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sabato 5 dicembre 2009

L'esercito della salvezza

Secondo appuntamento con la rubrica Leggere il Mediterraneo.

Abdellah Taia, L’esercito della salvezza, ISBN Edizioni, 2009.

L’esercito della salvezza, più che un romanzo, è un viaggio di formazione in cui Taia si racconta senza pudori e censure, con uno stile semplice, diretto ed incisivo. L’infanzia dello scrittore marocchino è segnata dalla promiscuità vissuta all’interno delle mura domestiche. Nella piccola casa di Hay Salam, un quartiere popolare alla periferia di Salé, ci sono solo tre stanze: una per il padre, una per il fratello maggiore e una in cui lo stesso Abdellah dorme con la madre, il fratello più piccolo e le sei sorelle. Nulla sfugge dell’intimità familiare, né la vita amorosa dei genitori né i loro litigi, che spesso sfociano nella violenza.




Appena adolescente trascorre una settimana di vacanza a Tangeri assieme al fratello maggiore, verso cui prova un amore morboso, a tratti ossessivo. Nella città di Bowles e Choukri, lo scrittore vive il suo primo rapporto omosessuale all’interno di un vecchio cinema della medina. A venticinque anni Abdellah si ritrova a Ginevra per proseguire gli studi universitari. Immerso nel freddo della città svizzera, solo e affamato, cerca rifugio all’esercito della salvezza. Il ricordo di un Marocco ormai lontano e quello di Jean si fondono nella sua mente. Le passeggiate per le vie di Rabat, i viaggi a Marrakech e poi a Tangeri, ogni momento trascorso assieme al suo amante gli torna alla memoria, come le pagine di un vecchio diario rimasto nascosto troppo a lungo.
Abdellah Taia vive a Parigi dal 2001. Le sue opere (oltre a L’esercito della salvezza sono in corso di traduzione per Isbn Mon Maroc, Le rouge du tarbouche e Une melanconie arabe) descrivono in maniera lucida e consapevole il conflitto interiore di un uomo che sente di appartenere a più culture. Il giovane scrittore, pur abbracciando la modernità, non rinnega quel mondo di miseria e affetto che l’ha visto crescere. Al contrario lo guarda con amore. La grande passione per la letteratura e il cinema lo ha spinto a lasciare Salé e la sua famiglia. Raggiunta l’Europa, tuttavia, è spaventato dall’indifferenza e dall’egoismo che sta impoverendo la società occidentale. Così non riesce a separarsi del tutto dalla sua terra, dai suoi santi, dai suoi marabut e dal profondo sentimento che lo lega alla figura materna. “Avrei dovuto perdermi completamente per meglio ritrovarmi”, confessa lo scrittore nelle ultime pagine del libro. Con un linguaggio asciutto e delicato Taia svela le contraddizioni e i dubbi che lo guidano alla ricerca di un possibile equilibrio tra la cultura occidentale e quella marocchina. Taia è moderno, razionale, ma allo stesso tempo rispettoso di una tradizione che racconta preservandone il mistero.

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