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giovedì 31 dicembre 2009

Zahra libera dietro le sbarre

(Articolo pubblicato da Tel Quel, n. 403, 19-25 dicembre 2009)

Il processo in appello della “più giovane detenuta politica del Marocco” è previsto per il 23 dicembre. Zahra Boudkour è in prigione da 19 mesi per aver preso parte ad una manifestazione. Fisicamente provata, il suo stato d’animo resta più che mai combattivo.

Nella sua cella del carcere di Boulmahrez a Marrakech, Zahra attende l’arrivo della sera, il momento in cui i guardiani non passano più, le altre detenute abbassano il volume della televisione e i loro bambini smettono di piangere. E’ allora che Zahra si immerge, come può, nei suoi manuali di diritto. “Sto studiando il corso sui contratti – spiega – ho ricevuto il materiale da poco e in gennaio ci saranno gli esami”. Vuole diventare avvocato. Nel maggio 2008 frequentava il secondo anno all’Università Cadi Ayyad di Marrakech. Ma a ventuno anni la sua vita è precipitata.



Studentessa modello e ribelle
Zahra è nata a Zagora, dopo ben undici tra fratelli e sorelle. Il padre è un militare e un vecchio combattente della resistenza. Rimasta orfana della madre a due anni, è stata cresciuta dalla sorella maggiore Moulouda. “Un’infanzia normale, né felice né triste. Al liceo ero la prima della classe, ma fin dall’adolescenza sono rimasta colpita dalle ingiustizie sociali che vedevo attorno a me. Molta gente moriva per la mancanza di cure adeguate, per la mancanza di acqua”. Per “difendere gli interessi del popolo” a vent’anni Zahra decide di iscriversi alla Facoltà di legge all’Università di Marrakech. Aderisce all’UNEM (Unione nazionale degli studenti marocchini) e al partito Annahj Addimocrati (la Via Democratica). Spinta da una motivazione incrollabile abbraccia il marxismo-leninismo come vocazione e raggiunge le fila dei “moutons noirs” alla facoltà.
Il 14 maggio 2008 è tra i tremila studenti che manifestano contro gli elevati costi di accesso alle visite ospedaliere imposti agli studenti. Gli agenti di polizia si gettano nel mucchio. Abdelkebir Bahi viene spinto giù dalla cima di un palazzo e si ritrova la colonna vertebrale fratturata. Altri diciotto studenti sono arrestati, condotti al commissariato di piazza Jamaa Al Fna e torturati per cinque giorni. All’epoca si è molto discusso dei trattamenti riservati a Zahra, l’unica ragazza del gruppo. E’ stata gettata nuda in una cantina, dove i poliziotti hanno minacciato di violentarla e dove ha ricevuto dei colpi alla testa, inferti con una spranga di ferro, le cui tracce sono presenti ancora oggi.
Il 9 giugno 2008, un primo gruppo di sette studenti è stato condannato ad un anno di prigione. Il giorno seguente i diciotto detenuti, tutti assieme, hanno iniziato uno sciopero della fame, durato quarantasei giorni, per protestare contro la sentenza del tribunale. Il processo del “gruppo degli 11” (di cui fa parte Zahra) si è svolto in un clima di tensione costante, tanto che, posticipato più volte, si è trascinato per più di un anno. Alla fine, il 9 luglio 2009, è stato pronunciato il verdetto della corte di primo grado: uno studente è stato condannato a quattro anni di prigione e gli altri dieci a due anni. I capi di accusa che gli sono imputati sembrano riferirsi più a dei criminali di professione, che a dei giovani manifestanti. Zahra è accusata di “possesso di arma bianca”, “costituzione di gruppo armato” e “insulti all’indirizzo dei magistrati”. Perché un tale accanimento contro una manciata di ragazzi? Forse per la loro appartenenza politica o per l’origine saharaoui di una parte del gruppo? “Colpire Annahj era tra i loro primi obiettivi – conferma Zahra – nel commissariato i poliziotti ci domandavano se eravamo dei marxisti. Se rispondevamo sì cominciavano a colpirci”.

Nascosta durante la visita del re
Da allora per questi ragazzi la vita ha il sapore amaro della prigione. Lasciata per molto tempo in una cella affollata (oltre 50 detenute), Zahra è arrivata da poco in un settore più tranquillo, dove divide il suo spazio con altre sette prigioniere (più i neonati). Tuttavia le è ancora impedito di camminare all’aria aperta (“non vedo il sole da tre settimane”), la doccia settimanale la fa con l’acqua fredda, e, soprattutto, le viene impedito di consultare un dottore specialista mentre le sue condizioni di salute peggiorano. La ragazza subisce ancora i postumi dei colpi ricevuti (forti dolori alla testa) e dello sciopero della fame (ipoglicemia e dolori addominali). Più volte ha chiesto di essere trasferita in ospedale a spese della sua famiglia, ma senza successo. Nonostante ciò Zahra non si lascia impietosire: “dovreste parlare piuttosto degli altri dieci ragazzi del mio gruppo. Sono sottoposti a condizioni atroci, vivono ammassati in cento nella stessa cella”.
I suoi fratelli e sorelle, molto uniti tra loro, la sostengono come possono. Moulouda si è trasferita a Marrakech per poterle far visita ogni settimana e per farle avere del cibo decente. Malgrado i tentativi di isolarla e i frequenti cambiamenti di cella (in occasione della visita del re, in settembre, è stata addirittura trasferita a Kelaat Sraghna), Zahra riesce sempre ad intendersi bene con le compagne di prigione. Si occupa dei loro figli, scrive per loro lettere e comunicati e gli offre consigli in materia giuridica. Ha anche tenuto dei corsi di alfabetizzazione. Quando ha un momento di calma si abbandona alla lettura: scrittori palestinesi, russi, tutto quello che i carcerieri non riescono ad intercettare. Libri e giornali, di solito, vengono trattenuti o sequestrati dalle guardie della prigione, così come le lettere che Amnesty le invia continuamente.
Quest’anno ha ottenuto il permesso di sostenere gli esami in prigione. Ma, dal momento dell’arresto, la studentessa modello ha iniziato a ricevere delle “strane” valutazioni. “Per prima cosa mi hanno rimproverato l’assenza alle sedute di esame – racconta con ironia – poi, dopo aver ripetuto le prove per due volte, mi hanno comunicato i risultati, all’inizio positivi, trasformati però una settimana più tardi in valutazioni insufficienti”. Zahra sembra comunque decisa a sfidare questa intimidazione e a riprendere i suoi studi alla Facoltà. “Se mi impediranno di arrivare al diploma non fa niente. E se sarò costretta di nuovo alla prigione ci ritornerò. La libertà del popolo vale questo prezzo!”.
Mercoledì 23 dicembre riprende il processo in appello del “gruppo Zahra Boudkour”. Gli avvocati sperano in una riduzione della pena, cosa che significherebbe la liberazione immediata per i dieci studenti. Cosa ne pensa Zahra? “La pena può diminuire come aumentare, ma a me non interessa. Ci sono cose ben peggiori della prigione”.

Zoé Deback

Aggiornamento.

(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 423, 26 dicembre 2009 - 8 gennaio 2010)

Zahra Boudkour. L’ingiustizia prosegue

Il processo della giovane militante e dei suoi nove compagni, tutti detenuti nella prigione di Boulmharez, previsto per il 23 dicembre davanti alla Corte d’appello di Marrakech, è stato rinviato al 10 febbraio. Zahra si è detta sorpresa all’annuncio del rinvio, “ma il suo morale resta ben saldo”, spiega la sorella Ghalia. Il 20 dicembre una carovana di solidarietà, allestita dal comitato di sostegno ai detenuti politici e dall’AMDH, è arrivata a Marrakech. Le autorità hanno vietato la manifestazione prevista all’esterno della prigione di Boulmharez, mentre sabato 19 si è tenuta una giornata di sostegno agli studenti di Cadi Ayyad nella sede locale del PSU (Partito Socialista Unificato). La pena di due anni di prigione, inflitta nel luglio scorso a Zahra e ad altri 9 dei suoi compagni, si estinguerà il 15 maggio 2010. Con il susseguirsi dei rinvii, tanto in prima istanza quanto in appello, gli studenti avranno già scontato la gran parte della pena prevista quando arriverà il pronunciamento finale della Corte d’appello. Mourad Chouini, uno tra i più vecchi (29 anni) del “gruppo Boudkour”, era stato condannato invece a quattro anni di carcere.

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