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domenica 29 novembre 2009

Marocco. Cosa succede alla stampa indipendente?

Si chiude un anno nero per la stampa indipendente marocchina. Un giornale è stato chiuso e molti altri sono stati duramente colpiti dai processi voluti dal regime, sempre più repressivo e intollerante di fronte alle critiche. La strategia del potere rischia di mettere fine al dibattito pubblico nel Paese.



La Tours des Habous svetta imponente a metà della avenue des Forces Armées Royales. Il centro di Casablanca brulica di traffico. Caotico, rumoroso, prepotente. L’ascensore si ferma al 15° piano. Sono in anticipo. Mi affaccio alla finestra e fumo la prima sigaretta della giornata, mentre il mio sguardo si perde nella selva metallica che popola il porto della città. Cataste di container giacciono ammucchiate sui moli, in attesa di essere imbarcate verso una destinazione ancora sconosciuta. In lontananza spunta pallido dalla foschia atlantica il minareto della moschea Hassan II.
Alle dieci in punto faccio il mio ingresso nella redazione di Le Journal Hebdomadaire. Il settimanale, fondato nel 2000 da Abubakr Jamai e Ali Amar, è uno degli ultimi baluardi della stampa indipendente marocchina. Il giro di vite impresso recentemente dal regime non ha risparmiato neanche lui. Una condanna per diffamazione, arrivata a quattro anni dall’inizio del processo, rischia di portarlo alla chiusura. E’ proprio Abubakr Jamai, oggi editorialista del giornale, a guidarmi nei piccoli e modesti locali della redazione. Non nasconde la sua preoccupazione per i risvolti assunti dal “dossier presse” nel 2009. I processi, le condanne e gli arresti comminati da una giustizia fin troppo vicina al Palazzo reale hanno seriamente pregiudicato la libertà di informazione nel Paese.

In ottobre l’apice della repressione
Lunedì 30 ottobre si è concluso il processo ad Akhbar Al Youm. Il verdetto è pesante. Taoufiq Bouachrine, direttore del giornale, e Khalid Gueddar, caricaturista, sono condannati a quattro anni di carcere e 5 mila euro di multa, oltre a un risarcimento di 270 mila euro da versare al Principe Moulay Ismail. A scatenare questo inferno una caricatura che ritrae il cugino del Re, pubblicata dal quotidiano nel numero del 28 settembre scorso. Il disegno, secondo la giustizia marocchina, ha violato l’articolo 41 del codice della stampa e l’articolo 267 del codice penale. I due giornalisti sono ritenuti colpevoli di mancato rispetto ad un membro della famiglia reale e di oltraggio alla bandiera nazionale. Il tribunale di Ain Sebaa ha anche decretato la chiusura definitiva del giornale, dopo che i suoi beni erano già sotto sequestro da trentatre giorni per ordine del Ministro dell’Interno.
“Non è certo una semplice caricatura, neanche troppo irriverente, ad essere finita sotto accusa”, commenta Abubakr Jamai. Il quotidiano di Bouachrine non era sostenuto da alcun partito, né da alcun personaggio influente. E’ riuscito a sopravvivere grazie alle vendite, al finanziamento di qualche raro annuncio pubblicitario e alla professionalità dei suoi giornalisti, che hanno svolto il loro lavoro senza scendere a compromessi. “Era questa la sua unica colpa, il suo peccato originale - conclude lo stesso Jamai – e la punizione che gli è stata inflitta deve servire da esempio”.
La condanna di Akhbar Al Youm non è che l’ultimo di una serie di colpi inferti alla stampa indipendente nel 2009. Solo in ottobre sono state pronunciate quattro sentenze contro Al Michaal, Al Jarida al Oula, e Le Journal Hebdomadaire. Nemmeno i giornali stranieri che hanno dato risalto alla vicenda sono sfuggiti alla censura del governo. Il 22 ottobre Le Monde ha pubblicato in prima pagina una vignetta di Plantu giudicata irrispettosa dal ministro della Comunicazione Khalid Naciri. Le 50 mila copie arrivate in Marocco non sono mai state messe in vendita. Stessa sorte è toccata a El Pais il 25 ottobre. Due giorni dopo Reporters sans frontieres si è vista negare all’ultimo momento l’autorizzazione per una conferenza stampa in un hotel di Casablanca. Il Segretario Jean-François Julliard, già in loco, ha chiesto spiegazioni alle autorità, senza ottenere risposte. Rabat ha dichiarato guerra all’organizzazione da quando il Marocco è stato retrocesso al 127° posto nella classifica per la libertà di stampa. Un risultato deludente per un Paese che aspira a definirsi democratico. Secondo Khalid Jamai, collaboratore a Le Journal Hebdomadaire, è un dato che non deve sorprendere. “Siamo governati da una monarchia assoluta, dove il Re dispone di tutti i poteri. I membri del governo sono funzionari esecutivi sotto alta sorveglianza e i giornalisti niente più che prigionieri in libertà provvisoria”.

Le promesse disattese di Mohamed VI
Negli anni novanta il Paese aveva mosso i primi passi verso una riforma istituzionale in senso democratico. Hassan II si era lasciato alle spalle la repressione feroce degli anni di piombo e aveva concesso aperture sul piano economico e politico. In questo clima sono nati i primi giornali indipendenti, le prime pubblicazioni a sfuggire al controllo del Palazzo e dei partiti. “La società e il regime hanno siglato una sorta di patto non scritto”, spiega Abubakr Jamai: in cambio di riforme democratiche, le elite uscite dalla transizione liberale si impegnavano a non mettere in discussione la legittimità monarchica. Tuttavia l’arrivo al trono di Mohamed VI nel 1999, pur accompagnato da grandi speranze e da dichiarazioni solenni, non ha segnato alcun passo decisivo in questa direzione. Al contrario la monarchia ha ribadito il suo primato sull’esecutivo, sull’apparato giudiziario e sulla sfera religiosa. “Il nuovo Sovrano non ha mantenuto la parola – continua il giornalista – e i media indipendenti hanno denunciato il suo voltafaccia”.
Di fatto Mohamed VI non ha mai accettato l’apertura di un vero dibattito pubblico. Lo dimostrano le violazioni della libertà di stampa che hanno caratterizzato ogni singolo anno trascorso dalla suo insediamento. Quanto visto negli ultimi mesi costituisce un cambiamento quantitativo e non certo qualitativo della strategia del regime. A tal proposito è sufficiente ricordare alcuni degli episodi più gravi registrati nell’ultimo decennio. Nel 2000 il Ministero dell’Interno ordina la chiusura definitiva di Assahifa, Le Journal e Demain. Sotto accusa due tra le voci più critiche della stampa marocchina, Abubakr Jamai, al tempo direttore di Assahifa e capo-redattore a Le Journal, e Ali Lmrabet, direttore di Demain. Un anno dopo Le Journal Hebdomadiare è condannato al pagamento di 70 mila euro di multa per aver pubblicato un’intervista a Muhammad Abdelazziz, leader del Fronte Polisario. Nel 2003 entra in vigore il codice della stampa. Un passo indietro rispetto alle leggi che regolavano fino a quel momento la libertà di espressione nel Paese. Nello stesso anno Ali Lmrabet è condannato a tre anni di reclusione per oltraggio al Re, attacco all’integrità territoriale e al regime monarchico. La sua nuova rivista Doumane scompare dalle edicole. Graziato nel 2004, Lmrabet finisce di nuovo sotto processo nel 2005. La sentenza: divieto di esercitare l’attività giornalistica per dieci anni all’interno dei confini nazionali. Nell’agosto dello stesso anno il settimanale Tel Quel è accusato di diffamazione e condannato a pagare 100 mila euro di ammenda, mentre nel 2007 un numero della stessa rivista finisce sotto sequestro per la presenza di un articolo irrispettoso nei confronti del Sovrano. In totale, secondo una stima fatta da Reporters sans frontières, dal 1999 ad oggi i verdetti pronunciati dalla giustizia marocchina hanno inflitto ai media indipendenti quaranta anni di carcere e oltre un milione di euro, tra multe e risarcimenti.

Un futuro a rischio
All’inizio del suo regno Mohamed VI doveva dar prova all’opinione pubblica delle sue convinzioni moderne e progressiste. Doveva acquisire credibilità sul piano internazionale. Oggi, dopo dieci anni di solido dominio, non sembra più manifestare questo bisogno. Il monarca gode dell’appoggio incondizionato del governo americano, di Sarkozy e perfino di Zapatero. La sua influenza riesce a condizionare tutti i centri nevralgici del Paese, sia quelli finanziari, risucchiati nella morsa del clientelismo, che quelli politici. “I grandi partiti un tempo all’opposizione sono stati addomesticati, fanno ormai parte del sistema”, confessa Abubakr Jamai. Dalla tribuna parlamentare non si leva più alcuna voce critica alla politica del Sovrano. Anche il partito islamico, dopo gli attentati che hanno colpito Casablanca nel maggio 2003, ha assunto toni decisamente concilianti. Solo i giornali indipendenti sono riusciti a colmare questo vuoto. Alle autorità non rimane che mettere a tacere gli ultimi fautori del dissenso.
Dal canto loro le associazioni per i diritti umani continuano a sostenere la battaglia in difesa del pluralismo. “Il Palazzo deve smettere di considerare i giornalisti come dei nemici” - ha dichiarato Khadija Ryadi, Presidente dell’Associazione Marocchina per i Diritti dell’Uomo - “piuttosto dovrebbe riconoscere il ruolo fondamentale che rivestono per la democratizzazione del Paese”. Ma è proprio questo il punto. Ormai la transizione democratica non è più una priorità per Mohamed VI e sembra interessare ancor meno le potenze occidentali, che si sono accontentate delle riforme concesse in campo economico.
La pioggia di condanne abbattutasi sui media indipendenti negli ultimi mesi non è di buon auspicio per Le Journal Hebdomadaire e compagni. Tutto lascia presagire che questa volta il regime andrà fino in fondo. Le leggi restrittive approvate nel 2003 e una giustizia prona agli umori del Palazzo non sono le uniche armi a sua disposizione. Abubakr Jamai lamenta il boicottaggio a cui è sottoposto il suo giornale: “basta una telefonata per convincere gli imprenditori a ritirare le inserzioni pubblicitarie dalle nostre pagine”. Il fenomeno coinvolge tutte le pubblicazioni più scomode, che faticano a trovare le risorse per sopravvivere. Tuttavia una minaccia ancor più pericolosa rischia di comprometterne il futuro. Gli uomini d’affari vicini alla famiglia reale stanno mettendo le mani sulle maggiori imprese di distribuzione della stampa nazionale. Se il regime riuscirà ad avere il monopolio nel settore, potrà reprimere i giornali che ancora sfuggono al suo controllo senza più ricorrere ai giudici e senza esercitare pressioni sul mercato pubblicitario. Avrà l’ultima parola su tutto quello che viene scritto e pubblicato nel Paese. Per la stampa indipendente sarà la fine.


Gli attacchi alla stampa indipendente nel 2009
Tel Quel. La polizia di Casablanca blocca la pubblicazione (1° agosto) del settimanale. Per ordine del Ministero dell’Interno tutte le copie sono distrutte. Contenevano un sondaggio realizzato in collaborazione con Le Monde sui primi dieci anni di Regno di Mohamed VI. Anche il quotidiano francese viene censurato (4 agosto).
Le Journal Hebdomadaire. La corte di cassazione (30 settembre) conferma la condanna di Abubakr Jamai, colpevole di diffamazione, al pagamento di 300 mila euro di risarcimento nei confronti del direttore dell’ESICS (Centro europeo di ricerca e analisi strategica). Dopo la sentenza i conti bancari del settimanale sono finiti sotto sequestro dell’autorità giudiziaria.
Al Michaal. Il direttore Driss Chahtane è condannato a un anno di reclusione (15 ottobre) e mille euro di ammenda per aver pubblicato notizie giudicate false in merito allo stato di salute del Re. Stessa accusa e tre mesi di reclusione per altri due giornalisti. Lo stesso Chahtane è condannato (26 ottobre) a tre mesi di carcere con l’accusa di diffamazione e ingiurie nei confronti di una zia di Mohamed VI. (condanne già confermate in appello).
Al Jarida Al Oula. Il direttore Ali Anouzla è condannato (29 giugno) al pagamento di 10 mila euro di ammenda e 100 mila euro di risarcimento al leader libico Gheddafi dopo che il tribunale di Casablanca l’ha riconosciuto colpevole di attacco alla dignità di un Capo di Stato straniero. Lo stesso Ali Anouzla è condannato (26 ottobre) ad un anno di reclusione e mille euro di multa per diffusione di notizie false sullo stato di salute del Re.
Economie et Entreprises. Il giornale è condannato a versare 550 mila euro (30 giugno) di ammenda, colpevole di diffamazione, nelle casse di una holding legata alla famiglia reale e dell’ONCF, la società nazionale che gestisce la rete ferroviaria.
Al Ahdath Al Maghribiya. I giornalisti Mohamed Brini e Mokhtar Laghzioui sono condannati (29 giugno) al pagamento di 10 mila euro di ammenda e 100 mila euro di risarcimento al leader libico Gheddafi dopo che il tribunale di Casablanca li ha riconosciuti colpevoli di attacco alla dignità di un Capo di Stato straniero.

Un codice della stampa liberticida
Articolo 29. L’ingresso in Marocco dei giornali stranieri può essere vietato dal Ministro della Comunicazione o dal Primo Ministro, se questi costituiscono un attacco alla religione islamica, al regime monarchico, all’integrità territoriale, al rispetto dovuto al Re o un pericolo per l’ordine pubblico.
Articolo 41. Ogni offesa verso il Re o un membro della famiglia reale è punita con l’arresto da 3 a 5 anni e con una multa da mille a 10 mila euro. La stessa pena è prevista se l’attacco è diretto alla religione islamica, al regime monarchico o all’integrità territoriale. La condanna può prevedere anche la sospensione temporanea della pubblicazione o addirittura il divieto definitivo.
Articoli 44-51. Stabiliscono pene severe, compreso il carcere, per chi viene riconosciuto colpevole di diffamazione.
Articolo 52. L’offesa commessa contro i Capi di Stato, i capi di governo, e i ministri degli esteri di Paesi stranieri è punita con l’arresto da un mese ad un anno e con una multa da mille a 10 mila euro.
Articolo 77. Il Ministro dell’Interno può ordinare, con decisione motivata, il sequestro di ogni pubblicazione che costituisca un pericolo per l’ordine pubblico o un attacco alla famiglia reale, alla religione islamica, al regime monarchico o all’integrità territoriale.

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