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martedì 15 dicembre 2009

Se la repressione diventa persecuzione

In Tunisia continuano le violazioni dei diritti umani. Il giornalista Taoufiq Ben Brik, condannato a sei mesi di carcere e trasferito dalla prigione di Tunisi in  gran segreto, è il caso più eclatante. Sui dissidenti tunisini nelle ultime settimane si sta abbattendo una vera e propria persecuzione.



Il giornalista e scrittore Taoufiq Ben Brik è stato condannato a sei mesi di reclusione lo scorso 26 novembre per aver tamponato e aggredito una donna in presenza di due testimoni. La sentenza lo ha riconosciuto colpevole di violenze, deterioramento dei beni altrui e oltraggio al pudore. Da quel momento Ben Brik ha avviato uno sciopero della fame per denunciare la trappola tesagli dagli agenti del regime. Le sue condizioni di salute però, aggravatesi a causa di una malattia che lo priva delle difese immunitarie (è afflitto dalla sindrome di Cushing), lo hanno costretto ad interrompere lo sciopero dopo dieci giorni. “In questa vicenda io sono la vittima e non l’accusato”, ha dichiarato Ben Brik in aula al momento del processo. Gli hanno fatto eco le Ong che si battono per la difesa dei diritti dell’uomo, che hanno denunciato l’atteggiamento “mafioso” di cui la polizia politica si serve ormai da anni per sbarazzarsi degli oppositori. Per Reporters sans frontieres il regime tunisino sta maturando la sua vendetta, dopo gli articoli pubblicati dal giornalista nei media francesi durante la recente campagna elettorale. Articoli che non avevano risparmiato critiche e attacchi alla dittatura di Ben Ali. “Questa condanna è l’ennesima prova della criminalizzazione di cui è vittima la dissidenza nel Paese”, ha affermato Azza Zarrad, moglie dello scrittore. Anche i pochi osservatori internazionali, giunti sul posto per assistere al processo, hanno contestato le condizioni inique in cui si è svolto il dibattito in aula, o almeno quello che doveva essere un dibattito, dato che gli avvocati del giornalista, durante tutta l’udienza, non hanno quasi mai beneficiato del diritto di parola.
In carcere dal 26 ottobre nella prigione Monarguia di Tunisi, lo scrittore è scomparso dopo il breve passaggio in tribunale nella seduta del 19 novembre. La famiglia ha perso le sue tracce e per undici giorni non ha saputo più niente. Solo il 1° dicembre uno degli avvocati e la moglie sono stati informati del trasferimento del dissidente nel penitenziario di Silana, a circa 150 chilometri dalla capitale. Il provvedimento è stato preso senza alcuna motivazione e senza un comunicato ufficiale da parte delle autorità. “Dopo aver condannato senza ragione Ben Brik, la giustizia tunisina gli ha imposto delle condizioni di allontanamento ingiustificate, con l’obiettivo di rendere ancor più critica la sua situazione, e di vanificare gli sforzi che la famiglia sta facendo per assisterlo”, ha dichiarato Jean-François Julliard, segretario generale di RSF. In una lettera inviata a Le Nouvel Observateur la signora Ben Brik racconta la visita fatta al marito il 2 dicembre. “La strada è lunga e tortuosa, per raggiungere il carcere ci sono volute 2 ore e mezza”. I familiari del giornalista, accompagnati dai legali, sono arrivati alla prigione intorno alle 13, ma hanno dovuto attendere fino alle 17 prima di essere ricevuti all’interno della struttura. L’incontro è durato appena pochi istanti, giusto il tempo di consegnare i medicinali, dopodiché le guardie hanno sequestrato e distrutto l’autorizzazione di visita che la signora Ben Brik aveva ottenuto, non senza fatica, dalle autorità tunisine. “Cinque ore di strada, quattro ore di attesa per pochi secondi di colloquio – continua la signora Zarrad – questo è il riassunto della mia visita al penitenziario di Silana, un luogo che ricorda le prigioni lugubri e sporche del XVIII secolo”. Il 7 dicembre la famiglia dell’oppositore, assieme agli avvocati e ad alcuni militanti per i diritti umani, ha organizzato un sit-in di fronte al carcere, per denunciare le condizioni disumane a cui è sottoposto Ben Brik e il progressivo deterioramento del suo stato di salute. Da due settimane nessuna visita è più stata concessa, nemmeno ai legali. Solo la sorella è riuscita a parlargli per pochi minuti: “Ben Ali vuole costringermi ad una lenta agonia”, le avrebbe confessato il dissidente durante il breve incontro.
Il trattamento riservato a Taoufiq Ben Brik non è un caso isolato. Le aggressioni e le intimidazioni all’indirizzo degli oppositori hanno subito un incremento notevole dal momento della quinta rielezione di Ben Ali, avvenuta il 25 ottobre scorso. Zouhair Makhlouf, blogger e militante per i diritti umani, dopo essere stato condannato a tre mesi di prigione il 1° dicembre, si è visto trasferire segretamente dalla prigione di Monarguia a quella di Messadine, nella regione di Susse, ad oltre 160 chilometri da Tunisi. I suoi avvocati sono rimasti per giorni senza più notizie. Sihem Bensedrine, giornalista al quotidiano Ettajdid, viene pedinata in ogni suo spostamento. La polizia in più di una occasione le ha impedito di raggiungere la sede del giornale dove lavora, trattenendola per ore con la scusa di accertamenti. Il pattugliamento delle abitazioni dei dissidenti, siano essi giornalisti, avvocati o militanti per i diritti dell’uomo, è diventata ormai una prassi corrente. Decine di agenti stazionano di fronte alle loro case per impedire agli oppositori di incontrarsi, di mantenere delle relazioni e di stabilire dei contatti con l’estero. Nulla deve trapelare di quanto sta accadendo in Tunisia. I collegamenti internet nelle loro abitazioni sono fuori servizio ed i telefoni sono tenuti costantemente sotto controllo. L’accanimento del Generale nei confronti delle voci critiche, che ancora continuano a sfidarlo dall’interno del Paese, sembra si stia trasformando in una vera e propria persecuzione.
La signora Ben Brik, nella lettera indirizzata a Le Nouvel Observateur, si domanda fino a quando l’Occidente democratico, sempre pronto a riempirsi la bocca di grandi discorsi a difesa dei diritti dell’uomo, continuerà ad applaudire Ben Ali e la sua gestione del potere. La comunità internazionale tace. Nessuna reazione di condanna e nessuna pressione è stata fatta fino a questo momento sul Palazzo di Cartagine per ottenere la liberazione del dissidente. L’Europa sembra disposta a coprire ancora una volta le gravi violazioni dei diritti umani che vengono commesse a poche centinaia di chilometri, dall’altra parte del Mediterraneo. Secondo Jean-François Julliard sarebbe tempo, almeno per l’Eliseo, di dimostrare una sincera solidarietà al giornalista tunisino, che da anni collabora con i media francesi. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che fu proprio Sarkozy, all’indomani della farsa del 25 ottobre, il primo a felicitarsi con il presidente Ben Ali per la sua quinta rielezione, definendola una grande vittoria democratica.

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