(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 421, 12-18 dicembre 2009)
Se non hai il minimo pudore puoi dire tutto, puoi fare di tutto. Se non devi rendere conto a nessuno, anche in questo caso, puoi dire tutto e puoi fare di tutto. Se godi di una totale impunità, ancora una volta, puoi permetterti tutto. Questo accade anche nel “più bel paese del mondo”, dove dei semplici responsabili amministrativi si comportano come dei despoti, come dei veri reucci. Prendiamo l’esempio più recente, quello del rimprovero sferzante che Hafid Benhachem, delegato generale dell’Amministrazione penitenziaria, ha rivolto all’indirizzo della presidente dell’AMDH Khadija Ryadi e del vice-presidente Abdelilah Benabdesslam.
Prima di entrare nei minimi particolari di questa nuova “prodezza benhachemiana”, gettiamo un breve sguardo sul passato, o più esattamente sul conto fin troppo pesante, di questo “alto funzionario” dello Stato. Nato nel 1936 a Boufakran, entra nel corpo di polizia come semplice agente. In seguito ricopre numerosi incarichi all’interno della Direzione generale della sicurezza nazionale (DGSN). Nel 1971 è nominato capo di circoscrizione all’Amministrazione centrale del Ministero dell’Interno. In seguito ricopre incarichi differenti, tra cui quello di governatore all’Amministrazione territoriale, dal gennaio 1975 al maggio 1997, quando viene infine nominato direttore generale della DGSN, incarico che ha conservato fino al 25 luglio 2003. Questo richiamo alla memoria è necessario poiché prova in maniera irrefutabile che questo signore ha ricoperto, durante tutti gli anni di piombo, un incarico tale da permettergli di essere al corrente di quanto stava segnando quei terribili anni neri: torture, sequestri, sparizioni e morti sospette. Un incarico tale da permettergli di conoscere, nei minimi dettagli, gli orrori subiti da migliaia di Marocchine e Marocchini. Dal 1971 al 2003, fate voi il conto, sono più di trent’anni.
Ben inteso, può sempre sostenere di non essere mai stato un torturatore. Forse. Ma fu ugualmente complice, per il suo silenzio. Sapeva ed ha taciuto. Un torturatore dal colletto bianco, come ne esistono tanti al giorno d’oggi. Dopo l’ascesa al trono, Mohammed VI lo ha destituito dal suo incarico. Il signor Benhachem ha avuto paura per il suo avvenire, dal momento che era stato uno dei più stretti, fedeli e obbedienti collaboratori di Driss Basri, di fatto il suo mentore, senza il quale non avrebbe mai avuto una carriera così folgorante. Bisogna ricordare che il cammino per raggiungere tali vertici all’interno del Makhzen è sempre cosparso di sofferenze, grida, torture e scioperi della fame che spesso terminano con la morte (Saida Mnebhi e i suoi amici). Anche l’IER è d’accordo su questo punto. Ebbene, questo signore, dal conto così pesante, ha ricevuto l’incarico di dirigere le prigioni marocchine! Bisogna altresì riconoscere che quanto ad esperienza acquisita, non si poteva trovare un miglior capo-carceriere. Il signor Benhachem è un uomo coraggioso, franco, che si assume pienamente la responsabilità dei suoi atti e dei suoi trascorsi. Prova ne è quanto dichiarato ai rappresentanti dell’Associazione marocchina per i diritti umani: “Sono fiero del mio passato nei servizi di sicurezza”, testimonianza, a suo avviso, del patriottismo che lo ha sempre contraddistinto. Come segnalato all’inizio di questo articolo, Benhachem ha prestato servizio per tutta la durata degli anni di piombo, vale a dire per più di trent’anni.
Nel “più bel paese del mondo”, essere un torturatore, costituisce dunque l’apice del patriottismo! Dare la caccia agli uomini e alle donne che lottano per i loro diritti, per la democrazia, per l’uguaglianza, per la fine della tortura, per denunciare le sparizioni e i rapimenti, chiudere gli occhi di fronte ai centri di tortura di Derb Moulay Cherif, Agadez, Tazmamart, significa dare prova di patriottismo.
Quale indecenza! Un patriottismo che ha fatto del Marocco lo zimbello del mondo intero, che gli è valso la condanna da parte di tutte le associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani, che ne ha fatto un paria tra le nazioni. Il signor Benhachem dovrebbe rispondere del suo silenzio criminale davanti alla giustizia, se solo fossimo in un paese democratico, se solo non beneficiasse dell’impunità riservata da queste parti ai torturatori. Ma il signor Behachem è andato oltre, non ha solamente messo alla berlina le associazioni per i diritti dell’uomo, ha anche attaccato la stampa, accusandola di falsità. Ciliegina sulla torta: secondo questo decoroso responsabile dal passato “così prestigioso”, le prigioni marocchine sarebbero le migliori dell’intero mondo arabo, di tutta l’Africa e perfino migliori di quelle francesi. Per completare il quadro, il signor Benhachem non ha esitato a scagliarsi contro la presidente dell’AMDH e il suo aggiunto affermando: “se i miei modi non vi stanno bene, non dovete fare altro che lasciare il Marocco e installarvi altrove!”.
Come se questo paese gli fosse stato trasmesso per via testamentaria. Detto tra noi, se la maggioranza dei Marocchini avesse avuto dove andare, questo paese si sarebbe spopolato già molto tempo fa. Quanta sufficienza! Quanta boria! Quale disprezzo per la giustizia! Se li avessi fatti io questi discorsi, mi avrebbero preso per un pazzo in preda al delirio. Detto questo, non c’è più niente di cui stupirsi. Qualche giorno dopo la sua nomina al Ministero dell’Interno, Ahmed Midaoui si è indirizzato in questi termini al direttore de Le Journal Hebdomadaire: “skout ou alla n’khili dar bouk” (“Taci o te la chiuderò io quella bocca”). Sempre negli ultimi giorni, Taoufiq Bouachrine, direttore del defunto Akhbar El Youm, ha avuto diritto allo stesso trattamento da parte di un alto funzionario della DST e vi risparmio gli insulti che ricevono quasi quotidianamente i laureati-disoccupati. La stessa cosa era successa alla popolazione di Sidi Ifni durante il sabato nero e agli studenti di Cadi Ayyad, torturati nel commissariato di Jamaa El Fna. E’ questo il discorso patriottico dei sostenitori del nuovo regno. E’ questo il linguaggio utilizzato per esprimere il nuovo concetto di autorità.
Nel frattempo, facciamo notare al signor Benhachem che, stando ai rapporti annuali prodotti dalle organizzazioni per i diritti umani e in seguito alle denunce provenienti dai prigionieri o dalle loro famiglie e/o dalle visite effettuate nei luoghi di detenzione, la situazione nelle prigioni non sembra affatto migliorata: sovrappopolamento, trattamenti umilianti inflitti ai prigionieri, violenze e torture, malnutrizione, insufficienza delle cure mediche, corruzione, accanimento sessuale, ostacolo alle visite, trasferimenti abusivi, promiscuità, suicidi, ingresso illegale di sostanze stupefacenti, e la lista dei mali è ancora lunga.
L’Osservatorio marocchino delle prigioni (OMP), dal canto suo, riceve annualmente quasi 3500 reclami inviati da prigionieri allo stremo. Dei veri e propri SOS, per allertare sia l’associazione sia l’opinione pubblica. Nel suo rapporto relativo all’anno 2008, l’OMP segnala che le denunce più frequenti sono quelle relative alle torture e ai trattamenti degradanti (39%), seguite da quelle relative all’assenza di cure mediche (30%) e ai trasferimenti abusivi che non tengono conto degli interessi dei prigionieri e delle loro famiglie (18%). Le altre segnalazioni riguardano l’insufficienza dell’alimentazione, il rifiuto da parte dell’amministrazione di lasciar proseguire ai prigionieri i loro studi, e le pessime condizioni in cui si svolgono le visite. Per concludere, riportiamo qui di seguito il discorso fatto dal signor Benhachem a Christine Serfaty, presentatasi al cospetto di questo alto responsabile per avere informazioni sulle condizioni di Zahra Boudkour: “Sapete signora, io sono il servitore dei re alawiti”. Christine Serfaty aveva avuto l’imprudenza di far notare al signor Benhachem gli anni passati al fianco di Driss Basri. I re alawiti dovrebbero sbarazzarsi il più velocemente possibile di questo tipo di servitori…
Khalid Jamai, CHRONIQUE
Nessun commento:
Posta un commento