Nonostante
il prevedibile rinnovo della MINURSO (la missione delle Nazioni Unite in Sahara
Occidentale), sancito nell'aprile scorso dal Consiglio di sicurezza, il Marocco
ha deciso di ritirare la fiducia a Christopher Ross, inviato speciale del
Segretario ONU e mediatore di riferimento nel conflitto che oppone la monarchia
alawita al Fronte Polisario. Al centro delle polemiche, il rapporto annuale
presentato al Consiglio da Ban Ki-Moon.
Non
è la prima volta che un emissario ONU viene sconfessato da una delle due parti
in causa. Era già successo nel 2007, quando l'olandese Peter Van Walsum aveva
suscitato le critiche del Polisario a seguito di una di una infelice dichiarazione
rilasciata alla stampa spagnola: "l'indipendenza del Sahara è un'opzione
irrealistica". La mancanza di neutralità aveva spinto in quell'occasione
il Segretario generale a non rinnovarne il mandato.
Cinque
anni più tardi è stato il governo marocchino a mettere in dubbio la condotta
del suo successore, che dal 2009 detiene la supervisione dello spinoso dossier.
Secondo una nota del Ministero degli Esteri, il diplomatico statunitense
Christopher Ross avrebbe svolto "un lavoro parziale e squilibrato".
Ma, a differenza del caso Van Walsum, questa volta Ban Ki-Moon ha reagito prontamente
alle insinuazioni di Rabat, difendendo l'operato di Ross e ribadendo "piena
fiducia" al suo rappresentante.
Per
la diplomazia alawita si è trattato di una doccia fredda, la seconda
nell'ultimo anno dopo il congelamento degli accordi sulla pesca deciso dal
Parlamento europeo.[1] Il
Marocco sembra aver perso la benevolenza del Palazzo di vetro, o almeno del suo
più alto in grado, dopo gli apprezzamenti ricevuti dalla comunità internazionale
per la proposta del piano di "larga autonomia regionale" (2007) e la
ripresa dei negoziati con il Fronte a Manhasset (New York). Apprezzamenti di
cui la monarchia si era spesso fregiata per rispondere ai partigiani
dell'indipendenza del Sahara o per mettere a tacere le accuse di gravi
violazioni commesse nella zona di territorio conteso sotto il suo controllo.
Nelle ultime settimane la situazione sembra essersi ribaltata.
Una missione poco
credibile
Alla
base dello scontro che, stando alla politologa Kadija Mohsen-Finan (IRIS,
Parigi)[2]
"attribuisce un carattere inedito alle relazioni tra ONU e Marocco"
di cui ancora non è possibile valutare le conseguenze, c'è il rapporto presentato
dal Segretario generale al Consiglio di sicurezza, riunito - come ogni anno dal
momento del cessate il fuoco (1991) - per votare il rinnovo della MINURSO.
Anche
se la realizzazione del referendum - obiettivo dichiarato della missione e
primo passo verso l'autodeterminazione del popolo saharawi - non sembra più
essere all'ordine del giorno, circa trecentoventi effettivi restano dislocati
in Sahara Occidentale (266 mila km2). Parte situati ad ovest del "muro
di sabbia" eretto dalle forze marocchine e parte residenti nella zona
controllata dalla RASD (Repubblica araba saharawi democratica), i funzionari internazionali
hanno il compito di assicurare il rispetto degli accordi militari (1997-1998),
lo sminamento dei territori vicini al confine e facilitare, assieme all'Alto
Commissariato per i rifugiati, il ricongiungimento temporaneo delle famiglie divisedal conflitto.
Prevista
inizialmente per il gennaio del 1992, la consultazione ha subito rinvii sistematici,
fino al definitivo accantonamento sopraggiunto nel 2007, quando Rabat ha sottomesso
alle Nazioni Unite il suo piano di autonomia per il Sahara (istituzioni locali
sotto la sovranità marocchina), rifiutato dal Polisario e dall'alleato algerino,
ma lodato da attori influenti della comunità internazionale (Stati Uniti,
Francia, Spagna).
Il
Marocco, che dal 1975 ha occupato due terzi della ex colonia spagnola assicurandosi
una annessione de facto delle
"storiche province del sud" (attualmente su 300 mila abitanti circa
250 mila sono marocchini), non intende infatti rinunciare alla propria
sovranità su Laayoune, Smara e Dakhla, mentre il Fronte di stanza a Tindouf
(territorio algerino) continua a sostenere la legittimità della causa
indipendentista, portando a supporto delle proprie rivendicazioni la
risoluzione ONU 1514 (1960) che riconosce "il diritto dei popoli all'autodeterminazione"
e la carta fondatrice dell'Unione Africana (1963) che impegna i membri a
rispettare "l'intangibilità delle frontiere coloniali".[3]
Il
rapporto presentato nell'aprile scorso dal Segretario generale, redatto in gran
parte dal suo inviato speciale, ha messo in luce - in modo esplicito e
inequivocabile - gli ostacoli posti dalla monarchia alawita al buon
funzionamento della missione, oltre alla mancanza di mezzi e di autorità della
stessa MINURSO per assicurare un controllo effettivo della zona di conflitto e
contrastare le violazioni compiute da entrambe le parti.
Per
molti osservatori si è trattato di una dichiarazione di impotenza. Per la prima
volta Christopher Ross e Ban Ki-Moon, nonostante le cautele diplomatiche, hanno
messo in discussione la credibilità dell'intera iniziativa che, nella
situazione attuale, "non è in grado di espletare pienamente le sue
funzioni di sorveglianza e di osservazione per il mantenimento della pace né di
attuare gli obiettivi sottoscritti dal mandato" (p. 25 del rapporto).
Gli
incontri informali tra i contendenti sono ripresi con una certa regolarità da
alcuni anni, ma i pourparlers si sono
concentrati - ricorda il documento - "su questioni secondarie",
mentre "resta ancora da dimostrare la volontà politica di uscire dall'impasse"
(p. 4). In altre parole, la divergenza di fondo resta inconciliabile e siamo
ancora lontani dal giungere a quella "soluzione giusta, durevole e
condivisa" auspicata dall'ONU, di cui l'autodeterminazione del popolo
saharawi rimane un punto imprescindibile, con o senza l'annunciato e poi
disatteso referendum.
Del
resto - si domanda la politologa Mohsen-Finan - "perché il Marocco
dovrebbe adoperarsi per risolvere un conflitto che ruota attorno alla sovranità
di un territorio che considera di sua proprietà, che amministra dal 1976
(violando numerose risoluzioni dell’Assemblea generale, nda) e di cui gestisce popolazione e risorse?".
La
monarchia non ha nessuna intenzione di mettere in discussione la sua "unità
nazionale", di conseguenza ha tutto l'interesse nel conservare la
situazione di stallo venutasi a creare
dopo la firma del cessate il fuoco. Uno stallo che ha fatto lentamente cadere
la questione del Sahara Occidentale nel dimenticatoio dell'opinione pubblica
internazionale, con buona pace dei 170 mila rifugiati nei campi di Tindouf e
degli attivisti saharawi residenti nel territorio sotto controllo marocchino.
Il rapporto della
discordia
Le
valutazioni più critiche, tuttavia, contenute nel rapporto del Segretario
generale sono state ignorate dalla risoluzione n. 2044 del Consiglio di
sicurezza, dove il Marocco gode dell'appoggio incondizionato della Francia,
membro permanente dell'assise e detentore del diritto di veto.
Non
è un caso se nel 2011, sotto la pressione del rappresentante francese, il supremo
organo dell'ONU aveva escluso la possibilità di estendere le competenze dellaMINURSO alla tutela dei diritti umani e al monitoraggio delle violazioni commesse
nell'intera regione (ad est e ad ovest del muro di sabbia), come normalmente
previsto per tutte le missioni delle Nazioni Unite.
Proprio
la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali è una delle note dolenti su
cui insiste il documento, che rilancia la necessità di organismo indipendente
di controllo. Parafrasando il giudizio espresso dal Comitato ONU contro la
tortura nel novembre scorso, il rapporto non nasconde la preoccupazione in
merito "all'utilizzo eccessivo della forza da parte dagli agenti di
sicurezza marocchini" nel reprimere le manifestazioni pacifiche dei
saharawi di stanza a Laayoune o Smara (pp. 17-18).
Stessa
considerazione riguardo alle notizie di arresti arbitrari, detenzioni
preventive e maltrattamento dei prigionieri saharawi all'interno delle carceri
alawite, riportate dal Comitato e dall'Alto Commissariato per i diritti umani.
A questo proposito il fascicolo redatto da Ross e Ban Ki-Moon condanna
espressamente il caso dei 23 detenuti civili da un anno e mezzo in attesa di
giudizio di fronte al tribunale militare di Rabat per "costituzione di
banda criminale e violenza contro le forze dell'ordine", in violazione del
Patto internazionale sui diritti civili e politici (p. 18).
Altro
punto mal digerito dal Marocco, le accuse di interferenze sul lavoro della
missione emesse dal rapporto, che denuncia lo spionaggio delle attività dei
caschi blu a Laayoune, le difficoltà registrate per entrare in contatto con
"tutti gli interlocutori situati ad ovest del muro di sabbia e nella
regione di Tindouf - che si tratti di responsabili locali o nazionali, di
militanti dell'opposizione o dirigenti della società civile" (p. 21), il
non rispetto degli accordi sulla smilitarizzazione della zona di confine e
l'estensione dello scrutinio per il referendum costituzionale (luglio 2011) e
per le elezioni politiche (novembre 2011) al territorio del Sahara Occidentale,
"sebbene la loro legalità non sia stata stabilita" (p. 2). In più il
documento considera che l'obbligo di esibire targhe e bandiere marocchine da
parte dei veicoli e delle sedi della delegazione internazionale "fornisce
una dubbia immagine sulla neutralità dell'operazione" (p. 21).
In
realtà - ricorda Khadija Mohsen-Finan - "tutte le missioni, fin dal primo
dispiegamento della MINURSO, si sono confrontate con lo stesso tipo di
difficoltà, ma per i marocchini non c'è mai stata ingerenza negli affari
dell'ONU. Dal ritiro della Spagna nel 1976 la monarchia ha deciso di integrare
la vecchia colonia, le sue 'province recuperate', nel proprio spazio di
sovranità. L'integrazione è stata regolarmente confermata dall'estensione delle
elezioni nazionali e dal pieno esercizio del Ministero dell'Interno sul
territorio. Un'evidenza che raramente è stata oggetto di critiche dei
rappresentanti della MINURSO. Oggi il Marocco vuole proseguire con le vecchie
pratiche ormai abituali, mentre Christopher Ross ritiene che tali pratiche
siano divenute inaccettabili".
Secondo
la ricercatrice dell'IRIS l'esistenza del rapporto, benché privato della sua
sostanza dalla risoluzione del Consiglio, dimostra la volontà del Segretario
generale e del suo inviato di superare l'aspetto fossilizzato e immobile
assunto dal conflitto, riposizionandolo all'interno della nuova dinamica
regionale conosciuta come "primavera araba".
Per
questo pone l'accento sul "popolo del Sahara Occidentale", entità
libera e autonoma che non può più essere marginalizzata o esclusa dai negoziati
in corso, cercando di superare i vecchi schemi binari legati esclusivamente
alle posizioni dei due contendenti.
"A
scatenare il risentimento di Rabat - conclude infatti la Mohsen-Finan - non
sono stati solo i rimproveri fatti al Marocco, ma la stessa intenzione espressa
dal documento ufficiale di voler sperimentare nuove soluzioni per uscire
dall'impasse. Probabilmente l'ONU è ancora favorevole all'autonomia, ciò non
toglie che il cammino per arrivarci non è lo stesso immaginato dalla monarchia
alawita. Il Marocco ha presentato quest'opzione come un compromesso tra
l'annessione ad uno Stato centralizzato e l'indipendenza del territorio. Una
decisione unilaterale che non prende in considerazione né l'altro belligerante
né il popolo del Sahara, al quale - sottolinea più volte il rapporto - spetta
l'ultima parola sul suo avvenire".
[1] Nel dicembre scorso il
Parlamento europeo non ha confermato l'accordo di partenariato UE-Marocco sulla
pesca in vigore dal 2007. Lo sfruttamento delle risorse presenti nelle coste
del Sahara Occidentale, territorio conteso sul piano del diritto internazionale, erano comprese nell'accordo,
senza che venisse assicurato un ritorno in termini di infrastrutture e
investimenti alla popolazione locale. Questa una delle ragioni che hanno spinto
i deputati europei a votare contro la riproposizione dell'intesa. Tuttavia, due
mesi più tardi, alcuni termini del trattato sono stati inseriti e votati dal PE
nel nuovo accordo di libero scambio UE-Marocco per i prodotti agricoli e
ittici.
[2] Khadija Mohsen-Finan è una
profonda conoscitrice del dossier Sahara. Tra le sue opere di riferimento
citate nell'articolo: "Trente ans de conflit au Sahara occidental",
in Le Maroc aujourd'hui, (a cura di)
P. GANDOLFI, Ed. Il Ponte, Bologna, 2008; "Le Maroc se prive de la
'bienveillance' de l'ONU", Affaires
Stratégiques, 29 mai 2012.
[3] Il Marocco, pur essendo un
membro fondatore dell'Unione africana, è uscito dall'organizzazione nel 1984,
in seguito all'ammissione della RASD.
(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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