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mercoledì 22 giugno 2011

Marocco: nuova costituzione, vecchio regime?

Una riforma “cosmetica” l’ha definita l’ex direttore del settimanale marocchino Tel Quel Ahmed Benchemsi. Per il sito di informazione Mamfakinch, la nuova costituzione voluta dal re Mohammed VI promette solo una “democrazia ingannevole”. Queste alcune delle reazioni negative suscitate nell’opinione pubblica dal discorso del sovrano (17 giugno) a margine del quale è stato presentato il nuovo testo costituzionale che sarà sottoposto a referendum il 1° luglio.



Dopo l’inizio delle contestazioni nel paese, quattro mesi or sono, Mohammed VI aveva annunciato (il 9 marzo scorso) una riforma della carta marocchina in senso democratico. Nonostante il plauso e le felicitazioni delle principali cancellerie occidentali, il testo redatto dalla commissione Mannouni delude quanti si attendevano un cambiamento profondo della struttura di regime e una concreta limitazione dei poteri del sovrano. Il progetto della nuova costituzione, pur definendo quella marocchina una “monarchia costituzionale, democratica, parlamentare e sociale, (…) fondata sulla separazione, l’equilibrio e la collaborazione dei poteri” (art. 1), non assicura, infatti, il rispetto delle prerogative enunciate.
Nonostante alcuni innegabili avanzamenti, per esempio il riconoscimento della lingua amazigh come idioma ufficiale del regno (dopo l’arabo), il diritto di voto ai marocchini all’estero e “la volontà di raggiungere la parità tra uomo e donna” (come recita l’art. 19), restano vasti i poteri attribuiti al sovrano e centrale il suo ruolo decisionale nell’impianto istituzionale.
Mohammed VI, “Capo dello Stato e suo Rappresentante supremo, Simbolo dell’unità della nazione, Garante della perennità e della continuità dello Stato, Arbitro supremo delle sue istituzioni” (art. 42), mantiene la presidenza del Consiglio dei ministri (con la possibilità di delegare, a propria discrezione, alcune funzioni esecutive al primo ministro, che nel testo viene enfaticamente chiamato Capo del governo – art. 48), ha la facoltà di approvare le leggi (art. 50) e di emanare dahir (decreti reali, art. 42). Nomina i ministri (su proposta del Capo del governo, art. 47, anche se i cinque “ministeri di sovranità” – Interno, Esteri, Difesa, Giustizia e Affari islamici – resteranno sotto il suo diretto controllo) e può mettere fine alle loro funzioni (art. 47). Allo stesso modo, può sciogliere entrambe le camere del parlamento (art. 51) e dichiarare lo stato d’emergenza (art. 59). Mohammed VI resta vertice degli apparati militari (art. 53) e referente di tutte le forze di sicurezza – polizia, polizia politica e servizi segreti – che operano nel regno (in quanto Presidente del Consiglio Superiore di Sicurezza, come stabilisce l’art. 54).
La nuova carta costituzionale, inoltre, conserva intatto il ruolo di “suprema guida religiosa” attribuito al monarca alawita (riconosciuto come discendente del profeta Mohammed) su volere del vecchio re Hassan II. In base all’art. 41, il sovrano è Amir Al Mouminine (Capo dei credenti), presiede il Consiglio degli ulama ed esercita in maniera diretta ed esclusiva tutte le prerogative religiose del caso. Sopravvive in questo modo il vecchio art. 19, nel mirino delle contestazioni, di cui negli anni passati è stato fatto un uso prettamente politico per imporre il volere reale e mettere a tacere le opposizioni (per esempio con la minaccia dell’allontanamento dalla Umma islamica). Del resto, la stessa Corte suprema (ora Corte costituzionale, di cui il re nomina la metà dei membri e il presidente, art. 130) aveva stabilito in passato che “tutte le decisioni del re, in quanto Amir Al Muminine, non possono essere oggetto di nessun ricorso”. Quando poi all’articolo 41 si affiancano gli articoli 56 e 57 – “il re presiede il Consiglio superiore del potere giuridico” e nomina i magistrati – il quadro si completa. La costituzione voluta da Mohammed VI accentra (come in passato) tutti i poteri (salvo alcune deleghe concesse al primo ministro, scelto all’interno del partito uscito vincitore dalle elezioni politiche) nelle mani di una sola figura, il sovrano. Perfino la giustizia, presentata sulla carta come un “potere indipendente”, rimarrà sotto il suo controllo.
Le rivendicazioni del Movimento 20 febbraio, che durante quattro mesi ha continuato a chiedere “un re che regna ma non governa”, e il riconoscimento della piena sovranità popolare non sono state prese in considerazione (nel testo la sovranità "appartiene alla nazione"). Il Marocco continuerà a reggersi, dunque, su una “monarchia costituzionale”, che per implicita ammissione della stessa costituzione sembra avere tutti i requisiti di una “monarchia assoluta”.
“Per me è chiaro – afferma Larbi, blogger dissidente marocchino, voce emblematica della dissidenza nel paese – eravamo sotto un regime dove la monarchia godeva di vasti poteri e il re guidava l’esecutivo, e resteremo sotto lo stesso regime, con qualche ritocco di facciata”. Lo stesso Larbi, nell’articolo Pourquoi je rejette la constitution de Mohammed VI, ricorda: “La commissione ad hoc incaricata di preparare la revisione è stata partorita interamente dal monarca, composta essenzialmente da uomini e donne di comprovata fedeltà al re. Il Palazzo, cieco e sordo, ha scelto di ignorare le proteste di coloro che l’avevano spinto alla riforma e ha deciso di appoggiarsi su una classe politica atrofizzata e infeudata, che per di più era ben lontana dal domandare una nuova carta. Si è rivolto con disprezzo alle contestazioni del Movimento 20 febbraio, che ha subito rifiutato questo modello imposto. Fin dall’inizio, non erano presenti le condizioni necessarie all’elaborazione di una costituzione democratica”.

Il popolo manifesta contro il progetto della nuova costituzione. Tangeri, domenica 19 giugno.

I giovani del “20 febbraio” hanno convocato domenica 19 giugno manifestazioni di protesta in tutto il paese. La risposta della popolazione è stata notevole (soprattutto a Tangeri e a Casablanca, dove hanno sfilato circa 25 mila persone). Il movimento ha respinto in modo categorico il nuovo progetto costituzionale, considerato niente più che “una riforma sultanesca”, lontana dalle aspirazioni democratiche di cui si è fatto portavoce. La strategia dei dissidenti è chiara: continuare le mobilitazioni e promuovere una campagna di sensibilizzazione per il boicottaggio del referendum (a cui hanno già aderito alcune organizzazioni politiche, sindacali e associative che sostengono il “20 febbraio”). Resta da vedere con quali mezzi i sostenitori del cambiamento radicale attueranno la loro campagna di sensibilizzazione, dato che la macchina mediatica (ed economica) del regime, appoggiata da/su i principali partiti dell’arco parlamentare, ha già dispiegato le sue forze per consacrare “la rivoluzione del re” con il plebiscito delle urne (va considerato inoltre che i marocchini avranno a malapena il tempo di leggere - o ascoltare, visto che il 50% della popolazione è analfabeta - il nuovo testo prima di sottoporlo al voto, dato che solo tredici giorni separano la presentazione della carta dal referendum).
In più, dopo il discorso pronunciato dal sovrano, nelle piazze marocchine sono comparse, per la prima volta dall'inizio delle contestazioni, centinaia di “supporters del monarca” (sudditi fedeli o figuranti addestrati e pagati dalle autorità?) che, tra venerdì 17 e domenica 19 giugno, non hanno esitato ad attaccare (non solo verbalmente, ma anche fisicamente) i dissidenti scesi in strada. Risultato: bandiere e striscioni del movimento bruciati, lancio di uova e sassi contro i manifestanti, mentre sono spuntati i primi gruppi di baltajia (termine traducibile con “delinquenti”) che oltre alle foto del re brandiscono bastoni ed armi bianche (vedi foto in basso).
Domenica scorsa a Rabat quasi duemila royalistes – per lo più ragazzi tra i dieci e i vent’anni – hanno sfiorato il linciaggio degli attivisti dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani) e dei pochi membri del “20 febbraio” giunti in anticipo al quartiere Takadum, luogo in cui si sarebbe dovuta svolgere la marcia degli oppositori. Nella cittadina di Safi, dove il 2 giugno l’attivista Kamal Omari è morto in seguito alle violenze inflittegli dalla polizia durante una manifestazione, un “raduno spontaneo” di fedeli del sovrano intonava il coro: “il popolo vuole hashish e pasticche allucinogene”. Lo stesso giorno, a Casablanca, un individuo attorniato dai ritratti di Mohammed VI e da una decina di compagni esultanti dichiarava fiero: “abbiamo fatto quindici prigionieri del 20 febbraio e gli abbiamo sfilato i cellulari”. A pochi passi qualcun altro arringava i passanti al grido di “viva il re”, mostrando mazzette di banconote da 200 dirhams (circa 20 euro, il taglio massimo disponibile).
Per il giornalista Khalid Jamai, “gli strateghi del regime sembrano aver dimenticato che facendo appello a queste «orde di depravati» come strumento repressivo, oltre ad attentare alla stessa immagine e credibilità di Mohammed VI, stanno trasformando pericolosamente il referendum sulla costituzione in un referendum sulla persona del monarca”. In effetti sembra che qualcuno, come già accaduto in Tunisia e in Egitto prima della caduta dei rispettivi despoti, stia cercando di mettere il popolo contro il popolo in nome di presunti valori supremi (quale per esempio l’intangibilità del sovrano alawita), anche a costo della spirale di violenza che potrebbe innescare un simile confronto.


A questo proposito, propongo la lettura dell’articolo scritto da Francesco la Pia – testimone domenica scorsa a Rabat del tentativo di linciaggio operato dai royalistes a danno dei militanti del “20 febbraio” – pubblicato sul sito meridianionline.


Marocco: attacco ai manifestanti a pochi giorni dal referendum

Domenica 19 giugno a Rabat, nel quartiere popolare di Takadoum, i supporters del sovrano Mohammed VI hanno lanciato la sfida al Movimento 20 febbraio. I giovani attivisti della capitale avevano infatti convocato un corteo per esprimere il proprio dissenso rispetto alla proposta del nuovo testo costituzionale voluto dal monarca dopo l’inizio delle contestazioni nel paese (testo che dovrà essere approvato tramite referendum il 1° luglio). Il Movimento, ritenendo che la nuova costituzione non cambierà la struttura di potere del Marocco e piuttosto, sotto una facciata liberale, manterrà il controllo del re sulla vita politica ed economica, ha chiamato a manifestare in tutto il territorio nazionale.
Mentre le marce di Casablanca, Tangeri, Fez e delle principali città si sono svolte regolamente - sfidando il divieto imposto dal regime -, ed in alcune vi sia stata la repressione da parte degli agenti di polizia (ad Oujda per esempio), nella capitale ad attendere i sostenitori del 20-F, con pietre ed uova, vi era una contromanifestazione dei supporters del re. All'incirca duemila persone, in gran parte giovani e ragazzini, con l'oramai usuale corredo di bandiere e ritratti reali hanno quindi impedito ai sostenitori del no (o meglio del boicottaggio) al referendum di sfilare.
L'atmosfera era festante, anche se – a giudizio di chi scrive – lievemente artificiosa. I dimostranti a più riprese si sono affrettati a dirmi che il loro gesto era spontaneo – difatti circola la voce che queste manifestazioni, così come il presidio permanente dei royalistes situato da quasi un mese dinanzi al Parlamento (l'unico che non abbia subito il divieto) vengano finanziate dal regime.


Domenica 19 giugno, Rabat (Foto Francesco La Pia)

Tuttavia, quando nel quartiere sono stati avvistati alcuni attivisti del 20-F, è iniziata una caccia all'uomo che solo l'intervento della polizia ha potuto contenere. Gli sventurati membri del 20-F si sono dovuti rifugiare nel primo locale disponibile, finché le forze dell'ordine, dopo più di un'ora schierate per proteggerle, non li hanno scortati sulle loro camionette per evitare che la folla li aggredisse.
Già dalla giornata di sabato, in diversi dibattiti radiofonici, vi sono stati diverbi infuocati tra i sostenitori della riforma di Mohammed VI e chi criticava i metodi seguiti dalla commissione ad hoc – istituita dal sovrano – ed il risultato da questa prodotto.
La commissione Manouni – nominata in seguito al discorso reale del 9 marzo e composta da esperti e tecnocrati – ha lavorato per 3 mesi a porte chiuse, senza che trapelassero indiscrezioni. In questo periodo sono filtrati alcuni segnali positivi – offerti all’opinione pubblica – funzionali all’accettazione di questo metodo di elaborazione della carta che, all’interno dell’attuale contesto arabo, non trova eguali. Gli stessi partiti politici hanno avuto accesso alla proposta costituzionale solamente poche ore prima dell’apparizione televisiva del sovrano, senza alcuna possibilità di discutere il progetto o di presentare degli emendamenti. Nel frattempo, in Tunisia il governo provvisorio ha scelto di posporre l’elezione dell’assemblea costituente al 23 ottobre, per garantire un maggior standard democratico, mentre in Islanda i cittadini si esprimono e dibattono sulla futura costituzione via facebook. Sono situazioni ben distinte da quella del regno alawita, nel quale il re non ha neppure preso in considerazione l’idea di una costituente democraticamente eletta.
E' importante segnalare come il sovrano, concludendo il discorso alla nazione pronunciato la sera del 17 giugno, abbia dichiarato esplicitamente il suo voto favorevole nel referendum dell'1 luglio. Ciò pone dinanzi alla questione di un eventuale voto negativo. Verrebbe questo inteso come un gesto contro il sovrano? La questione non è di poco conto se si considerano le percentuali plebiscitarie del si (98,8% nel 1970; 98,8% nel 1972; 99,98% nel 1992; 99,6% nel 1996) delle consultazioni indette da suo padre Hassan II.
Uno degli aspetti più interessanti da seguire in questi dieci giorni che rimangono al referendum sarà lo spazio concesso alle ragioni del dissenso. L’Alta Autorità sulle Comunicazioni e l’Audiovisuale (HACA) ha diramato il 17 giugno una circolare che proibisce ogni appello al boicottaggio del referendum - secondo l’art. 90 del Codice elettorale - ritenendo responsabili i mezzi d’informazione che tollerino questo tipo di messaggio nelle proprie trasmissioni. La stampa ufficiale – in buona parte – non concede voce al 20 Février ed è della settimana scorsa il divieto – posto dal Makhzen – ai tipografi di stampare volantini e striscioni del Movimento, pena l'arresto.
La strategia adottata dal regime ricorda quella antecedente alla cacciata di Mubarak in Egitto: infiltrazioni nelle manifestazioni dell’opposizione ed induzione di situazioni di violenza che permettano al sistema repressivo di agire impunemente. La stampa ufficiale opera un totale discredito nei confronti del Movimento, nell’intento di delegittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica che non ha accesso alla rete informatica. Una situazione che può sfuggire di mano allo stesso Makhzen, nel momento in cui orde di ragazzini vengono lanciate contro degli attivisti.
Ciò nonostante il 20-F ha sfidato ufficialmente il regime, chiamando al boicottaggio. Ma non è solo. Al suo fianco si sono schierati alcune delle organizzazioni che l’hanno sostenuto fin dal principio delle contestazioni, come l’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani), il PSU (Partito Socialista Unitario), il PADS (Partito dell’avanguardia democratica e sociale), il CNI (Consiglio nazionale Ittihadi), la CDT (Confederazione democratica del lavoro), Annhj Addimocrati (partito erede della tradizione marxista-leninista) e Giustizia e Carità (associazione islamista, non riconosciuta ma tollerata dal regime).
Il movimento Amazigh è diviso al suo interno tra i sostenitori del sì (che nella nuova costituzione vedono l’opportunità di un agognato riconoscimento del proprio idioma come lingua ufficiale del regno al fianco dell’arabo) e chi – in linea con l’appoggio dato finora al 20-F – spinge per l’astensione. A giorni è prevista una riunione per cercare una posizione comune, anche se appare difficile che questa possa essere raggiunta.
Tutti i partiti rappresentati in Parlamento (ad eccezione del PSU e del PADS) e la principale centrale sindacale, l’UMT (Unione marocchina dei lavoratori), si sono invece espressi per il sì. (Nel caso dell’UMT è in atto una campagna interna al sindacato per promuovere il boicottaggio del referendum nonostante la linea ufficiale espressa dai suoi rappresentanti, ndr).
Gli schieramenti, oramai, sembrano pressoché definiti; ciò che è accaduto negli ultimi giorni, invece, fa temere una radicalizzazione dello scontro.
Il 20 Febbraio, sebbene questa domenica sia riuscito a mobilitare diverse migliaia di persone nei grandi centri, deve studiare una nuova strategia, per non rimanere confinato nell'universo telematico. Considerando che resta solamente un altro fine settimana prima del referendum, se vuole diffondere tra la popolazione le motivazioni del suo rifiuto alla proposta costituzionale, è necessario che riesca ad introdursi nello spazio mediatico che normalmente lo oscura. La prima prova di un'effettiva svolta democratica per il Marocco consiste in un aperto dibattito sul proprio futuro. Ciò che occorre chiarire è dove questo potrà svolgersi e quali voci potranno ricevere ascolto.

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