(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 421, 12-18 dicembre 2009)
IER. Mohammed VI, sostenendo il rapporto conclusivo dell’Istanza di Equità e Riconciliazione, è chiamato ad applicare le raccomandazioni contenute nel rapporto stesso, ritenute indispensabili dai militanti dei diritti umani affinché la transizione democratica cominci veramente.
Ufficialmente la pagina delle violazioni gravi dei diritti dell’uomo è stata chiusa in modo definitivo con la pubblicazione del rapporto emesso dall’Istanza di Equità e Riconciliazione. Con la pubblicazione di tale rapporto e gli indennizzi concessi alle vittime, il regime ha cercato di lasciarsi alle spalle l’incubo degli anni di piombo. Ma questo è soltanto il parere delle autorità. L’organizzazione che si occupa delle vittime e delle famiglie delle vittime di quegli anni non è dello stesso avviso. In occasione del suo terzo congresso, che avrà luogo dall’11 al 13 dicembre prossimo, il Forum Verità e Giustizia ha scelto uno slogan che riassume perfettamente lo stato d’animo dei militanti delle associazioni per i diritti umani: Mamfakinche ("non lasceremo perdere").
Il Forum di tutte le vittime
“Dopo quattro anni le raccomandazioni restano ancora nei cassetti del Consiglio consultivo. Ci rivolgiamo al monarca per ottenere l’applicazione di quella che resta una base di rivendicazioni minima e irrinunciabile per il movimento che difende i diritti umani nel Paese. A cominciare dalle raccomandazioni che necessitano solo di una semplice volontà politica”, tuona Mustafa Manouzi, segretario generale del Forum. Come le scuse ufficiali da parte dello Stato o l’abolizione della pena di morte. Dopo quattro anni di attesa (il rapporto è stato rimesso al Re nel dicembre 2005) niente è stato fatto, a parte gli indennizzi (eseguiti solo in parte, dato che gli ufficiali di Ahermoumou sono ancora in attesa), il limitato reinserimento delle vittime degli anni di piombo nel contesto lavorativo e l’estensione della copertura sociale. Eppure, il 6 gennaio 2006, il Re aveva pronunciato un discorso nel quale ribadiva la necessità di “trarre da questa parte della storia gli insegnamenti dovuti, al fine di dotarsi delle garanzie necessarie per evitare il riprodursi delle violazioni passate e per colmare le lacune lasciate in eredità”. E’ esattamente quanto domanda ancora oggi il Forum, assieme alle altre associazioni dei diritti umani. Per raggiungere questi obiettivi la sola strada da percorrere è l’applicazione delle raccomandazioni uscite dall’IER.
Il Forum Verità e Giustizia è l’organizzazione meglio posizionata per difendere questo dossier. Al suo interno sono rappresentate le vittime e le famiglie delle vittime di tutte le differenti ondate repressive perpetrate all’interno del Marocco. “Nel Forum sono presenti i militari d’Ahermoumou, le vittime di Ecouvillon, coloro che sono passati per Tazmamart, per Kelaat Megouna, Tagounit (bagni penali segreti, ndt). Tra i nostri membri ci sono anche dei militanti della Gioventù Islamica, le vittime delle rivolte urbane del 1965, del 1981, del 1984 e del 1990, i detenuti saharaoui e gli esiliati. Un patchwork rappresentativo di tutte le vittime degli anni di piombo”, spiega Mohamed Hassine, coordinatore del Forum a Casablanca.
Se non ci fosse stato il Forum, non si sarebbe arrivati alla creazione dell’IER. Driss Benzekri era presidente del Forum prima di essere avvicinato dall’entourage reale ed essere nominato, il 7 gennaio 2004, presidente dell’IER. In più, dal momento della sua creazione nel 1999, il Forum ha dato battaglia su tutti i fronti per spingere le autorità ad affrontare questo capitolo ancora oscuro della storia nazionale. Assieme all’AMDH ha reso pubblica, nell’ottobre 2000, una lista dei responsabili degli abusi più feroci, dove figurano i nomi del commissario Kaddour Yousfi, e dei generali Moulay Hafid Alaoui, Hamidou Laanigri e Housni Benslimane. Nel 2001 ha organizzato una grande conferenza nazionale, che ha prodotto raccomandazioni ben più ambiziose di quelle contenute nel rapporto finale dell’IER. “Abbiamo organizzato le carovane della memoria. Il primo pellegrinaggio ha avuto come obiettivo la prigione segreta di Tazmamart. Siamo arrivati fin laggiù quando ancora era proibito anche solo pronunciare quel nome”, afferma Abdelbaki Yousfi, membro dell’ufficio esecutivo del Forum.
Il CCDH fuori gioco
Alla fine il dossier è stato preso in mano dalla monarchia e il rapporto finale ha ricevuto l’approvazione del Re in persona. Nel rapporto sono contenute raccomandazioni di differente portata. Alcune possono avere immediata applicazione, mentre altre hanno bisogno di un lavoro a medio e lungo termine. Le scuse ufficiali dello Stato e la ratifica delle convenzioni internazionali, così come l’adesione del Marocco alla Corte internazionale di giustizia, dipendono solo dalla volontà politica. Il rafforzamento del principio della separazione dei poteri, l’inserimento dei diritti fondamentali nella costituzione, la condanna legale delle sparizioni forzate e il rafforzamento dell’indipendenza della giustizia, dipendono invece da un lavoro a carattere legislativo o da una vera riforma costituzionale. Un lavoro realizzabile a medio termine. Così come la riforma della politica di sicurezza, di importanza vitale per evitare di ricadere nelle violazioni commesse in passato. Oggi, tuttavia, il CCDH (Consiglio consultivo per i diritti umani), l’organismo incaricato di dare applicazione alle raccomandazioni dell’IER, sembra aver rinunciato ai suoi doveri. Ahmed Herzenni, a capo del Consiglio voluto dal Makhzen, si concede addirittura un eccesso di zelo. “E’ stata fatta piena luce sulla verità” - continua a ripetere a gran voce – “di conseguenza il dossier sugli anni di piombo può essere considerato definitivamente chiuso”. Non è dello stesso avviso Mustafa Mansouri: “il CCDH e il suo presidente sono venuti meno al ruolo che gli spetta. Il Consiglio è diventato un porta-parola dello Stato, pronto a tutto pur di difendere gli interessi del regime. Non è più una struttura affidabile”. All’inizio di dicembre, mentre promuoveva il progetto di risarcimento comunitario destinato ad undici regioni del Paese, Ahmed Herzenni ha annunciato che “il lavoro costante portato avanti dal Consiglio nella ricerca della verità ha permesso di far luce su 57 casi tra i 66 lasciati irrisolti dall’IER”. Tali dichiarazioni sono state recepite dal Forum con grande scetticismo. Membro dell’ufficio esecutivo e sorella di un attivista scomparso, Houria Esslami si scaglia contro questo genere di affermazioni-propaganda. “L’IER alla fine del suo lavoro aveva lasciato 66 casi di sparizioni forzate senza soluzione. Il signor Herzenni parla oggi di 9 casi rimasti, ma fino ad ora nessuna lista ufficiale dei militanti scomparsi è mai stata pubblicata o resa nota”. In palese contraddizione con quanto chiesto dall’Istanza stessa. Le famiglie degli scomparsi da molti anni sono in attesa di una risposta definitiva e motivata che riesca a far luce sulla sorte toccata ai loro cari. La verità non è ancora stata rivelata, al contrario di quanto affermato dal CCDH, e dunque non è ancora stata resa giustizia. “Non possiamo parlare di verità fintanto che casi importanti come quello Manouzi, Ben Barka, Ouassouli, Esslami e Rouissi restano irrisolti. E non è possibile nemmeno parlare di giustizia, dal momento che i torturatori, gli esecutori materiali di queste sparizioni, non sono stati portati in giudizio. Di fatto però resta l’importanza delle raccomandazioni seguite al lavoro dell’IER, che consideriamo la soglia minima necessaria per proteggere le generazioni future contro nuovi eventuali abusi da parte del potere. Le riteniamo delle decisioni intangibili”, dichiara Jawad Skalli, ex-sindacalista e membro del Forum.
Una nuova era di violazioni
Come arrivare, d’altronde, a chiudere il dibattito sugli abusi commessi nell’era di Hassan II, quando anche i primi dieci anni di regno di Mohammed VI sono stati macchiati da nuove pesanti violazioni dei diritti umani? A cominciare dall’ondata repressiva promossa dallo Stato dopo gli attentati del 16 maggio 2003: sparizioni, torture e processi sbrigativi. E non è tutto: i rapporti di tutte le associazioni che difendono i diritti dell’uomo puntano il dito sui metodi approssimativi utilizzati dai servizi segreti marocchini nella gestione dei dossier legati al terrorismo. Nel solo 2008, l’AMDH ha denunciato 26 nuovi casi di sparizioni forzate e i processi politici continuano a caratterizzare l’era di Mohammed VI. Ben poco, da questo punto di vista, sembra essere realmente cambiato. Il Forum Verità e Giustizia sta pensando alla possibilità di estendere il suo interesse alle violazioni commesse dopo il 2000. Fino ad ora il suo campo di azione è rimasto concentrato sugli anni che vanno dal 1956 al 1999. “Accettando il lavoro dell’Istanza di Equità e Riconciliazione abbiamo firmato un assegno in bianco al regime. Manteniamo viva la speranza che la controparte dia seguito alla parola data, ma non accetteremo per nessun motivo un ulteriore ritardo nell’applicazione delle raccomandazioni uscite dall’IER. Cosa lasceremo in eredità ai nostri figli – si interroga Mustafa Manouzi - se non riusciremo a rendere il Marocco più rispettoso della dignità dei suoi stessi cittadini?”.
I volti del Forum
Jawad Skalli, l’esiliato di turno
Nativo della città di Khenifra, Jawad Skalli ha trascorso quasi vent’anni in Canada prima di tornare per “cercare di contribuire all’avvenire del Paese”. Ex-militante dell’UNEM (Unione Nazionale degli Studenti Marocchini), Jawad è stato arrestato nel 1972, quando era studente alla Facoltà di Scienze di Rabat. Ha trascorso cinque anni in carcere, passando da Derb Moulay Cherif alla prigione di Ghbaila e poi alla prigione di Kenitra. Uscito dal carcere ha iniziato una carriera brillante nel settore tipografico, ma non ha mai smesso di sentirsi minacciato. Vedendo la sua famiglia in pericolo ha scelto la via dell’esilio. La sua analisi sul Marocco di oggi: “Sono stati compiuti dei passi in avanti, ma l’essenziale non è ancora stato fatto. Non si può costruire una democrazia sulla base di una costituzione anti-democratica. Nel migliore dei casi si tratta di un’utopia. Nel peggiore, di demagogia pura e semplice”.
Mustafa Manouzi, la continuità di una stirpe
Cugino di Houcine Manouzi e attuale segretario generale del Forum, Mustafa Manouzi è un avvocato, conosciuto per il suo modo di parlare franco, senza timore. Normale, fa parte di una famiglia, gli Ait Manouze, che ha dato numerosi martiri alla causa del Marocco democratico. Nato a Casablanca nel 1959, è finito in carcere due volte: nel 1981, condannato a un anno di prigione, e nel 1984, condannato a quattro anni, più cinque anni di allontanamento forzato da Casablanca. Il suo bilancio sui quattro anni trascorsi dal momento della pubblicazione del rapporto dell’IER: “Negativo. Il Consiglio consultivo è un organismo inefficiente e privo di autonomia. Bisogna rivolgersi direttamente al Re se si vuole ottenere l’applicazione delle raccomandazioni. Spetta a lui questa responsabilità, dal momento che ha sottoscritto il contenuto del rapporto prodotto dall’IER. Da questo dossier dipenderà la sorte di tutto il Paese”, afferma senza mezzi termini.
Houria, per la memoria del fratello
Houria Esslami non è finita in prigione per le sue idee politiche. Questa militante, membro dell’ufficio politico e presente alla creazione del Forum, è la sorella di Mohamed Esslami, scomparso nel 1997. Il suo caso rientra nella lista dei 66 disparus su cui l’IER non è riuscito a fare luce. “Aveva appena ottenuto la laurea in medicina. E’ venuto a farmi visita a Rabat. Un giorno è uscito di casa. Sono dodici anni che aspettiamo il suo ritorno”, ricorda Houria. Di professione traduttrice, Houria ha fatto parte del comitato di coordinamento delle famiglie degli scomparsi. Dopo dieci anni al Forum, guarda al lavoro dell’organizzazione con soddisfazione. “Per una ONG che ha portato avanti da sola la sua lotta, senza l’aiuto dei partiti politici, veder realizzate parte delle sue rivendicazioni è quanto meno positivo”, conclude quella che molti considerano il factotum del Forum.
Yousfi e la “vigilanza storica”
Poiché simpatizzante di Ilal Amam e attivista nel campo dei diritti umani, Abdelbaki Yousfi è stato arrestato nell’ottobre 1985. Ha trascorso 45 giorni nel centro di tortura di Derb Moulay Cherif prima di essere condannato a quattro anni di carcere. “In quell’epoca eravamo molto attivi. Abbiamo contribuito alla creazione di numerose associazioni che si battevano per i diritti della donna e che lottavano contro l’analfabetismo”, racconta Abdelbaki. Dopo l’uscita di prigione, Yousfi ha partecipato alla creazione delle associazioni dei laureati-disoccupati, prima di ritrovarsi tra i fondatori del Forum. “Nel congresso che si terrà a breve dovremo insistere sull’applicazione delle raccomandazioni dell’IER. Dobbiamo essere vigili, dobbiamo continuare a lottare affinché quanto successo in passato nel nostro Paese non possa più verificarsi”.
Hicham Houdaifa
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