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mercoledì 31 marzo 2010

Anfgou un anno e mezzo dopo la visita del re

Ancora un reportage dal “Marocco profondo”. Nel gennaio del 2007 trentatre bambini sono morti di freddo ad Anfgou, un villaggio confinato sulle vette del Medio Atlante. Tutto il Paese è toccato dalla tragedia e, per qualche settimana, sulla minuscola cittadina si accendono i riflettori dei media. Perfino il sovrano si reca sul posto, dove inaugura la costruzione di nuove infrastrutture, assicurando il suo impegno per promuovere lo sviluppo della zona. Ma, superato il dramma e la commozione iniziale, tanto le autorità quanto l’opinione pubblica hanno rapidamente voltato pagina. Il villaggio è così ricaduto nel più completo isolamento e gli abitanti hanno ripreso il ritmo aspro della quotidianità, senza che nulla sia realmente cambiato. Omar Brouksy, ex-giornalista del Journal Hebdomadaire, è tornato ad Anfgou qualche settimana prima dell’inizio dell’inverno (fine settembre 2009). Un anno e mezzo dopo il passaggio del re e le promesse cadute nel vuoto.



(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 411, 3-9 ottobre 2009)

Nell’aprile 2008 Mohammed VI rende visita al villaggio di Anfgou, dove trentatre bambini sono morti durante l’inverno a causa del freddo e della neve. Al suo arrivo il re inaugura un ambulatorio, una strada e…una moschea. Per l’occasione viene installata l’elettricità. Ma un anno e mezzo dopo, delle promesse del monarca restano soltanto le tracce. Lavori interrotti e cantieri abbandonati. All’euforia reale si è sostituita la dura realtà quotidiana e il villaggio è stato velocemente dimenticato.

Lo sguardo perso, quasi inebetito. Lahcen, padre di famiglia, ha più o meno trent’anni e non parla una parola d’arabo. E’ un berbero, nato e vissuto ad Anfgou. Seduto di fronte al ruscello che scorre a qualche metro da casa sua, pensa alla dura prova che, tra un mese al massimo, lo aspetterà. La neve coprirà le montagne che circondano il paese a perdita d’occhio. “Quando arriverà il freddo, i bambini non riusciranno a resistere. Cadranno ancora una volta a decine, come l’anno passato, come ogni inverno”, sospira fissando le cime ancora verdeggianti. Il dramma tormenta ancora Anfgou, un villaggio conficcato nel cuore del Medio Atlante, difficile da scovare perfino sulle carte geografiche. Un villaggio tagliato fuori dal resto del paese: non ci sono scuole, niente ospedali, nessuna strada degna di questo nome, insomma dello Stato non c’è alcuna traccia. Anfgou, non essendo considerato un comune, non dispone di un budget proprio. “C’è un proverbio che dice: se vuoi del male a qualcuno, indicagli la via che porta ad Anfgou”, sentenzia Lahcen.

Un sapore di incompiuto
Poco lontano, tra i terreni coltivati ad orzo sulla sponda di un fiume, una ragazza raduna quello che resta della mietitura. Dovrebbe avere sedici o diciassette anni, ma ne dimostra una trentina. Scheletrica, il viso già solcato dalle rughe, gli occhi stanchi e spenti, è seguita da tre ragazzini. I suoi figli. Lavora da mattina a sera e mangia poco. All’età di vent’anni, avrà già cinque o sei bambini. Ad Anfgou non esistono strategie contraccettive, poiché lo Stato, che dovrebbe promuoverle, è semplicemente assente. E le ong? Le associazioni femministe? Le fondazioni reali, principesche e quant’altro? No, Anfgou e i villaggi vicini non rappresentano una priorità per questi attori. Non destano interesse. Da queste parti le ragazze si sposano presto e spesso lo fanno con consanguinei. Finita l’infanzia diventano subito madri, con diversi figli a carico. Ad Anfgou, in breve, non esiste l’adolescenza…
Nel gennaio 2007 trentatre bambini sono morti a causa del freddo. Le immagini di una popolazione abbandonata, indifesa di fronte ai capricci della natura, hanno scioccato i marocchini. L’opinione pubblica si è commossa per la triste sorte riservata al villaggio, le cui case, in argilla, sono crollate una dopo l’altra. In quei momenti, come già successo in occasione del terremoto ad Al Hoceima (marzo 2004), lo Stato è rimasto a guardare. Le voci di una imminente visita reale ad Anfgou circolavano già dal dicembre 2007, prima della tragedia. Ma il sovrano ha atteso fino all’aprile 2008, prima di rendersi sul posto. Nonostante il dramma, l’arrivo del re è accolto in maniera calorosa dagli abitanti. Da un giorno all’altro, su questo paesello sconosciuto e dimenticato si sono accese le luci dei riflettori. La strada che da Tounfit porta ad Anfgou (circa sessanta chilometri) è pressoché impraticabile. Vestigia del periodo coloniale. Ma il monarca ha voluto ugualmente percorrerla in auto e una volta ad Anfgou ha piazzato la sua tenda. L’intero parterre politico (quasi tutti i membri del governo e perfino il Primo ministro El Fassi) e militare (Ben Slimane, capo della gendarmerie, ha trascorso la notte in una casetta d’argilla) ha accompagnato Mohemmed VI, che durante la sua permanenza ha inaugurato una moschea, un ambulatorio e una nuova strada per far uscire dall’isolamento il villaggio berbero. Assieme al re in paese è arrivata anche l’elettricità, ma il suo costo è troppo elevato per gli abitanti. Risultato: candele, ampolle a petrolio e lampadine elettriche si alternano a seconda delle risorse del momento.
Un anno e mezzo dopo la visita reale, tuttavia, la vita quotidiana degli abitanti (oltre tremila) non ha subito cambiamenti. “Certo, arrivando fin qui sua maestà ci ha restituito la nostra dignità. Ci sembra di contare almeno qualcosa, ma…..”. Un sapore di incompiuto sembra velare le parole della gente. Tutte le speranze suscitate dall’attenzione del sovrano si sono a poco a poco dissolte. Per quanto riguarda la moschea, inaugurata dal re durante il suo primo giorno ad Anfgou, l’area edificabile su cui doveva essere costruita è in stato d’abbandono. La strada invece, che doveva collegare il paese a Taounfite (la città più vicina), non è ancora pronta. Secondo gli ingegneri responsabili dei lavori, il cantiere non chiuderà prima del 2010, a causa delle asperità del terreno. Allo stato attuale, però, sembra difficile che il tragitto possa entrare in funzione nei tempi previsti. Per di più la nuova strada sarà costruita in una pendice diversa rispetto alla vecchia, già esistente. Curiosamente passerà a fianco alla foresta di cedri. Le malelingue affermano che è stata concepita per agevolare i commercianti di legname e non la popolazione di Anfgou.

Interessi economici
Al di là di questi giudizi, le foreste di cedro che si estendono a perdita d’occhio sulle montagne circostanti rappresentano una ricchezza considerevole per la regione. Un “gallina dalle uova d’oro”, secondo Abdessalam Ouhajjou, studente universitario originario della zona. In effetti si tratta di una risorsa molto ambita dalle autorità. Ogni anno il ritorno economico dei cedri di Anfgou è stimato attorno ai 10 milioni di dirham (un milione di euro). Ma gli abitanti non ne beneficiano in nessun modo. Con questi soldi non è mai stata realizzata alcuna infrastruttura, la popolazione sopravvive in condizioni disumane. “Non solo non riusciamo a sfruttare le nostre risorse, ma in più le guardie forestali ci rendono la vita impossibile e ci tempestano di processi spesso ingiusti”, insorge un abitante del posto.
La ricchezza del legname risponde unicamente agli interessi delle autorità locali, le sole a trarne profitto dal momento dell’indipendenza fino ad oggi. Durante la visita reale, quattro abitanti del villaggio sono stati ricevuti dalla consigliera di Mohammed VI Zoulikha Nasri, che si è rivolta loro in questi termini: “la strada, l’ambulatorio e l’elettricità sono i dossier approvati da sua maestà. Avete altre richieste?”. Con grande sorpresa Zoulikha Nasri si è vista rispondere da uno dei suoi interlocutori: “vorremmo creare delle cooperative, per gestire i proventi delle nostre foreste”. Era stato fissato un incontro a Rabat, nell’ufficio della signora Nasri. Ma, quando i quattro sono arrivati nella capitale, ad attenderli c’era solo un funzionario, che li ha informati dell’assenza improvvisa della consigliera, “in missione a Palazzo”. Si sarebbe incaricato lui di trasmetterle la richiesta. Inutile dire che da quel giorno non si è saputo più niente…
L’ambulatorio inaugurato dal re è ancora in costruzione. Di tanto in tanto un infermiere e una levatrice si danno il cambio. All’interno non c’è alcun medicinale e, di certo, nemmeno un dottore. Tutto questo mentre la mortalità infantile e i casi d’urgenza continuano ad assediare la popolazione. Per raggiungere il villaggio più vicino, Tounfite, si ha una sola scelta: avviarsi lungo la vecchia strada dissestata. Tre ore di marcia a bordo di furgoni malridotti per coprire una distanza di circa cinquanta chilometri.
In questi giorni, a poche settimane dall’arrivo della neve e del grande freddo, la gente di Anfgou rimugina amarezza e sconforto. E’ convinta che se le promesse reali non sono state mantenute, la responsabilità va imputata alle autorità locali, incaricate della direzione dei dossier. Nel caso specifico, il comune di Amenzi, a cui spetta la gestione amministrativa di Anfgou, e la provincia di Khenifra, indifferenti ai bisogni del piccolo villaggio berbero. Contatto dal Journal Hebdomadaire, il direttore di gabinetto del governatore di Khenifra, costantemente “in riunione”, sembra non avere tempo per le spiegazioni.

Uno stato di permanente sopravvivenza
Anfgou è un villaggio particolare. I suoi tremila abitanti non vivono più come una tribù, ma come una famiglia. Ogni straniero che mette piede in paese è accolto spontaneamente, ospite dell’intera popolazione, costretta pertanto ad uno stato di permanente sopravvivenza. Passata l’euforia per la visita di Mohammed VI, la gente si ritrova a far fronte alla dura realtà quotidiana: la mancanza di infrastrutture e di un’assistenza di base che possa permettere un vero sviluppo della zona.
Sono le cinque del pomeriggio. Un vento gelido, proveniente dalle vette che si stagliano a nord, spazza i vicoli sterrati di Anfgou. I paesani si guardano tra loro e, per un attimo, le conversazioni cadono sotto un silenzio di marmo. Queste lunghe giornate d’autunno non sono che una tregua, l’ultima prima della neve che invaderà il villaggio tra qualche settimana. Una ragazzetta rinsecchita esce di casa seguita dai tre figli: “è arrivato il momento di raccogliere la legna….”.
Omar Brouksy

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