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mercoledì 13 gennaio 2010

Mohamed Sebbar e il Forum Verità e Giustizia

Mohamed Sebbar è stato Presidente del Forum Verità e Giustizia dal 2003 al 2009. In seguito al III Congresso dell’organizzazione, tenutosi a metà del dicembre scorso (pochi giorni dopo il nostro incontro), ha lasciato l’incarico a Mustapha Manouzi. Sebbar è anche l’avvocato del detenuto italiano Kassim Britel.
L’intervista all’inizio si concentra sulle specificità e sugli obiettivi che muovono il lavoro dell’associazione e sul contesto politico in cui è avvenuta la sua creazione. Poi prende in esame il lavoro svolto dall’Istanza di Equità e Riconciliazione e le prospettive del Forum negli anni a venire.



J. G. : Da dove nasce il suo impegno nel Forum? Quale è stato il suo percorso prima di raggiungerlo?

M. S. : Sono nato nel 1959 a Rabat e qui ho completato il mio percorso di studi. Mi sono laureato prima in sociologia, poi in diritto privato. All’università, già dal 1975, facevo parte dell’UNEM, il sindacato degli studenti marocchini che in quel periodo era molto forte e combattivo, guidato essenzialmente da militanti di sinistra. Allo stesso tempo ho iniziato a militare nelle file dell’USFP (Unione socialista delle forze popolari), prima della rottura nel 1983. Dalla scissione venne fuori una nuova formazione politica, il PADS (Partito dell’avanguardia democratica e socialista), a cui ho aderito e a cui sono tuttora iscritto. Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta sono entrato a far parte dell’AMDH, di cui sono stato il vice-presidente dal 1997 al 2003. Infine ho contribuito alla creazione del Forum Verità e Giustizia, di cui sono presidente da due mandati. Lascerò questo incarico proprio nei prossimi giorni, al momento del Congresso.

J. G. : Quando è nato il Forum Verità e Giustizia e perché?

M. S. : Il Forum è nato nel 1999, lo stesso anno in cui è morto Hassan II ed è salito al trono Mohamed VI. L’associazione raggruppa tutte le vittime delle violazioni ai diritti umani che si sono avute nel Paese dal 1956 al 1999. Le famiglie dei disparus, i detenuti di opinione, le vittime della tortura, le vittime di processi iniqui. Il Forum si compone di 21 sezioni sparse in tutto il Paese e all’estero: la sede è a Parigi. Lavora su un dossier che si compone di più aspetti: quello materiale, per quel che concerne gli indennizzi, la copertura sanitaria ed il reinserimento sociale delle vittime, quello simbolico, come per esempio arrivare a delle scuse ufficiali dello Stato, e infine c’è l’aspetto politico, l’impegno per arrivare al cambiamento e alle riforme. Il nostro obiettivo è stabilire la verità su quanto accaduto all’interno del Paese dal momento dell’indipendenza fino alla fine del regno di Hassan II. Far luce sugli anni di piombo, le violazioni dei diritti dell’uomo e la repressione che ha colpito centinaia e centinaia di cittadini marocchini. Vogliamo arricchire la memoria, preservarla affinché certe violazioni possano non ripetersi. Far sì che le vittime riconosciute siano indennizzate dallo Stato, colpevole delle vessazioni. L’obiettivo ultimo rimane però l’avvio di una vera riforma istituzionale del Paese. Riforma costituzionale e legislativa.

J. G. : Cosa intende quando parla di riforme?

M. S. : Prima di tutto, nella nostra costituzione non è contemplata la divisione dei poteri, che resta la chiave di volta dell’organizzazione di una società democratica. Il re mantiene una posizione di monopolio, in tutti i settori della vita dello Stato. La costituzione non permette alla popolazione di partecipare alla vita politica del Paese. Noi chiediamo una riforma costituzionale che sancisca la separazione dei poteri, l’indipendenza della giustizia, l’autonomia del governo e del parlamento. L’assemblea ha delle competenze limitate, il potere legislativo resta di fatto nelle mani del governo, che è il solo a proporre le leggi. E il governo non fa che eseguire il programma del re, come ha dichiarato il Primo ministro Allal Al Fassi, l’indomani della sua investitura. Il Primo ministro è scelto e nominato direttamente dal monarca, come pure i 4 ministri detti “di sovranità” (Interno, Esteri, Affari Religiosi, Difesa). Non c’è un equilibrio tra l’istituzione reale e le altre istituzioni dello Stato. Allora servono assolutamente delle riforme, istituzionali, per riequilibrare questo sbilanciamento.
Altro punto. Il Rapporto finale dell’Istanza di Equità e Riconciliazione (IER) ha stabilito il coinvolgimento della polizia, dei servizi segreti e dell’esercito nelle violazioni dei diritti umani commesse durante gli anni di piombo. Non è questo il ruolo che spetta a tali soggetti, non almeno nei Paesi democratici. L’esercito è stato strumento di conflitti politici interni. Né il Parlamento né il governo hanno un potere di controllo su queste forze, che rispondono direttamente agli interessi di Palazzo. E’ tempo di cambiare.
Servono poi riforme legislative per raggiungere un’armonia tra legislazione nazionale e convenzioni internazionali, specie per quel che riguarda la difesa dei diritti dell’uomo ed il rispetto delle libertà personali. Chiediamo l’abolizione della pena di morte. Al momento è sotto moratoria, ma non ci sono garanzie che in casi eccezionali non venga riattivata. Chiediamo l’applicazione del trattato che istituisce la Corte penale internazionale, firmato dal Marocco ma non ancora ratificato.
Il nostro obiettivo è arrivare ad una vera rottura con il sistema politico e di governo che ha gestito il Marocco per più di cinquant’anni. Senza una vera rottura il Paese non avanzerà mai nel cammino di riforma democratica.

J. G. : Riguardo alla composizione del Forum, lei ha parlato di vittime e di familiari delle vittime. Può essere più preciso?

M. S. : Tra le vittime che compongono il Forum ci sono militanti di sinistra, membri dell’USFP o dei partiti più radicali, militanti dell’Istiqlal, militanti islamisti (vittime della repressione degli anni ’80), e ci sono anche vittime che non appartengono ad alcuna corrente politica. Al suo interno c’è una grande diversità e una grande ricchezza, che non è possibile trovare in altre associazioni della società civile. I suoi membri non sono necessariamente degli attori della vita associativa che lotta per la difesa dei diritti umani. Nel Forum è possibile trovare dei militanti dell’AMDH e dell’OMDH, ma non è una condizione obbligatoria. Tra le sue fila ci sono anche dei militari, vittime della repressione seguita al fallimento dei due colpi di Stato tentati negli anni settanta. Gli ufficiali furono uccisi o condannati a pene pesanti, ma gli allievi della scuola ufficiale (situata nella regione di Meknes) che vennero coinvolti nel golpe nel ’71, per esempio, non avevano responsabilità dirette. Non sapevano nemmeno perché fossero arrivati fino al Palazzo di Skhirat quel giorno. Eppure sono stati condannati, in molti casi espulsi dall’esercito o declassati. In totale il Forum conta più o meno 2200 membri.

J. G. : Chi si occupava delle vittime degli anni di piombo e della difesa dei diritti dell’uomo prima del 1999, intendo prima della creazione del Forum?

M. S. : Fin dagli anni settanta c’era un gruppo di famiglie delle vittime morte in circostanze poco chiare durante la guerra di indipendenza, che portava avanti le sue rivendicazioni di fronte al silenzio dell’intera classe politica. Poi è stata la volta delle famiglie delle vittime di Tazmamart, il centro di detenzione segreta voluto da Hassan II dopo i due colpi di Stato falliti all’inizio degli anni settanta. Si è creato così un primo nucleo compatto di persone disposte a lottare per la difesa dei diritti dell’uomo nel paese e per la conoscenza della verità. Un nucleo che si componeva delle vittime delle violazioni e dei militanti politici di sinistra. All’inizio degli anni settanta è nata la Lega marocchina dei diritti dell’uomo (1972), legata al partito dell’Istiqlal, poi è stata la volta dell’Associazione marocchina dei diritti dell’uomo (1979), a base USFP ma subito integrata dalle forze della sinistra marxista, e infine dell’Organizzazione marocchina dei diritti dell’uomo, creata in seguito alle divergenze prodottesi all’interno dell’USFP e alla fuoriuscita del PADS. La maggior parte dei militanti dell’USFP uscì dall’AMDH e creò l’OMDH.

J. G. : Come si è arrivati alla creazione dell’IER?

M. S. : L’IER è una iniziativa voluta da Mohammed VI, messa in atto dopo la proposta presentata nel novembre 2003 dal Consiglio consultivo per i diritti dell’uomo (CCDH), in quel momento presieduto da Driss Benzekri. Ma già sotto Hassan II era stato fatto un tentativo di “pacificazione” tra le vittime della repressione del regime e le istituzioni. Prima dell’IER era stata creata un’altra istanza reale, nella seconda metà degli anni novanta, chiamata Commission d’arbitrage, incaricata di fare chiarezza sugli arresti e le detenzioni arbitrarie degli anni di piombo. Alla conclusione dei lavori, la commissione stabilì l’uguaglianza di fondo tra le vittime e i torturatori, i responsabili delle violazioni. Le vittime, in gran parte oppositori del regime, erano dunque ugualmente colpevoli. Su questa base la commissione domandò l’amnistia per tutti. Una tale soluzione innescò la reazione delle famiglie delle vittime, che negli anni si erano moltiplicate e che chiedevano sempre più a gran voce l’inizio di una vera giustizia di transizione.
Il frutto di questa reazione decisa è stata la nascita del Forum nel 1999. La visione dello Stato rispetto al dossier delle vittime degli anni di piombo era oltremodo limitata. Il massimo che poteva concedere era una indennità finanziaria. Ma per le famiglie del Forum il problema era ben più vasto ed i provvedimenti da prendere ben più numerosi.
Il caso della giustizia di transizione in Marocco mantiene delle specificità che lo distinguono dalle altre esperienze di giustizia di transizione, come per esempio quella sudafricana. In Sudafrica le udienze pubbliche e i processi sono cominciati dopo la caduta dell’apartheid, in seguito ad un cambio di regime netto. In Marocco il lavoro della cosiddetta giustizia di transizione è stato compiuto in perfetta continuità con il regime che si era reso complice e talvolta responsabile dei crimini e delle violazioni che dovevano essere giudicate. Gli autori degli arresti arbitrari, delle torture e delle sparizioni, in molti casi siedono ancora ai posti di comando del regime, anche dopo la morto la morte di Hassan II e l’ascesa al trono di Mohammed VI. Inutile dire che questo ha complicato terribilmente il nostro compito ed ha impedito la ricezione delle nostre rivendicazioni. Superare il passato pur restando nella continuità con il passato stesso è una contraddizione in termini: questo spiega i risultati in generale modesti ottenuti fino ad ora dalla nostra esperienza.

J. G. : Come considera il lavoro svolto dall’IER? Quali sono secondo lei gli aspetti più positivi di questa esperienza e cosa invece non ha funzionato?

M. S. : Per quel che riguarda il lavoro svolto dall’Istanza e il Rapporto finale rimesso nelle mani del re (nel novembre 2005 nda), ci sono a mio avviso degli avanzamenti importanti, anche se rimangono più sul piano quantitativo che qualitativo. Le udienze pubbliche hanno permesso di portare a conoscenza delle famiglie molti casi di sparizioni fino a quel momento negate dai responsabili del regime. Hanno permesso l’individuazione di fosse comuni nella regione di Fes, di Marrakech e nella zona sud del Paese. Sul piano della memoria, invece, non è stato ottenuto molto, dal momento che i nomi dei responsabili sono rimasti sigillati nei nastri delle udienze private e non hanno ricevuto l’autorizzazione ad essere diffusi. Uno degli aspetti positivi, contenuti nel rapporto finale, è la condanna chiara ed esplicita degli avvenimenti presi in esame e l’impegno alla non ripetizione di tali drammatici eventi, che hanno infangato oltre quarant’anni di storia nazionale.
Tra i punti forti c’è poi l’importanza che ha avuto, a livello di impatto sulla popolazione, l’allestimento delle udienze pubbliche. Mentre tra le mancanze, i punti deboli, resta l’assenza di una riflessione e di una analisi profonda del contesto storico e politico che ha portato a certe violazioni. Il caso delle vittime della guerra del Rif, per esempio, e dei bombardamenti voluti nel ’57 e nel ’58 dallo Stato stesso. Nel riconoscimento di queste vittime, l’IER ha dimenticato di far luce sulle responsabilità del regime che causarono la morte di centinaia di civili. Oppure prendiamo l’esempio delle vittime saharaoui che, stando al rapporto dell’IER, restano delle vittime di un conflitto armato. Tuttavia, ci sono migliaia di vittime saharaoui che non hanno mai imbracciato un’arma, forse reclamavano l’autonomia, ma con mezzi del tutto pacifici. C’è poi il caso Ben Barka. Oggi si conoscono la gran parte dei retroscena che portarono all’omicidio del militante, la responsabilità del generale Oufkir e l’accondiscendenza di Hassan II, ma non si è ancora avuta una risoluzione giuridica, non sono ancora state emesse condanne e le giustizia marocchina continua a porre ostacoli alla giustizia francese, che ha sì avviato un’inchiesta (Ben Barka venne giustiziato in territorio francese, a Parigi, nda), ma che non riesce a portare avanti a causa delle strette relazioni politico-economiche che intercorrono tra i due Paesi.
Tutto questo significa che l’IER, nel suo lavoro pur sempre prezioso, aveva delle linee rosse che non poteva toccare. Meglio ancora, nel momento in cui la sua indagine portava al coinvolgimento del re nelle violazioni, è stato costretto a fermarsi e fare marcia indietro. Un altro punto debole sta nel fatto che l’Istanza non aveva, già come presupposto, il diritto di determinare le responsabilità individuali delle persone coinvolte nei crimini e nelle violazioni. Non aveva nemmeno il diritto di citare i nomi dei torturatori, seppur conosciuti a seguito dell’inchiesta. I testimoni stessi che prendevano la parola durante le udienze pubbliche dovevano sottostare a questo forte limite. Su questo la posizione del Forum è chiara e inequivocabile: non è possibile separare la verità dalla responsabilità, sia questa individuale o collettiva.

J. G. : Le raccomandazioni contenute nel Rapporto finale, consegnato dall’IER nel 2005, sono state attuate?

M. S. : Per quel che riguarda gli indennizzi finanziari sì. Le vittime, nella quasi totalità dei casi, hanno ricevuto le riparazioni previste dall’IER. Per quel che riguarda la copertura medica e la reintegrazione delle vittime nel posto di lavoro, invece, c’è ancora molto da fare.
Poi c’è tutto l’aspetto della transizione legislativa e costituzionale, di cui abbiamo parlato all’inizio dell’intervista, che fa parte delle raccomandazioni dell’IER, ma che resta tuttora lettera morta. Infine la questione delle scuse ufficiali: dopo la consegna del rapporto, le autorità hanno individuato nel Primo ministro la persona che doveva pubblicamente presentare le scuse del regime al popolo marocchino, ma fino ad oggi non è stata pronunciata nessuna dichiarazione in tal senso.

J. G. : A quattro anni dalla chiusura dei lavori dell’IER, il Forum continua la sua battaglia. Cosa significa?

M. S. : L’aspetto fondamentale che muoveva il lavoro dell’IER era stabilire la verità e arricchire la memoria collettiva della popolazione. E in questo senso qualcosa è stato fatto, anche di molto importante. Ma ancora più importante è assicurare una rottura con il passato, assicurare la non ripetizione delle gravi violazioni dei diritti dell’uomo di cui questo Paese è stato teatro per troppo tempo. E la rottura, ripeto, può essere assicurata solo da un intervento congiunto a livello giuridico, legislativo e costituzionale. Solo così otterremo delle garanzie. Nelle condizioni in cui siamo il lavoro del Forum resta più che mai utile e produttivo.

J. G. : Gli obiettivi che il Forum si era posto dieci anni fa, al momento della creazione, hanno subito delle modifiche? In altre parole, il vostro dossier non potrebbe estendersi oltre il 1999, arrivando così a comprendere le gravi violazioni subite dai detenuti islamici negli ultimi anni?

M. S. : Questo è uno dei punti su cui molto si sta discutendo all’interno dell’organizzazione. Non posso dirle niente di più, ma la proposta di estendere il dossier seguito dal Forum alle vittime delle violazioni post-1999 sarà all’ordine del giorno in occasione del nostro prossimo congresso, previsto tra pochi giorni a Marrakech.
A mio avviso, il Marocco ha conosciuto un debole avanzamento per quel che riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo, a partire dagli anni novanta. Degli avanzamenti limitati e privi di garanzie, come ho già detto, ma pur sempre degli avanzamenti. Dopo gli attentati di Casablanca si è assistito all’involuzione di questo processo, sancito dalla legge anti-terrorismo promulgata in fretta e furia l’indomani del 16 maggio 2003. Il Paese ha conosciuto un brusco ritorno al passato e un brusco ritorno a pratiche che pensavamo ormai superate, quali i sequestri, gli arresti arbitrari, la tortura e i processi iniqui. Il passo indietro ha toccato anche i progressi fatti nel settore della libertà di stampa.
Credo che non sia possibile comparare quanto vissuto durante gli anni di piombo con la repressione attuata negli ultimi anni all’indirizzo dei militanti salafiti, se non altro in termini quantitativi. Ma il fenomeno esiste ed è evidente, le violazioni ci sono e ne conosciamo i dettagli. Il Forum condanna la pericolosità del processo in atto. Molte persone sono state giudicate solo per la barba che portavano, per il loro modo di vestirsi o per il modo di praticare il culto. Questo rientra nella libertà di religione del singolo individuo, che in una società pronta all’evoluzione democratica dovrebbe essere assicurata. E lo stesso vale per la libertà di opinione. Il regime ha stretto una morsa repressiva innegabile attorno alla galassia salafita, da anni integrata nel Paese, e in questa caccia ha coinvolto centinaia di innocenti.
Tuttavia il Forum come organizzazione, almeno fino ad ora, non ha esteso il suo dossier al di fuori del periodo che va dal 1956 al 1999. Dunque non ha integrato nel suo lavoro e nelle sue rivendicazioni tutte quelle violazioni, seppur note, intercorse dopo il 1999. Ripeto, almeno fino ad ora.
Il caso dei detenuti islamici è seguito attualmente dall’AMDH e dall’associazione Ennassir. Il Forum, attraverso dei comunicati e un minimo di lavoro di coordinamento, potrebbe certo aggiungere un qualcosa in più. Ad ogni modo questo dossier viene tenuto in considerazione dal Forum nella sua battaglia per la non-ripetizione delle violazioni accertate durante gli anni di piombo. La non-ripetizione è una delle raccomandazioni dell’IER ed è uno dei punti centrali del lavoro del Forum. Quello che sta succedendo ai detenuti islamici è una netta infrazione di questo principio e noi non possiamo accettarla.

J. G. : Qual è la posizione del Forum in relazione al conflitto in corso nel Sahara Occidentale?

M. S. : Non esiste una posizione del Forum in merito a questo soggetto. Per la semplice ragione che all’interno del Forum sono tuttora presenti dei militanti del movimento nazionale, che lottarono contro la colonizzazione sia francese sia spagnola: per loro non esiste dubbio o questione, il Sahara è marocchino. Allo stesso tempo, però, ci sono dei membri Saharaoui e ci sono dei membri che appartenevano ad organizzazioni clandestine come Ilal Amam, storici sostenitori dell’autodeterminazione del popolo saharaoui. E’ molto difficile per noi stabilire una posizione univoca. Forzare la mano su questo punto significherebbe indebolire il Forum, creare delle fratture e perdere di vista i nostri obiettivi. Allo stesso tempo, tuttavia, stabilire la verità di quanto avvenuto nel Sahara dopo il 1975 (anno della Marcia verde, nda) e far luce sulle violazioni commesse in quel territorio rientra a pieno titolo nelle nostre rivendicazioni.

J. G. : Come hanno reagito le autorità alla creazione e al lavoro del Forum?

M. S. : I nostri rapporti con le autorità sono buoni. Non abbiamo ricevuto intimidazioni o attacchi nel nostro lavoro, se è questo che vuol sapere. Del resto ci sono tra noi degli attivisti che fanno parte dei partiti di governo o che ne hanno fatto parte. Fin dal nostro primo congresso abbiamo preso dei contatti diretti con l’istituzione reale, nella persona di Fuad Ali El Himma, all’epoca capo gabinetto al Ministero dell’Interno (il ministro era Driss Jettou). Abbiamo subito intavolato delle trattative, per convincere lo Stato dell’utilità del Forum e della necessità della sua azione nel quadro dell’evoluzione democratica sostenuta a gran voce dai vertici del regime. Fino ad ora le attività della nostra organizzazione non hanno mai subito veri episodi di repressione. Abbiamo realizzato le nostre “carovane della memoria”, continuiamo a discutere delle riforme politiche necessarie al Paese. Talvolta ci troviamo di fronte a degli ostacoli, ma cerchiamo sempre di arrivare ad una soluzione che non implichi l’avvio di un’azione repressiva. Non nego che il regime abbia i suoi interessi nel non ostacolare il nostro lavoro. Mohammed VI è riuscito a far dimenticare l’immagine negativa che la comunità internazionale aveva di suo padre, ed ha tutte le ragioni per evitare una ricaduta in questo senso.

J. G. : Qual è il rapporto tra il Forum e le associazioni marocchine che lottano per la difesa dei diritti umani?

M. S. : Il lavoro del Forum è legato a quello dell’AMDH e dell’OMDH. Nel 2001 abbiamo organizzato assieme un grande “Simposio dei diritti umani”, a cui hanno aderito anche membri di partiti politici, di sindacati, del CCDH e dell’allora Ministero dei diritti umani. L’obiettivo dell’iniziativa era quello di restituire alle mani della società civile il dossier delle violazioni dei diritti umani subite durante gli anni di piombo, dal momento che, come le ho accennato poc’anzi, lo Stato aveva intrappolato in una “veste ufficiale” questo dossier, con la creazione della Commission d’arbitrage. Dopo il 2001 abbiamo continuato a lavorare in stretto contatto con le altre associazioni. La creazione dell’IER è stata una risposta del regime a quella nostra mobilitazione, all’unità d’intenti e alla forza che ne scaturiva. Nel corso del prossimo anno abbiamo in progetto di dar vita ad un secondo “Simposio”. Ce n’è bisogno.

J. G. : Quali sono invece i rapporti con il CCDH?

M. S. : Un rapporto diverso da quello che ci lega all’AMDH o all’OMDH. Il CCDH è un organismo creato dal regime nei primi anni ’90, voluto da Hassan II con l’obiettivo di ripulire l’immagine negativa con cui era visto all’estero, dopo che vicende come Tazmamart o la reclusione segreta della famiglia Oufkir erano divenute di dominio pubblico. Non proviene dal lavoro e dalle esigenze della società civile. Ma il problema non è semplicemente legato all’origine, piuttosto alla mancanza di indipendenza che caratterizza questo organismo. L’ordine del giorno del CCDH deve prima essere approvato dal re e fino a poco tempo fa il suo finanziamento non era nemmeno votato dal Parlamento (dunque sfuggiva al suo controllo), ma proveniva direttamente dal budget del Makhzen. Con dei tali presupposti è più facile trovarsi in attrito che in sintonia con le disposizioni del Consiglio.

J. G. : Come ha vissuto, da membro del Forum, il passaggio di Benzekri alla testa del CCDH?

M. S. : Benzekri era il presidente del Forum al momento della sua creazione ed ha difeso in maniera eccellente la battaglia portata avanti dalla nostra organizzazione. Quando è stato nominato alla testa del CCDH e poi dell’IER ha proseguito quella stessa battaglia, pur inscrivendosi in una dinamica differente. I suoi mezzi erano cambiati, la sua libertà d’azione, se così si può dire, si è ristretta. Tenendo presente questi dati, penso che alla fine la sua azione sia stata positiva e che abbia comunque svolto un buon lavoro.

J. G. : Per esempio?

M. S. : Per esempio le raccomandazioni contenute nel Rapporto finale dell’IER. L’applicazione di tutte le raccomandazioni predisposte, costituirebbe da sola la base per la rottura di cui abbiamo parlato. Ma per il momento restano delle buone intenzioni su un foglio di carta. Quasi nulla è stato fatto per tradurle in azioni concrete.

J. G. : In conclusione, crede che gli avanzamenti politici e sociali di cui il regime continua a vantarsi siano acquisizioni reali e concrete, oppure solamente il frutto della buona politica di immagine condotta da Mohammed VI?

M. S. : Non nego che ci siano stati degli avanzamenti negli ultimi dieci anni, ma questi avanzamenti sono privi di garanzie legali e costituzionali. Prendiamo l’esempio della stampa. Le libertà acquisite nell’ultimo decennio sono evidenti, almeno secondo me, ma tali libertà non sono garantite dalla legislazione, che resta restrittiva. Quando una particolare congiuntura o un particolare momento della vita nel regno fa fare un passo indietro alle autorità in materia di rispetto delle libertà, il regime non fa altro che appellarsi alle leggi esistenti. In altre parole, tollera avanzamenti e prese di posizione coraggiose fino a quando gli fa comodo. Poi, quando decide che una simile attitudine nuoce ai suoi interessi, mette da parte la tolleranza e invoca una rigorosa applicazione della legislazione in vigore. In questo senso dico che ci sono stati degli avanzamenti, che mancano però del supporto garantito da una legislazione liberale e democratica. Manca la rottura, quella rottura che il Forum reclama a gran voce.

Rabat, 3 dicembre 2009

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