Arrêt sur image

giovedì 31 dicembre 2009

Sit-in a Oukacha in sostegno alla protesta dei detenuti islamici

CASABLANCA (30 dicembre 2009). Nuvole grigie, cariche di pioggia si addensano nel cielo sopra il carcere di Oukacha, a Casablanca. Si è concluso da poco il sit-in organizzato dall’associazione Ennassir in solidarietà con i detenuti islamici in sciopero della fame all’interno della prigione. In ventinove stanno portando avanti la protesta da 37 giorni, per opporsi ai trattamenti subiti all’interno del carcere e al progressivo peggioramento delle loro condizioni di detenzione. Tra loro c’è Kassim Britel, cittadino italiano vittima, tra le altre illegalità, delle extraordinary renditions operate dalla CIA. Il suo stato di salute si sta deteriorando inesorabilmente: dall’inizio della protesta ha già perso 5 chili, è debole e la stanchezza gli impedisce di lasciare la cella. Altri otto membri del gruppo, già provati dai patimenti subiti durante la lunga prigionia, versano in condizioni critiche.



Da cinque anni l’associazione Ennassir si occupa del sostegno ai detenuti islamici (all’incirca mille attualmente, secondo le stime dell’associazione) e dell’assistenza alle loro famiglie. Denuncia gli abusi e le violazioni subite e cerca di far chiarezza sul “dossier salafita”, divenuto un vero tabù all’interno del paese in seguito agli attentati del 16 maggio 2003. Inoltre, in collaborazione con l’AMDH, sta portando avanti un lavoro di mediazione con le autorità, nel tentativo di ottenere un miglioramento delle condizioni di detenzione e nella speranza di arrivare alla liberazione dei detenuti. Finora tuttavia, l’intransigenza dei responsabili marocchini ha impedito qualsiasi progresso nelle trattative. “La maggior parte di queste persone, finite in carcere nel corso della repressione seguita agli attentati, è palesemente innocente. Sono vittime di arresti illegali e di processi sommari”, ricorda Abderrahim Mouhtad, il presidente dell’associazione.
Mouhtad sta ripiegando gli striscioni esposti durante la manifestazione. Ammucchiati dietro la sella del suo motorino ci sono i fogli con le fotografie dei detenuti. Per terra un’altra pila di carte su cui è impresso il comunicato di Ennassir e le rivendicazioni dello sciopero. Celle sovraffollate, impossibilità di portare avanti gli studi, tanto professionali quanto universitari, perquisizioni umilianti, sotto le continue provocazioni dei secondini e del direttore del carcere. I detenuti non hanno intenzione di mollare: lo sciopero non cesserà fino a quando le loro richieste non verranno accolte. “C’è stata una grande partecipazione da parte delle famiglie e dei membri dell’associazione, che sta facendo il possibile per comunicare al paese quanto sta succedendo qui a Oukacha. Ma i nostri mezzi restano limitati”, continua Mouthad. Il parcheggio di fronte all’ingresso della prigione è ancora pieno di gente, in gran parte donne. Le stesse che fino a pochi minuti fa intonavano slogan e youyou. Le mogli e le madri che da anni lottano affinché sia resa giustizia ai loro cari. Parcheggiate sul bordo della strada, una lunga fila di camionette bianche, con ai lati la scritta Securité Nationale. I poliziotti sorvegliano la zona. Hanno assistito alla manifestazione, senza intervenire. Il sit-in si è svolto senza problemi, dalle undici a mezzogiorno come previsto. “Non ci sono state reazioni violente da parte delle forze dell’ordine, almeno questa volta. La situazione è ben diversa quando portiamo le nostre dimostrazioni a Rabat, di fronte alla sede della Delegazione delle carceri. Lì i poliziotti ci sgomberano in pochi minuti, con la forza se necessario”, dichiara il presidente Mouthad.
Oltre al sit-in organizzato da Ennassir, altre iniziative sono in programma per sostenere l’azione dei detenuti di Oukacha. Oggi, i detenuti islamici di tutte le prigioni del regno stanno osservando uno sciopero della fame di ventiquattro ore, in solidarietà con la protesta portata avanti dai “fratelli” a Casablanca. Ma, nonostante i numerosi appelli diffusi da Ennassir e dall’AMDH, nonostante le iniziative pubbliche promosse, e nonostante la gravità delle condizioni dei detenuti in sciopero, l’opinione pubblica non sembra mostrare alcuna reazione. All’indifferenza delle autorità, della Delegazione generale delle carceri, del Primo ministro (che dal 2007 ha il controllo della Delegazione) e del Ministero della Giustizia, si somma così il silenzio della società marocchina. Neanche la stampa nazionale, fino a questo momento, ha mai dato risalto alla vicenda.

Nessun commento: