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martedì 18 gennaio 2011

La Tunisia in marcia


Lunedì 17 gennaio, appena tre giorni dopo la fuga precipitosa del dittatore Ben Ali dalla Tunisia ed il successo della “rivoluzione del pane” (in seguito ribattezzata “rivoluzione del gelsomino”), il primo ministro ad interim Mohamed Ghannouchi ha annunciato la composizione del governo provvisorio che guiderà il paese verso le elezioni legislative e presidenziali previste entro giugno 2011. Per la prima volta nella storia del paese tre dirigenti storici dell’opposizione, due dei quali non hanno mai avuto rappresentanza in parlamento, sono entrati a far parte dell’esecutivo.




Tuttavia, i segnali di continuità con il vecchio regime restano evidenti e preoccupano il popolo tunisino. Nel nuovo governo di unità nazionale, dodici dei diciannove seggi previsti sono occupati da membri della RCD (Rassemblement Constitutionnel Democratique), il partito del presidente deposto. Sei tra questi, già in carica nel precedente esecutivo, rivestono i ministeri di maggior potere (oltre al primo ministro, il ministro degli Esteri, il ministro dell’Interno, della Difesa e delle Finanze).
Alle numerose critiche levatesi nel paese all’annuncio del nuovo governo di transizione si è aggiunta la voce di Rachid Ghannouchi, leader del movimento islamico Annahda (“la rinascita”), in esilio a Londra dal 1991 (dopo che il suo partito, premiato con il 17% dei voti alle elezioni legislative, era stato dichiarato illegale da Ben Ali). Secondo Ghannouchi il nuovo esecutivo “non assicura quella rottura necessaria con il regime appena deposto”; la strada da percorrere sarebbe invece la formazione di un consiglio costituzionale che comprenda le forze della società civile e non solo le formazioni politiche, per arrivare poi alla promulgazione di una costituzione veramente democratica.
Il portavoce del movimento in Francia, Hocine Jaziri, ha precisato che “Rachid Ghannouchi non si candiderà alle prossime elezioni presidenziali”. Annahda parteciperà invece alle elezioni legislative, poiché decisa a dare il suo contributo alla transizione democratica del paese. “Se non saremo riconosciuti come partito politico ci si troverà di fronte ad un grave problema di rappresentanza e di consenso popolare”, ha affermato Jaziri, che sul governo di transizione ha aggiunto: “non è un governo di unità nazionale, ma di esclusione nazionale”. Un posizione condivisa da Moncef Marzuki, il leader del Congres pour la Republique (sinistra laica) rientrato dall’esilio proprio in queste ore. Per l’oppositore, “la Tunisia merita di meglio”. “Quasi cento morti in quattro settimane di rivoluzione per ottenere cosa? Un governo che di unità nazionale ha solamente il nome, poiché formato prevalentemente da membri della vecchia dittatura”, ha affermato Marzuki che ha poi invitato i suoi concittadini a non abbassare la guardia: “Credo che il popolo tunisino non si lascerà ingannare tanto facilmente da questa mascherata”.
A ventiquattro ore dalla formazione del nuovo esecutivo già tre membri del governo Ghannouchi, un ministro e due sottosegretari appartenenti alla Union Generale des Travailleurs Tunisiens, si sono dimessi dal loro incarico, dopo che il sindacato a cui appartengono ha dichiarato di “non riconoscere il nuovo governo”. In tutto il paese migliaia di persone hanno sfidato lo stato d’assedio ancora in vigore per manifestare la loro contrarietà ad un governo troppo legato al vecchio regime. A Tunisi questa mattina duecento persone hanno sfilato nella avenue Habib Bourghiba con in mano ramoscelli di olivo, filoni di pane e fiori di gelsomino, scandendo slogan contro il partito dell’ex dittatore Ben Ali, prima di venire disperse con la forza dalla polizia. Centinaia i manifestanti scesi in piazza a Sfax, la seconda città della Tunisia, e a Sidi Bouziz, il villaggio da cui aveva preso il via la rivoluzione tunisina lo scorso 17 dicembre. Intanto per le vie della capitale continuano gli scontri a fuoco tra i militari e le milizie fedeli al vecchio regime, che cercano di seminare il caos, muovendosi nei quartieri con veicoli speciali e ben armati.

Di seguito due articoli pubblicati nel blog Nawaat.org (blog collettivo indipendente lanciato nel 2004 e oscurato dal governo Ben Ali), che affrontano il tema della transizione politica. Una fase delicata, sottolineano i giovani blogger, che il paese si trova ad affrontare dopo quattro settimane di rivoluzione (78 i morti ufficiali secondo il governo), che hanno messo fine ad un regime durato ventiquattro anni e ad una dittatura instaurata fin dal momento dell’indipendenza (1956).

Il vero miracolo tunisino

Imprevedibile, folgorante, esaltante, storico… Così possiamo descrivere quella che ormai è da tutti definita la “rivoluzione tunisina”. Una rivoluzione particolare, attuata da un popolo particolare, ricco di storia, ammirevole per la sua apertura e il suo carattere pacifico. Sono i giovani a costruire l’avvenire di una nazione, e proprio i giovani, frustrati dalla mancanza di prospettive, come dimostra l’atto coraggioso e disperato compiuto da Mohammed Bouazizi, hanno salvato la nazione, hanno innescato un sollevamento che ha coinvolto velocemente tutti i tunisini, arrivando in ogni parte del paese.

La maturità di un popolo
Il sollevamento del popolo tunisino, poi tradottosi in rivoluzione, è ancor più straordinario poiché attuato con maturità e in modo pacifico. Certo, alcuni manifestanti hanno risposto al fuoco della polizia e dei tiratori scelti appostati sui tetti dei palazzi lanciando pietre. E’ vero che i simboli del regime, come le sedi del Rassemblement Constitutionnel Democratique, sono stati saccheggiati e bruciati. Ma non è questa una prova ulteriore del suo carattere pacifico, tenuto conto dei numerosi omicidi e delle uccisioni arbitrarie di civili a cui abbiamo assistito? Come non stupirsi che la situazione non sia degenerata, mentre il governo ordinava di sparare perfino sui cortei funebri dei cittadini ammazzati per strada? In molti altri paesi a tanto accanimento sarebbero seguite l’insurrezione e la violenza. Ma in questo caso è la perseveranza di un popolo educato e responsabile, a cui troppe volte è stato promesso il potere di decidere del proprio avvenire, che ha prevalso.

L’esercito, baluardo della repubblica
Le forze armate tunisine, intervenute soltanto alla terza settimana del sollevamento, hanno dato prova di un comportamento esemplare, conquistandosi il rispetto della popolazione. Mal equipaggiato fin dall’indipendenza da un Bourghiba poco incline alle élites militari, l’esercito è sempre stato confinato nelle sue misere caserme, ben lontano da Cartagine. Tuttavia è stato capace di riprendersi il suo ruolo di protettore supremo della Repubblica, quando il Capo di stato maggiore Rachid Ammar si è rifiutato di sparare sui manifestanti. Quegli stessi manifestanti che cercavano riparo dietro ai camion delle forze armate dai colpi della polizia, l’unico vero guardiano del regime di Ben Ali. Aggiungiamo due elementi che possono spiegare meglio la prossimità dei militari tunisini alla popolazione e la loro adesione alla rivoluzione: il primo è la composizione stessa dell’esercito, fatto in gran parte da soldati di leva e non di mestiere; il secondo è il rancore nutrito da alcuni alti ufficiali, dopo l’esecuzione di un gruppo di graduati voluta qualche anno fa da Ben Ali in seguito all’esplosione di un aereo….

E’ una rivoluzione esemplare quella che ha cacciato un tetro regime di polizia, alimentato dal clientelismo e dalla corruzione. Malgrado la confusione che regna in Tunisia a qualche ora dalla fuga del dittatore, nonostante i saccheggi perpetrati dai sostenitori di palazzo, il popolo tunisino deve rimanere responsabile. Responsabile e vigile, per costruire una pagina inedita per il paese, la democrazia.
Abbiamo saputo cogliere il nostro appuntamento con la storia, riprendiamoci ora il nostro futuro, impegnandoci a sostenere le forze democratiche, progressiste e laiche, perché la vittoria di questa rivoluzione resti nelle mani del popolo tunisino e perché il miracolo tunisino non si trasformi in miraggio.
(Slim Mrad, 15 gennaio 2011)


La strada è ancora lunga
Riflessioni per una vera transizione democratica

Noi viviamo oggi degli avvenimenti che segneranno per sempre la nostra storia. La “rivoluzione del gelsomino” ci apre la via verso un avvenire che fino a pochissimo tempo fa non osavamo sperare. Ma l’entusiasmo legittimo provocato dalla fuga del dittatore e della sua entourage non deve renderci ciechi. Quale che sia la voglia di voltare pagina sui nostri anni bui, non possiamo lasciare che qualcun altro approfitti di questo momento e prenda il posto di Ben Ali. Ecco perché noi dobbiamo fin da ora costruire il futuro assieme.
La nostra è una rivoluzione popolare, partita dal paese profondo, dal popolo tunisino e dai suoi giovani. Dall’atto disperato compiuto da Mohamed Bouazizi è nata un’onda di indignazione che si è trasformata in una nuova fonte di speranza. E’ a lui che dobbiamo la nostra libertà, come a coloro che sono caduti sotto i colpi di una polizia al servizio della dittatura per difendere pacificamente il nostro diritto di vivere. E’ per loro che non dobbiamo lasciar strumentalizzare il nostro movimento, il nostro cammino verso la democrazia. Dobbiamo gridare in loro nome che non avremo mai più capi né maestri, che non permetteremo a nessuno di monopolizzare la nostra battaglia per servire i propri interessi. Grazie a loro abbiamo sconfitto la paura e non la lasceremo ritornare.
La fuga di Ben Ali e l’assunzione dei poteri da parte del premier Mohamed Ghannouchi, poi di Fuad Mebazaa come Presidente ad interim, sono lontani dal soddisfarci e non bastano a rassicurarci sulle vere intenzioni di coloro che hanno fatto parte a lungo della cerchia del dittatore. Gli appelli provenienti da un’opposizione frastagliata, già preda di lotte intestine, e rappresentata da elementi che non nascondono le loro miopi ambizioni, non sono di maggior conforto. E anche se alcuni di questi movimenti di opposizione sono legittimati dalle lotte condotte negli anni passati, nessuno tra loro può appropriarsi dei meriti della “rivoluzione del gelsomino”, risultato di un sollevamento popolare unito e solidale. Non possiamo lasciare che i politici di mestiere approfittino dei sacrifici e degli sforzi fatti dal nostro popolo.
La strada che porta alla costituzione di uno stato democratico in Tunisia è ancora lunga. Servirà ancora coraggio e pazienza per non perdere quanto ottenuto fino ad ora. Per questo dobbiamo considerare il periodo di transizione verso la democrazia come una tappa che per nessun motivo deve essere trascurata, durante la quale le numerose “riforme necessarie” dovranno essere effettuate in un clima pacifico e sotto lo sguardo vigile di tutti i cittadini.
Per il momento dunque è prematuro parlare della tenuta di elezioni libere in Tunisia. Non è affatto una rinuncia, al contrario è necessario che l’appuntamento elettorale venga preparato a dovere, lasciando ad ogni partito il tempo di ricostituirsi e di far conoscere il suo programma a tutti i tunisini. Bisogna ricordare che il nostro paese fino ad oggi non ha mai garantito il diritto alla libera espressione, né di riunione o di organizzazione delle forze politiche e delle associazioni. Bisogna poi tener conto del peso assunto dalla RCD e dalle sue strutture clientelari negli ultimi venti anni, un peso che difficilmente scomparirà in poco tempo così come tutti ci auguriamo. Non basteranno pochi mesi per stabilire le condizioni necessarie allo svolgimento di elezioni libere, equilibrate e rappresentative delle opinioni di tutti i cittadini.
Detto ciò, non è neanche questione di lasciare la dittatura, pur mascherata sotto altre vesti, riprendere il suo posto. Dobbiamo esigere la realizzazione delle “riforme necessarie” nel più breve tempo possibile, sotto il controllo di tutto il popolo. Bisogna trovare una soluzione che garantisca la condivisione del potere tra tutti i movimenti politici tunisini, che assicuri il loro consenso sulle riforme urgenti, da approvare all’unanimità, e che ci protegga dal pericolo di una nuova dittatura, neutralizzando ogni tentativo di gestione personalistica delle istituzioni.
In questa prospettiva bisogna presto arrivare alla costituzione di un governo di unità nazionale che avrà come mandato esclusivo: assicurare, da una parte, la gestione temporanea del paese per evitarne il crollo, e dall’altra approvare le riforme necessarie alla piena democratizzazione della Tunisia. Si può anche prendere in considerazione la tenuta di un dibattito aperto in vista della riforma dell’apparato istituzionale e l’approvazione di una nuova costituzione che garantisca tutti i diritti fondamentali ottenuti con la “rivoluzione del gelsomino”. Solo dopo l’approvazione popolare, tramite referendum, della nuova carta costituzionale si procederà allo svolgimento delle prime elezioni libere e democratiche della nostra storia.
E’ ugualmente necessario provvedere al più presto alla creazione di commissioni di inchiesta indipendenti, incaricate di far luce sui crimini e le malversazioni compiute dal regime di Ben Ali e di individuare tutti i responsabili, oltre che di riflettere sulle misure da adottare per risanare il sistema economico e sociale del paese. La riforma delle istituzioni è un elemento indispensabile per voltare pagina, rompere con la dittatura e restituire il suo posto e la sua importanza a tutto il popolo tunisino.
(Mourad Besbes, 17 gennaio 2011)

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