Domenica 25 dicembre è stato un giorno di mobilitazione nazionale per il Marocco del "20 febbraio". Nonostante l'associazione islamica Giustizia e Carità abbia deciso di abbandonare la contestazione, l'iniziativa del movimento dissidente ha richiamato nelle piazze del regno alawita migliaia di manifestanti per chiedere "democrazia e dignità".
Manifestazione a Rabat, avenue Mohammed V (Foto Jacopo Granci) |
Da dieci mesi a questa parte il Movimento 20 febbraio continua ad occupare pacificamente le strade delle principali città del paese per rivendicare la fine di un regime autocratico e il passaggio ad una vera monarchia parlamentare, oltre ad un'equa redistribuzione delle risorse e una maggiore giustizia sociale.
Né la riforma della costituzione voluta dal sovrano Mohammed VI - definita dagli oppositori "una riforma cosmetica per una costituzione assolutista" - né la vittoria del partito islamico (PJD) alle recenti elezioni legislative sono bastate ad arginare la protesta che continua, pur con minore intensità rispetto ai primi mesi di mobilitazione, a far sentire la propria voce con marce e sit-in ormai settimanali.
Tangeri e Casablanca si confermano i centri maggiormente coinvolti dalla protesta, anche se lo scorso fine settimana sono state oltre settanta le città e i villaggi interessati, contemporaneamente, dalle manifestazioni indette dal movimento. "Siamo qui per ribadire che la nostra lotta va avanti nonostante la defezione di alcune organizzazioni politiche", ha dichiarato all'AFP l'attivista casaoui Hamza Mahfoud, in riferimento all'inatteso comunicato diramato a metà dicembre dall'associazione islamica Giustizia e Carità (Jamaa al-'Adl wa-l-Ihsane), con cui l'organizzazione fondata e diretta da Abdessalam Yassine ha annunciato il suo ritiro dalle manifestazioni.
Il documento pubblicato sul sito web della Jamaa specifica che l'associazione - tollerata ma non riconosciuta ufficialmente dal regime di Rabat - ha interrotto la partecipazione alle iniziative pubbliche del movimento, ma continua a sostenere le sue rivendicazioni. Tra le prime organizzazioni ad aver aderito alla piattaforma del "20 febbraio", Giustizia e Carità era diventata in poco tempo una delle componenti più rappresentative del movimento, assieme ai giovani indipendenti, ai militanti della sinistra radicale e agli attivisti amazigh.
"La ritengo un’unione sacra […] che denota la maturità politica raggiunta da tre forze democratiche ancorate nel tessuto popolare. Se oggi il Marocco può ambire ad un futuro diverso, fatto di dignità e uguaglianza, è grazie all’intesa raggiunta sul campo da queste tre componenti, una strategia basata sul rispetto reciproco in cui Giustizia e Carità crede profondamente", dichiarava nel marzo scorso Nadia Yassine, figlia dello shaykh Yassine e una delle figure più carismatiche della Jamaa.
La scelta dell'associazione di abbandonare la contestazione, fino ad ora, non è stata motivata da nessun argomento convincente e, come confermato da alcuni analisti locali, appare piuttosto contraddittoria. Secondo il giornalista Ali Anouzla (Lakome), Giustizia e Carità "deplora l'eccessiva dispersione del movimento", dimenticando però che la sua stessa decisione andrà a contribuire alla dispersione e ribadisce le dure critiche al regime, senza prendere apparentemente in considerazione che il suo ritiro, indebolendo la pressione della piazza, favorirà il regime stesso. Infine, il comunicato della Jamaa si rivolge ai "saggi" invitandoli a raggiungere i ranghi dei manifestanti, pur essendo la Jamaa stessa la prima ad averli abbandonati a metà strada.
L'organizzazione islamica, ben strutturata e disciplinata, ha forse sofferto l'eccessiva frammentazione del movimento, composto da decine di comitati e assemblee locali sostanzialmente autonome. Inoltre il comunicato offre un breve accenno agli "attacchi" subiti recentemente dagli adlisti all'interno del "20 febbraio". Un segnale, probabilmente, che l'intesa politica raggiunta dai dissidenti all'inizio della protesta sarebbe ormai venuta meno e che l'"unione sacra" a cui faceva riferimento Nadia Yassine potrebbe essersi definitivamente rotta, come conferma l'intervista rilasciata dal portavoce dell'organizzazione Fathallah Arsalan al sito di informazione Goud: "non possiamo nascondere il fatto di aver trovato delle difficoltà all'interno del movimento […] ci siamo sforzati di essere pazienti per superare queste difficoltà […] ma alla fine abbiamo sentito che il principio dell'azione comune non era ancora maturo".
Quale ruolo ha giocato la larga vittoria del PJD alle elezioni legislative del 25 novembre in questo processo? La domanda è più che legittima, vista anche la tempistica scelta dall'associazione per annunciare il suo ritiro, avvenuto pochi giorni dopo la nomina del leader islamista Abdelillah Benkirane alla carica di Primo ministro.
Il boicottaggio della piazza da parte degli adlisti rappresenta indubbiamente un regalo insperato per il nuovo governo a guida PJD (ancora in fase di concertazione) e molti osservatori intravedono in questo gesto la volontà di un corteggiamento, o quantomeno di un avvicinamento, tra le due organizzazioni islamiche, anche se le divergenze ideologiche restano evidenti e almeno in apparenza inconciliabili. Giustizia e Carità, infatti, ha più volte fatto allusione in passato alla sua "propensione repubblicana" e rifiuta in modo categorico di riconoscere la suprema autorità religiosa del monarca, oltre alla sua veste di Comandante dei credenti (art. 41 della costituzione). Una posizione che è sufficiente, da sola, a precluderle ogni velleità di partecipazione all'arena politica e che non trova conforto nell'attitudine moderata e legittimista del Partito della giustizia e dello sviluppo, il cui segretario ha fatto tutto il possibile, nei mesi scorsi, per dimostrare la sua fedeltà al sovrano alawita.
Resta un'ultima ipotesi con cui cercare di spiegare la decisione adottata dalla Jamaa, un'argomentazione che fa leva sulla presunta volontà dell'associazione, in linea con il pragmatismo che l'ha sempre contraddistinta, di smarcarsi da un movimento ritenuto ormai "in agonia" dalla maggior parte della stampa nazionale. Tuttavia, le manifestazioni dello scorso finesettimana hanno dimostrato come il "20 febbraio", ben lontano dal soffocamento, sia ancora capace di esercitare una pressione costante e diffusa sul regime, e questo anche senza l'importante sostegno (almeno in termini numerici) apportato fino a fine novembre dall'organizzazione islamica di shaykh Yassine.
Nessun commento:
Posta un commento