria (rame e manganese) della città durante l’epoca del Protettorato è rimasta un vago ricordo. Con l’esaurimento dei prodotti del sottosuolo e la chiusura delle miniere, la popolazione attiva di Bouarfa è attualmente ripartita tra pubblico impiego, allevamento e la raccolta dei tartufi. Quest’ultima è senz’altro l’attività più lucrativa, dal momento che il prodotto è quasi interamente esportato sul mercato internazionale. Tuttavia si tratta di una risorsa instabile, sottomessa ai capricci meteorologici. Nel 2005, l’accumulo di diverse annate di siccità aveva fatto scomparire questa possibilità di impiego. In un contesto di crescente tensione sociale, alcuni giovani e disoccupati avevano organizzato quattro tentativi di “emigrazione collettiva” verso la vicina Algeria. A colpire è la forte carica simbolica del gesto: la frontiera tra Marocco e Algeria, all’altezza di Bouarfa, resta ancora contesa, parzialmente minata e integralmente militarizzata. Gli abitanti disposti a compiere, oltrepassando il confine, un simile atto di trasgressione ribadivano “la necessità di cercare una soluzione altrove”, lontano da un paese che li condanna alla hogra (termine traducibile con “miseria, disperazione e mancanza di prospettive”).
Bouarfa non è rimasta insensibile alle proteste animate in tutto il territorio nazionale dal Movimento 20 febbraio. Questa piattaforma politica, le cui origini risalgono agli appelli diffusi dai giovani marocchini attraverso internet fin dal mese di gennaio, ha già indetto e realizzato cinque giornate di manifestazioni nazionali per esigere, tra le altre cose, la democratizzazione delle istituzioni politiche. L’obiettivo finale implica la limitazione del ruolo esecutivo esercitato dal re, costituzionalmente garantito, l’indipendenza della giustizia e la fine della logica oligarchica con cui viene gestita ogni attività economico-finanziaria nel paese. Nella regione dell’Orientale, la coordinazione guidata da Kabbouri ha fatto proprie le rivendicazioni del “20 febbraio”, integrandole con alcune problematiche locali: l’alto tasso di disoccupazione, la precarizzazione dei servizi pubblici e la marginalizzazione politica ed economica della ex cittadina di minatori.
Stando a quanto riferito da una delegazione dell’AMDH giunta a Bouarfa per seguire il processo, il verdetto emesso qualche ora fa dalla corte di primo grado sarebbe viziato dalle condizioni criticabili in cui si è svolta l’udienza: agli accusati non è stato nemmeno permesso di sedersi in aula, mentre il giudice non ha lasciato la possibilità all’avvocato di esporre la propria linea difensiva né tantomeno le sue critiche relative ai vizi di procedura emersi dopo gli arresti. Gli attivisti per i diritti umani presenti in tribunale denunciano il “processo politico” montato ad arte contro i membri più attivi di un movimento sociale che ha tenuto testa alle autorità locali per più di cinque anni.
Le accuse concernenti la natura politica del processo e della condanna emessa contro i militanti di Bouarfa arriva appena due giorni dopo che la commissione consultiva per la revisione della costituzione (nominata dal sovrano nel marzo scorso) ha rimesso la sua proposta ai partiti e alle associazioni implicate nei lavori della “commissione Mannouni”. Mohammed VI pronuncerà questa sera (17 giugno) un discorso alla nazione durante il quale presenterà i punti salienti del nuovo testo costituzionale (che sarà sottoposto a referendum entro 15 giorni). Le indiscrezioni filtrate attraverso la stampa parlano dell’ampliamento delle competenze riconosciute al primo ministro, al governo e al parlamento. Ciò nonostante, il susseguirsi di fenomeni repressivi, come quelli di Bouarfa o le violenze sui manifestanti registrate il 29 maggio, o ancora la condanna ad un anno di carcere (emessa l’8 giugno) all’indirizzo di Rachid Nini, caporedattore del quotidiano Al Massae, il giornale più venduto in Marocco, sembrano suggerire che gli apparati di sicurezza continueranno a rimanere al di sopra del controllo delle urne.

1 commento:

Anonimo ha detto...

bravo amico mio! buon lavoro e riguardati! Lucia