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martedì 17 novembre 2009

“Villes sans bidonvilles”. Le promesse non mantenute

Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 417, 14-20 novembre 2009.

Dopo cinque anni dall’avvio ufficiale, il programma « Ville sans bidonvilles » (VSB) sembra andare a rilento, soprattutto nelle grandi città del Regno. Alla carenza di terreni si aggiungono i problemi di gouvernance locale, mentre il finanziamento e l’assistenza sociale restano di fatto inesistenti.



37 città su 83 dichiarate ufficialmente “senza bidonvilles”: è questo il bilancio presentato a inizio novembre dal Ministero dell’Ambiente e della Gestione Urbana. Non molto incoraggiante. Le operazioni condotte fino ad ora hanno permesso il trasferimento di diverse migliaia di nuclei familiari, ma i comuni coinvolti, ad eccezione di Agadir, sono tutti di piccola o media grandezza. Nei grandi centri urbani, dove sono concentrate la maggior parte delle bidonvilles, i ritardi non fanno che accumularsi. La scadenza del programma voluto da Mohammed VI è già stata posticipata al 2012. “E bisognerà aggiungere di sicuro qualche anno supplementare”, ironizza un eletto locale di Mohammedia. Durante tutto questo tempo la disoccupazione urbana e l’esodo rurale continueranno a riempire le baraccopoli. Il numero stimato delle famiglie che dovranno beneficiare dei nuovi alloggi è già passato da 212 mila a quasi 300 mila. Il piano VSB, lanciato nel luglio del 2004, ha promesso una rottura radicale con le sterili campagne di “riassorbimento” portate avanti ad intervalli regolari (senza risultati) fin dagli anni settanta. La nuova strategia reale punta sul coinvolgimento degli abitanti, l’apertura al settore privato e la sottoscrizione di accordi tra lo Stato e le collettività locali: obiettivo, lo sradicamento totale delle bidonvilles dal contesto urbano.

Una visione puramente quantitativa
La buona volontà si scontra con le vecchie abitudini. Il censimento degli abitanti delle baraccopoli, affidato alle autorità locali, continua ad essere oggetto di dispute e falsificazioni. Quanto agli eletti locali, spesso sono frenati nelle loro iniziative dalla prospettiva di veder scomparire una tale “riserva di elettori”. “Quando si verificano dei problemi, in molti casi è colpa dei partners locali, che non fanno la loro parte. Le collettività locali per esempio, o addirittura gli stessi abitanti delle baraccopoli, che rifiutano le offerte presentate”, afferma Mazhar Benabbou, direttore degli studi all’Istituto Nazionale per la Pianificazione e l’Urbanismo. “A tutt’oggi non c’è concertazione con le popolazioni per valutare quali siano i loro bisogni, i loro mezzi e le loro aspettative. Un lavoro pertanto essenziale”.
Per sbarazzarsi delle bidonvilles, le istituzioni sembrano aver adottato una visione puramente quantitativa degli obiettivi da raggiungere. Un rapporto della Banca Mondiale datato 2006, sottolinea che “l’eterogeneità della popolazione delle bidonvilles non è stata presa in esame. I beneficiari del programma VSB hanno caratteristiche socio-economiche differenti. Differenti i livelli di guadagni, i risparmi di cui dispongono, e differenti sono anche le aspettative e gli interessi a prendere parte al programma”.
Le nuove offerte di alloggio, comuni all’insieme degli abitanti coinvolti, non sembrano affatto tener presente queste peculiarità. Del resto, secondo le cifre fornite dallo stesso Ministero della Gestione Urbana, 10 mila alloggi già costruiti resterebbero tuttora vacanti. Troppo piccoli, mal posizionati o troppo cari, secondo le testimonianze degli abitanti.

La carenza di competenze
“L’assistenza sociale è un qualcosa di innovativo. Non era mai stato proposto niente di simile nei piani precedenti. Tuttavia non c’è un personale qualificato che possa ricoprire questo ruolo in maniera proficua. Non ci sono scuole che forniscano una preparazione adeguata in questo campo. A svolgere le funzioni di assistenti sociali spesso sono dei quadri delle stesse società che hanno in appalto la costruzione delle abitazioni, o dei semplici impiegati dell’Agenzia per lo Sviluppo Sociale”, spiega Mazhar Benabbou. Di fronte alla carenza di competenze, il Ministero ha deciso di creare nuovi corsi all’Università di Meknes, nel 2006. Una sessantina di diplomati hanno seguito una formazione biennale focalizzata sull’assistenza sociale. Senza risultati. Questo ruolo esige un livello di competenze nettamente superiore a quello raggiunto in due anni dai giovani studenti.
Al termine dei due anni, così, nessun laureato è stato assunto dal Ministero. Una grave mancanza, che ha portato al clima di ostilità e resistenza già conosciuto durante le precedenti campagne di “riassorbimento”. Gli abitanti che si oppongono alle nuove proposte di alloggio o che non dispongono delle risorse sufficienti per beneficiarne, finiscono per essere espulsi dal programma. Come se non bastasse, vengono poi sfrattati dalle loro baracche, destinate alla demolizione.
Ad Anza, storica bidonville di Agadir, centinaia di famiglie si sono ritrovate per strada dall’oggi al domani, mentre si sono verificati scontri tra gli abitanti e le forze dell’ordine a Oum Azza, Mohammedia, Larache, Marrakech e nel douar El Askar di Fes. A Rabat, il programma di risanamento del douar Kora è giunto a conclusione. Almeno secondo le autorità. Ma le centinaia di baracche servono ancora da rifugio per le famiglie più povere. “Non abbiamo i soldi sufficienti per comprare gli appartamenti che ci propongono. Anche il prestito ha un costo troppo elevato: bisogna rimborsare 800 dinari (80 euro circa) al mese”, spiega un ragazzo all’ingresso della bidonville. “Le autorità ci vogliono sgomberare, ci hanno dato tempo fino alla festa dell’Aid (sabato 28 novembre). Dopodiché verranno con i bulldozers”.

La rivendita dei terreni agli speculatori
L’accesso al programma VSB resta un problema reale per le famiglie senza risorse o con entrate modeste. In media, secondo i differenti studi realizzati in proposito, solo due terzi degli abitanti delle baraccopoli possono permettersi l’acquisto di un appartamento o di un lotto di terra. Il finanziamento del programma poggia in gran parte sulla partecipazione diretta (alle spese) delle famiglie, a cui lo Stato concede una piccola sovvenzione. La creazione di un fondo di garanzia, per sostenere il prestito concesso dalle banche alle famiglie che devono acquistare i nuovi alloggi, non sembra aver dato i frutti sperati. Lanciato nel 2005, questo strumento fatica ancora a trovare il suo pubblico, sia a causa di una scarsa comunicazione  verso le popolazioni interessate, sia a causa delle rate mensili troppo elevate per la gran parte delle famiglie.
Ad Agadir, dichiarata ufficialmente “ville sans bidonville” nel dicembre 2008, molte famiglie che avevano acquistato dei lotti di terreno sono stati costretti a rivenderli agli speculatori, causa la mancanza di risorse per costruire un nuovo alloggio.  Lo stesso sindaco della città ha riconosciuto pubblicamente la presenza del fenomeno. I vecchi abitanti della bidonville sono così costretti “a ricostruire nuove baraccopoli fuori dalla città”. “Ma è questo in realtà l’obiettivo del programma – spiega Abdessalam Adib, un membro dell’AMDH – dal momento che i terreni recuperati con la distruzione delle baracche valgono oro. Vengono cacciati via i poveri di modo che i promotori dell’iniziativa possano costruire nuovi alloggi destinati ad altre classi sociali. Il piano è in mano alla mafia dell’immobiliare che porta avanti la sua speculazione. Non c’è il minimo interesse a fornire alloggi sociali a basso costo”. Dal canto suo Mazhar Benabbou riconosce che “sistemare gli abitanti delle baraccopoli fuori dalle città serve solo ad allontanare il problema, non certo a risolverlo”.

Christophe Guguen

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