Mouad
Belghouat, alias L'haqed
("l'arrabbiato"), è di nuovo in carcere. La condanna ad un anno di
prigione per "oltraggio a pubblico ufficiale" e "offesa ad un
corpo costituito dello Stato" (la polizia) è stata emessa venerdì scorso
dal tribunale di Casablanca. Mouad subisce l'accanimento del regime per i suoi
testi militanti e irriverenti e per il suo sostegno al Movimento 20 febbraio.
Aveva
lasciato la prigione di Oukacha (Casablanca) lo scorso gennaio. L'opinione
pubblica locale e internazionale, le associazioni per i diritti umani, il
"20 febbraio" nelle piazze e gli studenti nelle scuole del regno,
tutti si erano mobilitati per la sua liberazione. Accolto da una folla in festa
di attivisti e amici, dopo aver scontato quattro mesi di detenzione per una
fantomatica aggressione ad un membro della "gioventù pro-monarchica",
Mouad aveva dichiarato: "continuerò a denunciare le ingiustizie del
regime, non è questo il momento di tacere".
Il
rapper ventiquattrenne, cresciuto nella periferia della metropoli atlantica,
non ha taciuto. Non si è lasciato intimidire da quel provvedimento ingiusto né
dalle minacce della polizia politica. Ha continuato a cantare, a sostenere le
iniziative del movimento, a denunciare la corruzione e l'autoritarismo di un sistema
di potere che non riesce ad abbandonare le "vecchie abitudini".
L'haqed
è diventato l'esempio di una nuova generazione che non ha più paura di chiedere
il conto a chi detiene da decenni le redini del paese. Con i suoi testi ha
infranto tabù e linee rosse, chiamando in causa direttamente il monopolio
decisionale del sovrano, l'asservimento della classe politica e gli abusi delle
forze di sicurezza. Un esempio fastidioso.
Così,
dopo appena tre mesi di libertà, Mouad è tornato nella cella di Oukacha (28
marzo). La denuncia questa volta è partita dagli stessi vertici di polizia, che
hanno deciso di perseguire il rapper per la canzone Klab Dawla ("Cani dello Stato"). In un video della
canzone, diffuso anonimamente su YouTube, c'è un fotogramma che sovrappone la
testa di un asino al corpo di un agente. Tanto è bastato per accusare L'haqed di "oltraggio a pubblico
ufficiale" e "offesa ad un corpo costituito dello Stato" (artt.
263 e 265 del codice penale).
Khalid Gueddar e la nuova condanna del rapper |
Le
udienze del processo hanno confermato l'inconsistenza dell'accusa e
l'accanimento nei confronti del dissidente. "Chiunque può usufruire della
mia musica e utilizzarla come crede", ha dichiarato Mouad negando ogni
relazione con il video montato sul testo. "Volete solo un pretesto per
condannare le mie idee e i miei versi".
Secondo
l'avvocato Omar Bendjelloun la condanna del rapper "è puro delirio",
che riflette in sé una volontà politica e un mal celato desiderio di vendetta. La
stessa lettura del verdetto, l'11 maggio scorso, è stata anticipata sull'orario
previsto dal giudice di Ain Sebaa (Casablanca) per evitare la reazione degli
attivisti, sempre numerosi durante le udienze, e per sorprendere i legali di
Mouad.
Poche
ore prima, l'iniziatrice del comitato "Free L'haqed" - Maria Karim -
era stata prelevata da alcuni agenti all'interno del tribunale e rinchiusa
arbitrariamente in custodia cautelare. "Che una cittadina venuta ad
assistere ad un processo pubblico subisca un simile trattamento è
inaccettabile. Siamo di fronte ad un brusco ritorno al passato, gli anni di
piombo non sembrano poi così lontani", è la dura reazione dell'avvocato Rouissi
Skalli.
(Foto by Arte) |
Anche
Human Rights Watch, in riferimento al nuovo arresto del rapper L'haqed, si è espressa in modo severo
nei confronti delle autorità del regno. "Si tratta di una vicenda di pura
e semplice libertà di espressione. Ogni giorno che Mouad Belghouat trascorre in
prigione ricorda la distanza che separa le leggi dalle pratiche ancora in
vigore in Marocco", ha dichiarato Sarah Leah Whitson (direttrice dell'area
MENA) in un comunicato diffuso recentemente dall'ong.
Il
documento fa eco ad un precedente rapporto
redatto da HRW in cui l'organizzazione richiamava l'attenzione del governo
marocchino nel rivedere le leggi repressive presenti nel codice penale e della
stampa, nel porre freno agli interventi violenti della polizia e
nell'assicurare alla giustizia un funzionamento indipendente. "I
marocchini hanno approvato una nuova costituzione che difende i diritti e le
libertà del cittadino, ma aspettano ancora di vedere applicati questi principi
costituzionali".
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