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giovedì 7 gennaio 2010

Benabdesslam, una vita al servizio dei diritti dell’uomo

(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 412, 10-16 ottobre 2009)

Abdelilah Benabdesslam è uno dei protagonisti principali nella lotta per la difesa dei diritti umani in Marocco. Semplice, discreto e efficace, il vice-presidente dell’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo (AMDH) sta portando avanti una battaglia profondamente legata alla sua storia personale.



Il rischio è che, passata una certa età, si perda la determinazione. Che ci si trovi disorientati, che si perda la bussola e magari si cambi anche casacca. Ma ci sono delle eccezioni (per fortuna!) che confermano la regola e che a volte arrivano pure a cambiarla. Abdelilah Benabdesslam incarna questa singolarità. Con i suoi passi discreti ma sicuri, questo militante passionale punta ancora dritto all’essenziale. Vice-presidente dell’AMDH dall’ultimo congresso dell’associazione, il suo compito consiste nel seguire i dossier relativi alle violazioni gravi dei diritti dell’uomo. “Siamo ancora in perfetta continuità con il vecchio regime”, sono queste le parole con cui valuta i dieci anni di regno di Mohammed VI. E poi continua, “niente è veramente cambiato”. Abdelilah Benabdesslam è nato nel 1956 nella medina di Rabat. La scuola che frequentava si trovava vicina al mellah, il quartiere ebraico della capitale. L’ambiente, per le strade, era sempre teso a causa del conflitto israelo-palestinese. “Ero molto giovane e non facevo alcuna differenza tra ebrei e sionisti”, afferma con rammarico.

Il Libretto rosso
Benabdesslam muove i suoi primi passi all’interno delle associazioni legate all’epoca all’UNFP (Unione nazionale delle forze popolari). Ma già prima, le discussioni in famiglia sulla vicenda Ben Barka avevano scaturito la curiosità del piccolo Abdelilah. “Tanto più che la nostra famiglia aveva degli stretti legami di parentela, da parte di mia madre, con Mehdi Ben Barka”, precisa. Più tardi, frugando negli affari del fratello Ahmed, che era membro dell’UNFP, si imbatte sul giornale Annachera (una pubblicazione interna al partito durante gli anni ’60) e sul Libretto rosso di Mao Zedong, che divora senza pensarci su. L’effetto è immediato. “In occasione di una colonia organizzata dal Movimento per l’infanzia popolare, ho notato che, ad un certo punto, i nostri istitutori si erano messi a danzare sopra i tavoli. Ho domandato perché. Avevo tredici anni e non capivo. Mi risposero che il Palazzo reale di Skhirat era stato preso d’assalto”, ricorda Abdelilah. Arrivato al liceo, si inscrive al sindacato degli studenti, al tempo una organizzazione clandestina e diretta dalle nuove anime della sinistra radicale. Si occupa personalmente di distribuire i volantini che annunciano la nascita ufficiale del sindacato. Nel 1976, prima ancora di aver ottenuto il diploma, sceglie il mestiere di insegnante. Viene spedito a Beni Meskine (nella regione di Settat), in pieno contesto rurale. Questa esperienza lo porta a diretto contatto con la durezza della vita contadina nelle campagne marocchine. “A scuola non c’erano né sedie né lavagna. Gli alunni si portavano da casa delle piccole stuoie o dei pezzi di cartone sui quali si mettevano a sedere”.

La grazia reale
In quegli anni raggiunge l’organizzazione clandestina Ilal Amam e qualche tempo dopo il Movimento 23 marzo. “Provo tuttora un grande rispetto per le due organizzazioni, e mi considero ancora un militante della nuova sinistra degli anni settanta”, si lascia sfuggire con ironia. Pur essendo distante dalla capitale, non perde i contatti con i suoi compagni. La radio e i pochi giornali che arrivano nella regione costituiscono gli unici legami con il mondo esterno, in quei momenti di solitudine. Nel giro di due anni la fiamma rivoluzionaria lo riacciuffa e lo riporta a Rabat. Diventa membro dell’ufficio locale del sindacato degli insegnanti (CDT), dove si impegna a fondo. Prende parte attiva nella grande lotta sindacale che segna la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta. Aderisce all’AMDH fin dal momento della creazione nel 1979. “Tutto questo pur rimanendo allo stesso tempo membro dell’organizzazione segreta”, tiene a precisare. A caccia dei promotori delle agitazioni, il regime di Hassan II finisce per arrivare a lui. Nell’aprile del 1984 viene arrestato, torturato e imprigionato. “Stavo facendo lezione, quando il sorvegliante è arrivato in classe per annunciarmi che degli agenti della DST mi attendevano nell’ufficio del direttore”, racconta. Dopo un breve passaggio nel commissariato di Rabat, poi in un centro della DST (Direzione per la Sicurezza Territoriale) a Marrakech, Abdelilah Benabdesslam viene condotto a Derb Moulay Cherif. Dopo due mesi trascorsi nel centro di detenzione di Casablanca, è condannato a otto anni di carcere. Ne trascorre sette nella tristemente celebre prigione di Laalou. Dopo incessanti battaglie condotte assieme ai compagni, riesce ad ottenere il trasferimento nella prigione centrale di Kenitra. “Nel 1989 abbiamo portato avanti uno sciopero della fame per nove mesi. Siamo finiti tutti in rianimazione e durante la protesta abbiamo anche perso un compagno (Abdelhak Chebada)”, ricorda Abdelilah. Nel carcere di Kenitra ritrova molti dei suoi vecchi compagni di strada. Benmalek, Serfaty, El Harif, Nouda, Serifi, Bennacer, Benzekri ed altri. Nel 1991 una nota della MAP (agenzia stampa marocchina) annuncia che i detenuti politici hanno ritrattato le loro posizioni ed hanno chiesto la grazia reale. Il gruppo pubblica un comunicato in cui smentisce la notizia diffusa dall’agenzia e ribadisce che non è mai stata presentata alcuna domanda di grazia. Ma ciò non impedisce ad Hassan II di liberarli. “Dopo la liberazione ci aspettava un’altra battaglia”, continua il militante. Non era facile reintegrarsi in una società che nel frattempo era radicalmente cambiata, recuperare il lavoro andato perduto e continuare la lotta politica. Come riuscire in tutto questo? I tentativi di ricomporre le vecchie organizzazione vengono soffocati sul nascere dalla repressione del regime e dai conflitti in seno agli stessi militanti. “La sinistra marocchina non ha voluto rimettersi in questione”, recrimina Abdelilah Benabdesslam, che da quel momento ha scelto il settore dei diritti umani come terreno di lotta. Uno spazio dove nel corso degli anni è diventato una referenza indiscussa.

Aziz El Yaacoubi

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