Scosso
- ma uscito apparentemente indenne - dai sollevamenti che nel 2011 hanno
interessato la regione mediorientale, il Marocco è oggi minacciato da una grave
crisi economica e sociale. Intanto, il credito di 6 miliardi di dollari
concesso a Rabat dal FMI sembra instradare il regno alawita verso un nuovo
piano di aggiustamento strutturale (PAS) e il ritorno alla logica del
condizionamento. Ne abbiamo discusso con l'economista Najib Akesbi.
Nel
1978, alla domanda del Fondo monetario internazionale (FMI), il Marocco
inaugurò un programma di riforme economiche basato sulla riduzione degli
investimenti statali, l'aumento delle tasse e il blocco dei salari. Le rivolte
popolari scatenate dal provvedimento spinsero il governo al congelamento
dell'iniziativa. Tuttavia, solo due anni dopo, il FMI impose l'adozione di un nuovo
piano di aggiustamento strutturale (PAS) che prevedeva, tra le altre cose, la
riduzione delle sovvenzioni sui prodotti alimentari. I prezzi esplosero - ad
esempio quello della farina, cresciuto in pochi giorni del 50% - e la
popolazione, assieme ai sindacati, scese in piazza per chiedere la cancellazione
degli aumenti. Nel 1981, in molte città del regno, le contestazioni si
trasformarono in tumulti e saccheggi. Nella sola Casablanca i morti si
contarono a centinaia, come i feriti e le persone finite in arresto.
Da
allora, nella memoria dei marocchini, il 'piano di aggiustamento strutturale' è
diventato sinonimo di restrizioni, sacrifici e repressione, oltre che di
innalzamento del costo della vita, licenziamenti e disoccupazione.
Un
ricordo doloroso.
Un
passato, però, che sembra essere tornato di attualità da quando, il 3 agosto
scorso, il consiglio di amministrazione del FMI ha deciso di concedere al regno
alawita - alle prese con una profonda crisi economica, aggravatasi negli ultimi
tempi - un finanziamento di 6,2 miliardi di dollari. Una cifra ragguardevole,
che rappresenta da sola più della metà del debito estero contratto dal paese
maghrebino negli ultimi decenni.
L'intervento
del Fondo monetario, che ha tutta l'aria di un'operazione di salvataggio, è
stato presentato ai media come una semplice misura precauzionale. "Una
polizza assicurativa contro gli eventuali rischi che incombono sull'economia
marocchina", afferma la presidente del FMI Christine Lagarde, una
"riserva di sicurezza" per rassicurare i mercati internazionali sulla
buona salute finanziaria del Marocco, è il commento rilasciato dal ministro delle
Finanze Nizar Baraka.
Ma,
all'interno del regno, c'è chi la pensa diversamente. L'economista Najib Akesbi
tratteggia un quadro della condizione economica del paese molto più critico di
quello che le autorità lasciano trapelare. Secondo Akesbi, infatti, è
"ridicolo" soltanto immaginare che il FMI abbia concesso un prestito
di una tale rilevanza senza imporre condizioni, "almeno per assicurarsi che
venga rimborsato". Rivolgersi alle istanze finanziarie internazionali -
per l'economista - significa rinunciare alla propria sovranità.
La
conferma - stando al parere di Akesbi - arriva con le ultime valutazioni,
"apparentemente contraddittorie", emesse sullo stato di salute del
regno dopo la concessione del prestito e a pochi giorni dalla votazione della manovra
economica per il 2013, una manovra "di austerità" come ha già
annunciato il governo.
Mentre
lo stesso FMI ha previsto, in una nota resa pubblica il 9 ottobre scorso, un
tasso di crescita "generoso e poco credibile" del 5,5% (quello
attuale supera di poco il 2%), l'agenzia di rating Standard and Poor's
(S&P) ha modificato in "negativa" la prospettiva di
rimborsabilità del debito marocchino sul lungo periodo, specificando che
"se la disoccupazione rimarrà ostinatamente elevata, il costo della vita
aumenterà e se le riforme politiche si riveleranno deludenti per la
popolazione, si correrà il rischio di disordini sociali su vasta scala".
Secondo
l'economista queste due valutazioni, a primo impatto discordanti, in realtà
convergerebbero in un'unica strategia di condizionamento. "S&P ci fa
vedere il bastone e il FMI ci mostra la carota - senza contare che le loro
previsioni nella maggior parte dei casi si sono rivelate sbagliate - ma il
messaggio è lo stesso: 'per risanare i vostri conti e per sfuggire al peggio
dovrete applicare la politica che vi detteremo'. Il governo, di fatto, si trova
già sotto tutela".
INTERVISTA A NAJIB
AKESBI (UNIVERSITA' MOHAMMED V, RABAT)
Da
qualche mese a questa parte in Marocco si è iniziato a parlare di crisi
economica, in maniera sempre più insistente, smentendo così le rosee previsioni
formulate negli anni precedenti dagli organismi economici nazionali e
internazionali. Per molti si è trattato di un fulmine a ciel sereno. Qual è la
situazione professor Akesbi?
Siamo
di fronte ad una impasse. La situazione delle risorse budgetarie è
catastrofica. Gli esponenti del governo stanno cercando di sdrammatizzare, ma
il quadro è chiaro. Da una parte le entrate (ricette fiscali essenzialmente)
sono diminuite, dall'altra la spesa pubblica è in continuo aumento e va ad
appesantire il deficit di bilancio (6,1% del PIL nel 2011), già condizionato da
una bilancia commerciale costantemente in rosso negli ultimi anni.
Per
fare un esempio, dando solo un'occhiata alla legge finanziaria del 2012 si vede
come imposte e oneri fiscali in genere coprano solamente il 60% della manovra.
Significa che il 40% mancante bisogna trovarlo da qualche altra parte. Dove? Il
Marocco non è un paese che possiede risorse in idrocarburi, abbiamo già
esaurito - senza particolari rientri - il ricorso alle privatizzazioni. Quale
soluzione immediata resta a questo punto? L'indebitamento.
Tale
impasse, tuttavia, è il risultato di una politica economica suicida - nella
tassazione, nella scelta degli investimenti, nella gestione delle riserve di
cambio - e non della casualità, come qualcuno vorrebbe far credere, o della
congiuntura sfavorevole che stiamo attraversando con la crisi della zona euro,
che io considero al massimo il detonatore di una situazione già di per sé
esplosiva.
Perché
la definisce una "politica suicida"?
Prima
di tutto perché la politica fiscale degli ultimi venti anni ha ridotto le risorse
dello Stato in maniera gratuita, concedendo privilegi ed esoneri alle fasce più
agiate senza chiedere nulla in contropartita. Mi riferisco all'abbassamento
delle imposte dirette sulle fasce di reddito superiori - un regalo ai ricchi di
cui certo non avevano bisogno - e alla riduzione della tassazione sulle
aziende, ben sapendo che solo un numero ristretto di grandi imprese - peraltro già prospere - ne ha beneficiato
per ampliare i propri profitti. In questo modo lo Stato si è visto privato di
risorse vitali senza che ad un simile sacrificio sia conseguito il minimo
effetto benefico sull'economia del paese. Dove sono finiti i miliardi di
investimenti e le centinaia di migliaia di posti di lavoro promessi? Dove sono
le imprese dell'informale che avrebbero dovuto approfittare di questa 'condizione
favorevole' per passare alla legalità? In tutto questo la maggioranza della
popolazione affonda sotto il peso delle imposte indirette e il grosso del
carico fiscale continua a pesare sulle fasce medio-basse.
Parlando
di ricette fiscali e mancanza di redistribuzione della ricchezza, che fine a
fatto la proposta di una "tassa sui grandi capitali" avanzata dalla
maggioranza dei partiti solo un anno fa?
E'
finita rapidamente nel dimenticatoio, anche a seguito delle pressioni sul nuovo
governo esercitate dalla CGEM (la Confindustria marocchina, nda) e nonostante la retorica sulla
riduzione della povertà e del divario socio-economico che ha sempre
caratterizzato il PJD (partito islamico vincitore delle ultime elezioni, nda). Ma nel Marocco attuale, con le
forti disuguaglianze e tensioni sociali che lo caratterizzano, non è possibile
ipotizzare una riforma fiscale - come è nelle intenzioni dell'esecutivo - senza
tener conto di una imposta sulle grandi fortune, dietro cui si nasconde la
zavorra dell'economia di rendita. Oppure senza attuare un ammodernamento della
legislazione in materia di evasione, che possa bloccare - tra l'altro - la fuga
di capitali all'estero stimata ad oltre 2 miliardi di dollari all'anno.
Quali
altri fattori endogeni hanno contribuito ad affossare l'economia marocchina?
La
crescita incontrollata della spesa pubblica, che peraltro non è riuscita a
risolvere nessuno dei problemi socio-economici emersi nell'ultimo periodo. Ad
esempio i pensionamenti anticipati sovvenzionati dal governo nel 2005 per
ridurre il volume della massa salariale (pubblica), un'operazione onerosa per le
casse dello Stato che però non ha ridotto le uscite su questo versante e ha
messo nei guai gli enti di previdenza sociale. Non è stato risolto né il nodo
della qualità né quello della quantità dei funzionari, dal momento che il
reclutamento pubblico continua ad essere uno strumento politico, una valvola
per allentare le pressioni sociali o, ancora peggio, per rispondere alle reti
di clientela locali e nazionali.
C'è
poi la questione della Caisse de
compensation, mai riformata ed oggi divenuta un macigno sui conti dello
Stato. Ma l'argomento merita una riflessione a parte.
Infine
gli investimenti. Continuano a ripeterci che sono aumentati negli ultimi anni,
ma di quali investimenti parliamo? Sono produttivi? Assicurano un reale impatto
per lo sviluppo del territorio? Prendiamo ad esempio le autostrade - che quasi nessuno
percorre - gli hotel di lusso e i complessi immobiliari futuristici - destinati
ad una manciata di magnati - per non parlare poi del TGV,
un progetto dispendioso e inutile. Il volume degli investimenti potrà anche
essere cresciuto, ma nella maggior parte dei casi sono improduttivi e non
assicurano un ritorno né allo Stato né alla popolazione.
Ciò
non toglie che, stando almeno al dato sulla crescita macroeconomica, il Marocco
era sembrato un paese in salute nel corso dell'ultimo decennio….
Il
tasso di crescita macroeconomica non corrisponde ad un reale sviluppo del
paese, non assicura la redistribuzione della ricchezza e non basta per poter
considerare uno Stato in salute. Senza contare che questo dato, in Marocco, è sempre
stato estremamente fluttuante, e può variare dal 5 allo 0% in poco tempo. Questo
perché due tra i suoi fattori determinanti restano gli agenti atmosferici e
l'oscillazione dei prezzi dei prodotti di base (cereali, zucchero, idrocarburi)
sui mercati internazionali. In altre parole la crescita in Marocco è soggetta
al volere delle forze celesti - se piove o se c'è siccità, come successo
nell'ultimo anno - o dei partner commerciali stranieri.
La
produzione agricola quindi, nonostante gli investimenti del piano Maroc Vert,
non è ancora in grado di assicurare un approvvigionamento alimentare di base?
Assolutamente
no, quello agricolo è un settore esemplare per capire la miopia degli
investimenti e l'errore strategico della politica di governo. Si è preferito
puntare sui prodotti da esportazione (pomodori, fragole, banane..) - come ci è
stato "raccomandato" oltrefrontiera - su un compartimento che
coinvolge solo il 2% delle aziende del settore e non sui prodotti di prima
necessità (cereali) di cui riusciamo a coprire, mediamente, meno della metà del
fabbisogno interno. Si è deciso di esportare pomodori e importare grano ed oggi
siamo arrivati al punto che non riusciamo a vendere tutti i nostri pomodori,
mentre il grano (i cereali rappresentano attualmente circa il 70% dell'import
agroalimentare, nda) lo paghiamo
sempre più caro. Il risultato è un'accresciuta dipendenza alimentare e un saldo
pesantemente negativo nella bilancia commerciale di settore. Pensi che negli
ultimi tre decenni le esportazioni sono passate dal coprire il doppio delle
importazioni ad un tasso inferiore al 50%.
Gli
accordi di libero scambio dei prodotti agricoli sono stati una delle prime conseguenze dell'apertura economica
imposta dagli organismi internazionali. In che modo questo genere di accordi ha
influito nella crisi attraversata dal Marocco?
Fin
dai primi accordi abbiamo assistito alla bella retorica sull'apertura e sulla
promozione delle esportazioni come motore trainante dello sviluppo nazionale. Cosa
constatiamo oggi? Uno dei principali ostacoli alla crescita e allo sviluppo è
proprio il commercio estero, con l'aumento delle importazioni che intaccano le
riserve di cambio in valuta straniera (dollari, euro).
Il
Marocco ha voluto integrarsi nell'economia mondiale senza avere i mezzi e le
competenze per poter essere competitivo sul mercato internazionale. Abbiamo
moltiplicato gli accordi di libero scambio (UE, USA, Turchia, Golfo..) e il
risultato oggi è che siamo perdenti su tutti i fronti. Quegli accordi
contribuiscono all'affossamento dell'economia nazionale, dal momento che ci
impongono parametri e condizioni a cui non siamo preparati.
Lei
ha detto che le difficoltà della zona euro possono essere considerate un
"detonatore", un'aggravante della crisi marocchina. In che modo la
recessione della sponda nord del Mediterraneo ha contribuito ad aggravare la
situazione?
Ha
avuto una ripercussione generale sull'intera economia, dal momento che i paesi
della zona euro sono il principale fornitore e cliente del Marocco, e una
conseguenza specifica sull'afflusso di valuta europea, attraverso i 'canali di
trasmissione della crisi'.
Quali
sono questi canali?
Innanzi
tutto la riduzione delle esportazioni (prodotti agricoli e tessili), il primo
canale di trasmissione date le difficoltà finanziarie attraversate dal mercato
europeo. Poi le rimesse dei marocchini residenti all'estero, anch'esse in calo
a seguito dell'innalzamento del costo della vita e della perdita dei posti di
lavoro da parte di molti emigrati, che non inviano più nulla o quasi alle
famiglie rimaste in patria. Bisogna inoltre considerare le ricadute sul
turismo. La gran parte dei turisti che negli ultimi anni hanno scelto come meta
di villeggiatura il Marocco sono francesi e spagnoli, europei in generale, che
in questa fase preferiscono restare a casa propria con un occhio al portafogli.
Infine, ultimo grande canale di trasmissione della crisi europea, la
diminuzione registrata a livello di investimenti diretti stranieri sul
territorio.
Fino
ad ora ci siamo soffermati sulle origini e le caratteristiche della crisi
marocchina. Parliamo ora di una delle sue prime evidenti conseguenze, la
concessione del prestito di 6,2 miliardi di dollari da parte del FMI. Qual è la
sua opinione in proposito?
Come
accennavo all'inizio, il Marocco è condannato ad indebitarsi, in mancanza di
vere riforme politico-economiche sul piano interno (di cui i risultati si
vedrebbero comunque soltanto a lungo termine). Per il governo, attingere ad un
cospicuo stock di moneta in valuta straniera significa da una parte colmare il
budget di spesa e dall'altra dare respiro alle riserve di cambio, scese sotto i
minimi livelli di guardia. Ma il credito erogato dall'FMI non è una manna dal
cielo, non è la soluzione. E' una misura d'urgenza, forse addirittura
insufficiente, che rischia soltanto di accelerare il declino. I 6 miliardi di
dollari che dovrebbero aiutare il Marocco a liberarsi da una situazione di
dipendenza, non faranno che mantenere il paese nella spirale
dell'indebitamento, da cui a questo punto sarà difficile uscire.
Nella
nota redatta dal FMI al momento del prestito viene utilizzato un linguaggio
piuttosto soft. Si parla di "linea di precauzione e di liquidità".
Che cosa significa esattamente?
Che
bisogna smettere di giocare con le parole. I piani di aggiustamento strutturale
imposti negli anni ottanta hanno lasciato un ricordo doloroso nella memoria
della popolazione e soltanto a sentir parlare di un nuovo PAS l'opinione
pubblica avrebbe una reazione negativa immediata. Lo stesso FMI è consapevole
che questo prodotto finanziario non è più "vendibile", non è più
ricevibile, ed è costretto a fare un'operazione di marketing. A trovare un
escamotage. In questo caso ha mascherato il suo vecchio prodotto, cambiandogli d'abito.
Ha sostituito l'etichetta, parlando di "precauzione" piuttosto che di
aggiustamento o condizionamento, di "razionalizzazione della spesa"
piuttosto che di austerità e rigore, ma non ha mutato la sostanza del prodotto,
che resta un vero e proprio PAS. Questa mossa permette ai politici ed ai
governi dei paesi in via di sviluppo, quelli che ricevono il prestito, di
indorare la pillola di fronte alla propria opinione pubblica e costringerla ad
accettare una politica economica che non vuol dire il suo vero nome.
Qualche
polemica è scoppiata lo stesso e il governo si è difeso dicendo che quei fondi,
probabilmente, non verranno utilizzati....
E'
un'altra bugia, un altro sistema per sviare l'attenzione. Se il Marocco non
aveva bisogno di questo prestito, non si capisce perché lo abbia chiesto. Che
venga utilizzato o meno, il prestito - una volta erogato - matura interessi che
vanno anch'essi a gravare sul bilancio. Quindi il governo ha tutto l'interesse,
oltre alla necessità, di utilizzare i soldi ricevuti.
Ma
allo stesso tempo l'FMI chiede garanzie. Non bisogna dimenticare che il FMI,
come la Banca mondiale, è un organismo che deve vendere i propri prodotti
finanziari deve assicurare il rientro dell'investimento. E' un'azienda, non un
ente caritatevole internazionale. Ha mai conosciuto una banca pronta a prestarle
denaro senza avere la massima condizione di sicurezza che lei possa
effettivamente rimborsarlo? Suppongo di no.
Quali
sono le garanzie chieste dall'FMI al Marocco?
Il
controllo della politica economica e finanziaria, la ricetta è sempre la stessa
anche se il nome è diverso. Per questo dico che ci troviamo già in piena logica
di aggiustamento strutturale. Solo un mese fa il governo di Rabat ha inviato
una lettera (resa pubblica dalla stampa) al FMI con cui ribadiva il suo impegno
nel perseguire le linee guida delle politiche neo-liberiste e nel recepire i
"suggerimenti" del Fondo. Una palese dichiarazione di intenti, i
dettagli saranno noti in seguito, anche se è facile presumere che uno degli
ambiti di influenza sarà per esempio la "riforma" del codice del
lavoro. In altre parole, nel momento in cui il Marocco comincerà ad utilizzare
un solo euro o dollaro di questo prestito, entrerà nell'orbita stringente della
condizionalità. In un modo o nell'altro l'esecutivo sarà costretto ad applicare
le misure economiche e finanziarie che verranno dettate dai suoi creditori,
cedendo parte della propria sovranità. Posto che una sovranità in materia sia
realmente esistita fino ad ora…
Torniamo
sul problema della Caisse de compensation. In merito alla legge finanziaria del
2013, ora al vaglio del governo e poi del Parlamento, si è già parlato di una
drastica riduzione, se non addirittura della soppressione, di questo sistema di
sovvenzione dei prodotti di base (farina, zucchero, benzina, gas..). Secondo
lei è un primo riflesso di quella "condizionalità" a cui faceva prima
riferimento?
Gli
impegni assunti dal Marocco con il WTO e il FMI nei decenni passati avevano già
imposto la soppressione delle sovvenzioni statali, poiché definite
anti-concorrenziali in una logica di libero mercato. Sulla matrice
neo-liberista del provvedimento, quindi, non ci sono dubbi, anche se una simile
decisione non è dettata solo dalle nuove pressioni esterne, ma anche
dall'insostenibilità interna.
La
sua incidenza sul budget di governo ha raggiunto record storici nel 2011 (7-8%
del PIL), quando l'esecutivo ha deciso di servirsene a dismisura - pur sapendo
di andare incontro al fallimento - per "acquistare" la pace sociale
durante i mesi della contestazione politica promossa dal Movimento 20 febbraio
e ridurre il seguito dei manifestanti.
Inoltre,
non ho difficoltà ad ammettere che la Caisse
de compensation così come è stata concepita è un sistema di protezione inefficace,
che per di più non è basato su parametri di equità. Perché non è equo? Perché
non fa la differenza tra colui che compra il prodotto sovvenzionato avendone un
reale bisogno e colui che non ne ha necessità. E' un sistema altamente
dispendioso in cui il ricco e il povero godono della stessa sovvenzione. Un
fatto inaccettabile. Sarebbe molto più giusto e conveniente proporre un sistema
di aiuto diretto al cittadino in base alla fascia di reddito.
Ma
anche in questo caso ho paura che la parola riforma sarà semplicemente sinonimo
di tagli, con l'unica conseguenza di un aumento indiscriminato del costo della
vita di fronte al congelamento dei salari. Il rischio è che a pagare il prezzo
saranno ancora gli strati più indigenti della popolazione, vale a dire la sua
larga maggioranza, mentre nulla sarà fatto per apportare nuove regole di trasparenza
e per lottare contro la corruzione, gli oligopoli e gli abusi dei gruppi più
influenti che hanno contribuito a mettere in ginocchio l'economia del paese.
Nessun commento:
Posta un commento