A due settimane dal voto per il rinnovo della Chambre des representants e la formazione del nuovo governo, sabato 12 novembre è iniziata in Marocco la campagna elettorale, che si protrarrà fino alla mezzanotte di giovedì 24, vigilia dell’appuntamento con le urne.
Circa 13 milioni di marocchini saranno chiamati ad esprimersi, venerdì 25 novembre, sulla composizione della camera bassa del Parlamento, mentre la votazione – non ancora stabilita – dei 120 membri della camera alta (Chambre des conseillers), sarà riservata agli eletti delle comunità locali, ai rappresentanti delle organizzazioni professionali e dei sindacati. Per le autorità di Rabat le elezioni legislative anticipate rappresentano il secondo passo, dopo l’approvazione della Costituzione (con il referendum del 1° luglio scorso) voluta dal sovrano Mohammed VI, nella “nuova era democratica” del regno alawita.
Il Movimento 20 febbraio e gli altri protagonisti della contestazione, invece, lamentano l’inutilità della consultazione – “dal momento che la nuova carta non garantisce il passaggio dall’autoritarismo monarchico ad un effettivo regime parlamentare” – e la scarsa credibilità dei partiti politici, considerati nella maggior parte dei casi delle “elite prive di identità e di valori”. I giovani dissidenti hanno promosso un fronte del rifiuto, a cui si sono aggregate tre piccole formazioni della sinistra radicale (Parti socialiste unfié – PSU, Parti de l’avant-garde démocratique et socialiste – PADS, La voie démocratique – Annahj), l’associazione islamica al-‘Adl wa al-ihsan (“Giustizia e carità”) e parte delle organizzazioni del movimento amazigh (berbero), che hanno chiamato al boicottaggio delle urne.
Oltre ai 395 deputati che siederanno in Parlamento, dallo scrutinio del 25 novembre uscirà la nuova formazione di governo – la cui designazione resta prerogativa del monarca (art. 47 della Costituzione) – che andrà a sostituire l’esecutivo Abbas al-Fassi, nel mirino delle proteste divampate dal febbraio scorso in tutto il paese. Il governo al-Fassi, in carica dal 2007, si è retto su una maggioranza eterogenea e poco incisiva, composta dalle storiche forze di opposizione all’assolutismo monarchico, integrate nell’apparato di regime dal 1997 (Parti de l’Istiqlal – PI, Union socialiste des forces populaires – USFP, Parti di progrès et du socialisme –PPS, riuniti nella Koutla dimoqratiyya, “blocco democratico”), e da due partiti “di amministrazione” (Rassemblement national des indépendants – RNI, Mouvement populaire – MP).
Il nuovo codice elettorale, approvato in settembre, ha ripartito il territorio nazionale in 91 circoscrizioni che investiranno 305 parlamentari attraverso un sistema di scrutinio proporzionale con soglia di sbarramento al 6% (meccanismo del quoziente e i più alti resti), mentre 90 deputati saranno eletti nelle due “liste nazionali” previste dal codice per garantire una maggiore rappresentanza femminile e giovanile (under 40) all’interno dell’assemblea. Anche nel caso della “lista nazionale donne” (60 seggi) e della “lista nazionale giovani” (30 seggi) verrà utilizzato un sistema proporzionale con sbarramento al 3%. Non sono previste, a differenza del referendum di luglio, circoscrizioni e seggi per il voto dei marocchini residenti all’estero (sebbene sia un diritto garantito dall’art. 17 della carta fondamentale).
Nella campagna elettorale che ha preso il via sabato 12 novembre sono coinvolti più di trenta partiti, per la maggior parte raccolti in alleanze e coalizioni che poco hanno a che fare con l’orientamento ideologico delle singole formazioni. L’unica novità all’interno del panorama politico è rappresentata dalla nascita dell’Alliance démocratique – conosciuta anche come “G8”, per il numero di partiti che la compongono – dove sono confluite le principali forze “di amministrazione” e alcuni piccole formazioni di differente ispirazione (islamica e socialdemocratica).
Oltre al Parti de l’autenticité et de la modernité (PAM, primo partito in Parlamento per numero di seggi) di Fouad Ali El Himma, ex ministro dell’Interno e consigliere reale, ne fanno parte il RNI, il MP, l’Union constitutionnelle (UC), il Parti de la renaissance et de la vertu (PRV), il Parti socialiste (PS), il Parti travailliste (PT) e il Parti de la gauche verte (PGV). A contendere la vittoria all’Alliance démocratique ci sarà la Koutla dimoqratiyya, la cui base sociale sembra però notevolmente indebolita dopo quattordici anni di permanenza al governo (con scarsi risultati sul piano delle riforme attuate), e soprattutto il Parti de la justice et du développement (PJD) formazione islamica moderata che ha ottenuto il maggior numero di voti alle legislative del 2007, ma che è rimasta esclusa da tutti gli esecutivi fin dal momento della sua creazione (1998).
Ad ogni modo, il timore più grande per le autorità di Rabat sarà rappresentato dal tasso di partecipazione all’appuntamento, vista la forte astensione registrata in occasione delle ultime elezioni (2007), dove solo il 37% degli iscritti alle liste elettorali si è recato alle urne (con in più il 20% di voti bianchi o nulli). Il dato testimonia la mancanza di entusiasmo e lo scarso coinvolgimento di una popolazione che percepisce i partiti come entità amministrative distanti dai suoi bisogni reali e prive di un effettivo potere decisionale. Se questo risultato venisse confermato, infatti, l’intero processo di “transizione democratica” – celebrato dal Palazzo con la Costituzione dello scorso luglio e fondato sull’adesione popolare alle riforme del re – perderebbe parte della sua legittimità.
Non è un caso che la legge elettorale e la nuova legge sui partiti abbiano sancito un aumento dei fondi statali stanziati per la campagna elettorale – 220 milioni di dirham (circa 22 milioni di euro) da ripartire tra le formazioni a seconda della loro rappresentatività, più 350 mila dirham (circa 35 mila euro) per ogni candidato – al fine di favorire una più ampia mobilitazione. Una mobilitazione che interesserà anche lo spazio mediatico (radio e televisioni), dove l’accesso degli attori politici sarà regolato in funzione del peso di ogni singolo partito, nonostante le proteste delle compagini minori che reclamano una eguale distribuzione del tempo messo a disposizione durante le emissioni.
Per contrastare l’astensionismo, inoltre, il regime ha deciso di adottare misure drastiche nei confronti dei sostenitori del boicottaggio. Come già accaduto in occasione del referendum costituzionale, ai media sarà vietato diffondere appelli o inviti alla diserzione delle urne, mentre le forze dell’ordine hanno avviato nelle ultime settimane una vasta campagna di intimidazione all’indirizzo dei dissidenti. Il 26 ottobre sono stati arrestati (e rilasciati dopo ventiquattro ore) alcuni membri dell’associazione islamica Giustizia e carità; il 10 novembre è stata la volta degli attivisti del “20 febbraio” (una ventina tra Tangeri, Casablanca e Benguerir), mentre resta ancora in carcere il responsabile dell’Association marocaine des droits humains (AMDH) di Sefrou. Nei prossimi giorni, oltre alle consuete sfilate dei candidati nei quartieri popolari, sono previste manifestazioni di protesta a Casablanca e in altre città del regno.
Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica il 13 novembre 2011.
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