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mercoledì 30 maggio 2012

Marocco: sindacati, disoccupati e "20 febbraio" manifestano per la dignità

Migliaia di persone sono scese in strada domenica scorsa, nel centro di Casablanca, rispondendo all'appello lanciato da CDT e FDT - due sindacati di riferimento della sinistra "storica" marocchina, che sembra voler restituire unità e sostegno popolare alla sua azione, dopo quindici anni di atrofizzante esperienza governativa. Tra gli obiettivi della "marcia per la dignità", la denuncia delle crescenti disuguaglianze socio-economiche e dell'inefficacia delle politiche dell'esecutivo, ma non solo.




E' stata la più imponente manifestazione levatasi contro il governo "islamista" di Abdelilah Benkirane (sostenuto, fra l'altro, dall'ex partito comunista marocchino - PPS - ormai solido baluardo della monarchia) dal momento del suo insediamento ufficiale, nel gennaio scorso.
Oltre alla CDT (Confédération démocratique des travailleurs) e alla FDT (Fédération démocratique des travailleurs), promotrici dell'evento, vi hanno preso parte praticamente tutte le forze del panorama socialista, dai moderati dell'USFP (Union socialiste des forces populaires, al governo dal 1997 al 2011) ai radicali del PSU (Parti socialiste unifié) e Annahj addimuqrati (La voie démocratique), che avevano boicottato gli ultimi appuntamenti elettorali.
Hanno risposto all'appello anche i giovani del Movimento 20 febbraio, l'associazione marocchina per i diritti umani (AMDH), i collettivi dei laureati-disoccupati e i dissidenti dell'UMT (Union marocaine du travail), esclusi recentemente dalle istanze dirigenti del sindacato (il più vecchio e rappresentativo del paese) dopo un colpo di mano della "corrente pro-regime".
"L'unità nella diversità sarà la nostra forza", ha dichiarato il sindacalista (CDT) Ali Fkir, ex detenuto politico sotto Hassan II, che ipotizza la rinascita di un movimento popolare incentrato sulla difesa dei diritti dei lavoratori. Aumento del salario minimo, riconoscimento delle anzianità di servizio, migliori condizioni di lavoro, assunzione diretta dei diplomés-chomeurs (come previsto da alcuni decreti emanati a fine anni '90) e priorità di investimento nei settori nevralgici (istruzione, sanità, sviluppo locale).
Diritti che sembrano ancor più minacciati dalla crisi che si sta abbattendo sul Marocco, paragonabile - secondo le parole del ministro Lahcen Daoudi - "a quella degli anni '80, che ha aperto la strada ai piani di aggiustamento strutturale imposti dal FMI". Il debito estero è in aumento, aggravato da una bilancia commerciale in saldo costantemente negativo, mentre le principali risorse dell'economia nazionale - turismo e rimesse dei migranti - sono in calo, vittime della recessione europea, e il fragile settore agricolo è messo in ginocchio dalla siccità.
I dati sull'impiego, contenuti nel rapporto della Banca mondiale diffuso nei giorni scorsi, completano il quadro di una realtà allarmante. Oltre il 30% dei marocchini tra i 15 e i 29 anni è senza lavoro e "i giovani, privati delle opportunità concesse da un decennio di crescita economica, sono tenuti ai margini del processo decisionale".
La risposta del governo, stando alla posizione espressa dai manifestanti, è stata fino ad ora insufficiente, se non addirittura rinunciataria. La lotta alla corruzione proclamata dal PJD durante la campagna elettorale sembra aver ceduto il passo alle direttive di Palazzo (e del suo apparato di potere, il makhzen), che ha conservato il diritto di nomina degli alti funzionari a dispetto delle prerogative enunciate nella nuova costituzione.
Dalla legge finanziaria, poi, approvata ad inizio maggio, è stata espunta l'imposta sui grandi capitali destinata ad alimentare il Fondo di coesione sociale. "Un regalo dell'esecutivo alla classe imprenditoriale, ingranaggio del sistema clientelare che imprigiona la libera iniziativa nel nostro paese", ha dichiarato Abdelhamid Amine (dissidente UMT), figura storica del sindacalismo marocchino e della lotta per i diritti umani (AMDH).
Non ha subito modifiche, invece, il capitolo di spesa previsto per il TGV Tangeri-Casablanca - 25 miliardi di dirham (circa 2,5 miliardi di euro) destinati ad un'opera "di dubbia utilità e lontana dalle priorità del paese" - su cui le riserve espresse in passato dai rappresentati del PJD si sono dimostrate impotenti di fronte alla volontà reale.
A motivare la protesta dei sindacati e dei laureati disoccupati, inoltre, la decisione del premier Benkirane di non rispettare gli accordi conclusi dal precedente governo (aprile 2011). Tali accordi - promessa di aumento salariale e assunzioni dirette - erano serviti per neutralizzare due settori di contestazione ben radicati nella realtà sociale marocchina, impedendo così una loro implicazione diretta nelle iniziative indette dal Movimento 20 febbraio.
Contrariamente a quanto successo allora, i giovani dissidenti non hanno esitato, domenica scorsa, ad integrare in massa i ranghi della manifestazione per ricordare che la battaglia in difesa della dignità e della giustizia sociale è prima di tutto una battaglia per i diritti e la libertà. Diritti e libertà individuali, sempre più compromessi dalle condanne inflitte ai militanti e dall'aumento dei detenuti politici registrato negli ultimi mesi, e libertà collettive, minacciate ad esempio da una legge sullo sciopero, prossimamente discussa in Parlamento, che si annuncia fortemente restrittiva.
"Benkirane e El Himma (influente consigliere del sovrano, considerato un "nemico" del partito islamico, nda) due facce della stessa medaglia", hanno scandito gli attivisti, i cui slogan hanno scavalcato le intenzioni dei promotori dell'appello. "La monarchia è marcia" e "il popolo vuole la caduta del regime".
La presenza del "20 febbraio" è servita così a ribadire che l'opposizione al governo - in questo caso islamista - non può essere scissa dal rifiuto del sistema di potere nella sua interezza, un sistema di cui alcune delle stesse organizzazioni presenti in piazza (USFP, FDT) sono state parte integrante nell'ultimo decennio.
"La manifestazione del 27 maggio è stata un successo, ma quale sarà il seguito?", ha commentato il dissidente Salah Elayoubi, sottolineando che "dall'inizio della 'primavera araba' è la prima volta che in Marocco le organizzazioni sindacali convocano una marcia nazionale aperta a tutte le forze democratiche", innescando potenzialmente un nuovo fronte di lotta sociale e politica (partiti, sindacati, disoccupati e févrieristes).
"Non bisogna essere ingenui - continua Elayoubi - la CDT e la FDT hanno la loro agenda, restituire credibilità all'opposizione 'legittimista' e trarre profitto dalla crisi che sta attraversando l'altro grande sindacato marocchino, l'UMT". Ciò nonostante per molti militanti, tra cui il nostro interlocutore, il significato della mobilitazione va al di là dei calcoli e delle logiche di categoria.
E' la dimostrazione "che i lavoratori sono pronti a riprendere la contestazione dopo anni di arretramenti e di inganni, e che il settore sindacale può diventare quel catalizzatore della protesta, mancato nel 2011, necessario a trasformare il rapporto di forza con il regime".
Ma una manifestazione non fa primavera e i dissidenti marocchini aspettano di capire se l'azione delle forze sindacali e dei diplomés-chomeurs si fermerà all'apertura di un nuovo "tavolo di trattativa" con le istituzioni (che l'attuale condizione finanziaria del paese non sembra permettere) o se ci sarà la volontà di spingere verso un cambiamento profondo.

(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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