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domenica 15 agosto 2010

Cartoline da Anfgou





Ad Anfgou, villaggio berbero incastonato nel cuore dell’Atlante, le giornate si ripetono una identica all’altra. Mentre un vento fresco spazza la strada polverosa che separa le case dal ruscello, i bambini aiutano le madri nelle faccende di casa. Provvedono al rifornimento dell’acqua potabile, lavano i panni sporchi vicino alla sorgente e si prendono cura dei lattanti.
Le donne avvolte in vestiti e foulard colorati, raccolgono legna da ardere nei dintorni del piccolo borgo. I geli dell’inverno, da queste parti, non fanno sconti a nessuno. Nel 2007 trentatre persone, quasi tutte sotto i dieci anni, morirono a causa del freddo e della fame. L’intero Marocco fu toccato dalla tragedia e, per qualche settimana, sulla minuscola cittadina si accesero i riflettori dei media. Perfino il sovrano si recò sul posto, per inaugurare la costruzione di nuove infrastrutture (una strada, l’approvvigionamento elettrico, un ambulatorio mai terminato e una moschea), assicurando il suo impegno per promuovere lo sviluppo della zona. Ma, superato il dramma e la commozione iniziale, tanto le autorità quanto l’opinione pubblica hanno rapidamente voltato pagina. Il villaggio è così ricaduto nel più completo isolamento e gli abitanti hanno ripreso il ritmo aspro della quotidianità, senza che nulla sia realmente cambiato.















“...tra i terreni coltivati ad orzo sulla sponda di un fiume, una ragazza raduna quello che resta della mietitura. Dovrebbe avere sedici o diciassette anni, ma ne dimostra una trentina. Scheletrica, il viso già solcato dalle rughe, gli occhi stanchi e spenti, è seguita da tre ragazzini. I suoi figli. Lavora da mattina a sera e mangia poco. All’età di vent’anni, avrà già cinque o sei bambini. Ad Anfgou non esistono strategie contraccettive, poiché lo Stato, che dovrebbe promuoverle, è semplicemente assente. E le ong? Le associazioni femministe? Le fondazioni reali, principesche e quant’altro? No, Anfgou e i villaggi vicini non rappresentano una priorità per questi attori. Non destano interesse. Da queste parti le ragazze si sposano presto e spesso lo fanno con consanguinei. Finita l’infanzia diventano subito madri, con diversi figli a carico. Ad Anfgou, in breve, non esiste l’adolescenza…”
Tratto da “Anfgou, un anno e mezzo dopo la visita del re”, di Omar Brouksy, Le Journal Hebdomadaire, n. 411, 3-9 ottobre 2009.











Di seguito la traduzione del reportage
IL TESORO RUBATO DELL'ATLANTE
pubblicato da Beatriz Mesa nel Periodico de Catalunya il 6 luglio 2010.

Gli abitanti di Anfgou, in Marocco, sopravvivono a fatica mentre la mafia locale si gode i benefici milionari prodotti dalle foreste di cedri più vaste del Mediterraneo.

In un angolo remoto situato nel mezzo dell’Atlante, sembra che nulla possa turbare la quiete dei montanari che da secoli popolano questi pendii. Sembra uno di quei posti dove non può accadere nulla fuori dall’ordinario e invece proprio qui, a quasi tremila metri di altezza, succede di tutto. Ad Anfgou un migliaio di abitanti prova a sopravvivere con i pochi mezzi a disposizione, di media qualche capra e un modesto orticello, non curandosi troppo dell’estrema povertà che li circonda. Nel gennaio 2008 il villaggio era finito sulla bocca di tutti, in Marocco come all’estero, per la morte di trentatre bambini causata dal freddo e dalla fame, in uno degli inverni più ostili di cui si abbia memoria da queste parti. Ad Anfgou, dove non tutti hanno l’elettricità e praticamente nessuno ha l’acqua corrente in casa, la mafia continua ad approfittare della vulnerabilità di una popolazione quasi interamente analfabeta. Ma la zona è una tra le più ricche del paese. I boschi di cedri che circondano il villaggio sono i più estesi di tutto il Mediterraneo. Sono l’oro dell’Atlante marocchino.
Lo sfruttamento dei cedri fattura 10 milioni di euro ogni anno. Secondo la legge del 1976, l’80% del ricavato dovrebbe essere reinvestito nello sviluppo della regione, in strade e scuole per togliere dalla miseria disumanizzante quelle persone che lavorano le loro foreste senza ricevere nulla in cambio. Ma qui non c’è nemmeno un’ambulanza, e la mortalità infantile raggiunge livelli spaventosi. Quasi un bambino su cinque non raggiunge l’età adulta, spesso per la mancanza di assistenza in loco e la carenza di trasporti verso le strutture ospedaliere (la più vicina si trova a Errachidia, a 180 km di distanza). In molti casi basterebbe una semplice iniezione per salvargli la vita.


Le denunce messe a tacere
Attorno ai boschi di cedri si è costruita una rete di ingiustizie e corruzione locale a cui nessuno è più capace di far fronte. Chi ci ha provato è stato sbattuto in prigione. Ataui, un giovane tecnico forestale, aveva deciso di rompere il silenzio che cela la falsificazione dei documenti per lo sfruttamento illegale della risorsa. Voleva smascherare le irregolarità e denunciare i responsabili. Accusato di “attentare ai valori del Regno”, è stato condannato a 2 anni di prigione.
La sua azione, almeno, ha avuto il merito di svelare gli ingranaggi del tessuto mafioso. La rete è gestita direttamente dal presidente del consiglio comunale, che compra la complicità di amici e familiari a colpi di mazzette. Il clan esercita poi pressione ed influenza sulla popolazione locale, per ottenere la rielezione del capo al momento delle elezioni, falsate dai ricatti e dalle minacce, per continuare la speculazione. Tutto questo mentre ad Anfgou la gente non ha di che calzarsi né vestirsi.
Ogni giorno decine di uomini, in fila indiana, risalgono il fianco della montagna che sovrasta il villaggio. Penetrano nel cuore della foresta per tagliare i preziosi tronchi di cedro. “Per ogni metro cubo di legname si possono ricavare fino a 800 euro”, spiega Asif, sulla cinquantina, tra i più attivi oppositori delle reti mafiose che gestiscono lo sfruttamento. “I trafficanti effettuano i trasporti di notte, per non dare nell’occhio. Se il taglio continuerà con il ritmo sfrenato raggiunto in questi ultimi anni, i boschi presto spariranno e noi non avremo più legno nemmeno per costruire le nostre case”, confida Asif preoccupato. “Volevo creare una cooperativa, per togliere il controllo delle foreste e delle sue risorse dalle mani di questa gente. Ho depositato il dossier al ministero da più di un anno, ma fino ad ora non ho ottenuto risposte”. Asif ci fa strada all’interno della sua abitazione. I muri del salone male illuminato sono rivestiti a calce, mentre dal soffitto spuntano le travi di cedro che sostengono il tetto. Ad aspettarci in mezzo alla tavola un abbondante tajine ancora caldo.
Anfgou vuole soltanto vivere con dignità. Ma forse dovrà aspettare una nuova tragedia perché gli abitanti del villaggio, oltre all’antenna per i telefoni cellulari, possano disporre finalmente di un ambulatorio e delle medicine di base.


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