Migliaia
di persone sono scese in strada domenica scorsa, nel centro di Casablanca,
rispondendo all'appello lanciato da CDT e FDT - due sindacati di riferimento
della sinistra "storica" marocchina, che sembra voler restituire
unità e sostegno popolare alla sua azione, dopo quindici anni di atrofizzante
esperienza governativa. Tra gli obiettivi della "marcia per la
dignità", la denuncia delle crescenti disuguaglianze socio-economiche e
dell'inefficacia delle politiche dell'esecutivo, ma non solo.
E'
stata la più imponente manifestazione levatasi contro il governo
"islamista" di Abdelilah Benkirane (sostenuto, fra l'altro, dall'ex
partito comunista marocchino - PPS - ormai solido baluardo della monarchia) dal
momento del suo insediamento ufficiale, nel gennaio scorso.
Oltre
alla CDT (Confédération démocratique des travailleurs) e alla FDT (Fédération
démocratique des travailleurs), promotrici dell'evento, vi hanno preso parte
praticamente tutte le forze del panorama socialista, dai moderati dell'USFP
(Union socialiste des forces populaires, al governo dal 1997 al 2011) ai
radicali del PSU (Parti socialiste unifié) e Annahj addimuqrati (La voie
démocratique), che avevano boicottato gli ultimi appuntamenti elettorali.
Hanno
risposto all'appello anche i giovani del Movimento 20 febbraio, l'associazione
marocchina per i diritti umani (AMDH), i collettivi dei laureati-disoccupati e
i dissidenti dell'UMT (Union marocaine du travail), esclusi recentemente dalle
istanze dirigenti del sindacato (il più vecchio e rappresentativo del paese)
dopo un colpo di mano della "corrente pro-regime".
"L'unità
nella diversità sarà la nostra forza", ha dichiarato il sindacalista (CDT)
Ali Fkir, ex detenuto politico sotto Hassan II, che ipotizza la rinascita di un
movimento popolare incentrato sulla difesa dei diritti dei lavoratori. Aumento
del salario minimo, riconoscimento delle anzianità di servizio, migliori
condizioni di lavoro, assunzione diretta dei diplomés-chomeurs (come previsto da alcuni decreti emanati a fine
anni '90) e priorità di investimento nei settori nevralgici (istruzione, sanità,
sviluppo locale).
Diritti
che sembrano ancor più minacciati dalla crisi che si sta abbattendo sul Marocco,
paragonabile - secondo le parole del ministro Lahcen Daoudi - "a quella
degli anni '80, che ha aperto la strada ai piani di aggiustamento strutturale
imposti dal FMI". Il debito estero è in aumento, aggravato da una bilancia
commerciale in saldo costantemente negativo, mentre le principali risorse
dell'economia nazionale - turismo e rimesse dei migranti - sono in calo,
vittime della recessione europea, e il fragile settore agricolo è messo in
ginocchio dalla siccità.
I
dati sull'impiego, contenuti nel rapporto della Banca mondiale diffuso nei
giorni scorsi, completano il quadro di una realtà allarmante. Oltre il 30% dei marocchini
tra i 15 e i 29 anni è senza lavoro e "i giovani, privati delle
opportunità concesse da un decennio di crescita economica, sono tenuti ai
margini del processo decisionale".
La
risposta del governo, stando alla posizione espressa dai manifestanti, è stata
fino ad ora insufficiente, se non addirittura rinunciataria. La lotta alla
corruzione proclamata dal PJD durante la campagna elettorale sembra aver ceduto
il passo alle direttive di Palazzo (e del suo apparato di potere, il makhzen), che ha conservato il diritto
di nomina degli alti funzionari a dispetto delle prerogative enunciate nella
nuova costituzione.
Dalla
legge finanziaria, poi, approvata ad inizio maggio, è stata espunta l'imposta
sui grandi capitali destinata ad alimentare il Fondo di coesione sociale. "Un
regalo dell'esecutivo alla classe imprenditoriale, ingranaggio del sistema
clientelare che imprigiona la libera iniziativa nel nostro paese", ha
dichiarato Abdelhamid Amine (dissidente UMT), figura storica del sindacalismo
marocchino e della lotta per i diritti umani (AMDH).
Non
ha subito modifiche, invece, il capitolo di spesa previsto per il TGV Tangeri-Casablanca
- 25 miliardi di dirham (circa 2,5 miliardi di euro) destinati ad un'opera
"di dubbia utilità e lontana dalle priorità del paese" - su cui le
riserve espresse in passato dai rappresentati del PJD si sono dimostrate
impotenti di fronte alla volontà reale.
A
motivare la protesta dei sindacati e dei laureati disoccupati, inoltre, la
decisione del premier Benkirane di non rispettare gli accordi conclusi dal
precedente governo (aprile 2011). Tali accordi - promessa di aumento salariale
e assunzioni dirette - erano serviti per neutralizzare due settori di
contestazione ben radicati nella realtà sociale marocchina, impedendo così una
loro implicazione diretta nelle iniziative indette dal Movimento 20 febbraio.
Contrariamente
a quanto successo allora, i giovani dissidenti non hanno esitato, domenica
scorsa, ad integrare in massa i ranghi della manifestazione per ricordare che
la battaglia in difesa della dignità e della giustizia sociale è prima di tutto
una battaglia per i diritti e la libertà. Diritti e libertà individuali, sempre
più compromessi dalle condanne inflitte ai militanti e dall'aumento dei
detenuti politici registrato negli ultimi mesi, e libertà collettive,
minacciate ad esempio da una legge sullo sciopero, prossimamente discussa in Parlamento,
che si annuncia fortemente restrittiva.
"Benkirane
e El Himma (influente consigliere del sovrano, considerato un
"nemico" del partito islamico, nda)
due facce della stessa medaglia", hanno scandito gli attivisti, i cui
slogan hanno scavalcato le intenzioni dei promotori dell'appello. "La
monarchia è marcia" e "il popolo vuole la caduta del regime".
La
presenza del "20 febbraio" è servita così a ribadire che
l'opposizione al governo - in questo caso islamista - non può essere scissa dal
rifiuto del sistema di potere nella sua interezza, un sistema di cui alcune
delle stesse organizzazioni presenti in piazza (USFP, FDT) sono state parte
integrante nell'ultimo decennio.
"La
manifestazione del 27 maggio è stata un successo, ma quale sarà il seguito?",
ha commentato il dissidente Salah Elayoubi, sottolineando che "dall'inizio
della 'primavera araba' è la prima volta che in Marocco le organizzazioni
sindacali convocano una marcia nazionale aperta a tutte le forze
democratiche", innescando potenzialmente un nuovo fronte di lotta sociale
e politica (partiti, sindacati, disoccupati e févrieristes).
"Non
bisogna essere ingenui - continua Elayoubi - la CDT e la FDT hanno la loro
agenda, restituire credibilità all'opposizione 'legittimista' e trarre profitto
dalla crisi che sta attraversando l'altro grande sindacato marocchino, l'UMT".
Ciò nonostante per molti militanti, tra cui il nostro interlocutore, il
significato della mobilitazione va al di là dei calcoli e delle logiche di
categoria.
E'
la dimostrazione "che i lavoratori sono pronti a riprendere la
contestazione dopo anni di arretramenti e di inganni, e che il settore
sindacale può diventare quel catalizzatore della protesta, mancato nel 2011,
necessario a trasformare il rapporto di forza con il regime".
Ma
una manifestazione non fa primavera e i dissidenti marocchini aspettano di
capire se l'azione delle forze sindacali e dei diplomés-chomeurs si fermerà all'apertura di un nuovo "tavolo
di trattativa" con le istituzioni (che l'attuale condizione finanziaria del
paese non sembra permettere) o se ci sarà la volontà di spingere verso un
cambiamento profondo.
(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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