RABAT – Non è solo la protesta dei giovani nata su Facebook il prodotto visibile della “rivoluzione internet” in Marocco. Oltre al Movimento 20 febbraio, la “primavera marocchina” sbocciata in rete (e tradottasi in manifestazioni di massa), sembra essersi fatta portatrice di un altro interessante fenomeno: il ritorno dell’informazione indipendente on-line! Un’esigenza, quella della libertà di espressione, legata in maniera indissolubile all’affermazione della democrazia ed alla difesa dei diritti (tra le rivendicazioni principali del movimento di protesta). Un’esigenza sempre più impellente in un paese dove negli ultimi due anni la stampa indipendente è stata imbavagliata a colpi di sentenze e di boicottaggi pubblicitari. Ecco allora che dopo Ali Anouzla (Lakome.com versione arabofona) e Aboubakr Jamai (Lakome.com versione francofona), anche Ali Lmrabet (già direttore dei settimanali Demain e Doumane) ha lanciato nei giorni scorsi il suo giornale elettronico, Demain on-line, sfidando la condanna emessa nel 2005 dal tribunale di Rabat (divieto di esercitare la professione giornalistica per dieci anni).
Ali Lmrabet disegnato da Khalid Gueddar |
Ali Lmrabet, nato a Tetouan ma originario delle alture del Rif, si è presentato al pubblico come il primo reporter marocchino ad aver documentato la traversata dello stretto di Gibilterra in “patera”, le imbarcazioni di fortuna utilizzate dai migranti per raggiungere le coste spagnole (nel 2000). Ali fa le sue prime esperienze giornalistiche negli anni novanta, per poi divenire caporedattore a Le Journal nel 1998. Nel marzo del 2000 crea il settimanale satirico (in lingua francese) Demain, costretto alla chiusura dal regime pochi mesi più tardi (assieme ad altre due pubblicazioni indipendenti, Le Journal e Assahifa). Demain torna in edicola nel 2001 e, in seguito allo straordinario successo di vendite, viene affiancato dalla versione in arabo dialettale Doumane, anch’essa diretta da Lmrabet. Entrambi i settimanali incappano di nuovo nella censura di Palazzo e nel 2003 si vedono mettere i sigilli per “oltraggio alla persona del re”, “attacco al regime monarchico e all’integrità territoriale”, a causa di alcune caricature che infrangono le “linee rosse” imposte dal regime. Alla fine del processo Ali Lmrabet è condannato a tre anni di reclusione e al pagamento di 20 mila dirhams (circa 2 mila euro) di multa. Dopo otto mesi trascorsi in durissime condizioni di detenzione e uno sciopero della fame durato quarantasette giorni, viene graziato da Mohammed VI (messo sotto pressione dall’opinione pubblica internazionale). Il sovrano, tuttavia, rifiuta di accordargli il permesso di pubblicare un nuovo giornale.
“La missione di un giornalista non è quella di intrattenere buone relazioni con il potere costituito, incarico svolto dagli intermediari di governo, ma di scovare la notizia, verificare l’informazione e proporla ai lettori. L’altro compito inderogabile è quello di prendere posizione sui grandi temi di interesse nazionale”, ricorda a (r)umori dal Mediterraneo Ali Lmrabet, che nel 2005 viene condannato ancora una volta dalla giustizia marocchina. Il verdetto: “divieto di esercitare la professione di giornalista nel territorio nazionale per dieci anni” e una multa di 50 mila dirham, per aver dichiarato al giornale arabofono Al Mustakil, di ritorno da Tindouf, che “i saharawi ammassati nei campi profughi del Polisario non sono sequestrati, come vorrebbe la propaganda ufficiale marocchina, ma rifugiati, come invece affermano le risoluzioni dell’ONU”.
“La missione di un giornalista non è quella di intrattenere buone relazioni con il potere costituito, incarico svolto dagli intermediari di governo, ma di scovare la notizia, verificare l’informazione e proporla ai lettori. L’altro compito inderogabile è quello di prendere posizione sui grandi temi di interesse nazionale”, ricorda a (r)umori dal Mediterraneo Ali Lmrabet, che nel 2005 viene condannato ancora una volta dalla giustizia marocchina. Il verdetto: “divieto di esercitare la professione di giornalista nel territorio nazionale per dieci anni” e una multa di 50 mila dirham, per aver dichiarato al giornale arabofono Al Mustakil, di ritorno da Tindouf, che “i saharawi ammassati nei campi profughi del Polisario non sono sequestrati, come vorrebbe la propaganda ufficiale marocchina, ma rifugiati, come invece affermano le risoluzioni dell’ONU”.
Dal 2006 al 2009 Ali Lmrabet ha collaborato con il quotidiano spagnolo El Mundo. Malgrado le condanne, le pressioni e le intimidazioni a cui è stato sottoposto, non ha mai rinunciato alla sua vocazione (per inciso, “informare, far conoscere, diffondere”). Interrogato sull’attuale condizione della libertà di espressione in Marocco, il giornalista risponde: “negli ultimi anni non si è fatto che parlare di progressi e avanzamenti. In tutta sincerità, credo che gli unici progressi in materia risalgano alla fine del regno di Hassan II, quando il vecchio dittatore decise di allentare il guinzaglio con cui per decenni aveva assoggettato il suo popolo. Mohammed VI aveva ereditato quel clima di apertura, ma in poco tempo ha chiuso bene tutte le porte per non compromettere la sua stabilità. A farne le spese è stata soprattutto la libertà di espressione. E’ sufficiente ricordare che il Marocco, solo qualche anno fa, era uno dei paesi con il maggior numero di giornalisti in prigione”.
“Nessun potere dura in eterno ed io sono un uomo paziente”, scherzava solo qualche mese fa Ali, prima che il vento della rivoluzione tunisina iniziasse a soffiare sui regimi arabo-islamici e accendesse le speranze di popoli troppo a lungo sottomessi. Quel vento ormai ha varcato definitivamente le frontiere del regno alawita, facendosi beffe della presunta “eccezione marocchina” propagandata in lungo e in largo dai media nazionali su espresso ordine di Palazzo. La base tradizionale su cui poggia il trono di Mohammed VI non ha risparmiato la sua autocrazia dalle proteste del “20 febbraio” e delle ampie fasce di popolazione che lo sostengono. Il sistema di potere è ancora là, certo, ma lo stato confusionale in cui versa attualmente sembra consentire a giornalisti coraggiosi e indipendenti come Ali Lmrabet di riprendersi almeno quel diritto di parola che gli era stato tolto ingiustamente.
Di seguito il primo editoriale scritto da Ali Lmrabet per Demain on-line (29 marzo 2011) tradotto in italiano.
Il ritorno di Demain
Ecco fatto! Dopo una lunga assenza dovuta ad un imprevisto “forzoso” Demain è tornato! Otto anni dopo essere stato costretto alla chiusura da una decisione definita «di giustizia» (in realtà un vero e proprio atto di ingiustizia per imbavagliare la stampa indipendente), il settimanale Demain rinasce dalle sue ceneri sotto forma di giornale elettronico. E questo a dispetto del divieto, dal sapore medievale e assurdo, dell’esercizio della professione giornalistica (per dieci anni) che ha colpito il suo direttore.
Demain riprende quindi il suo posto nel paesaggio mediatico nazionale nel momento in cui i giovani marocchini, come tutti i giovani arabi, si sollevano ed esigono la fine di un regime assoluto, la fine della corruzione endemica e il passaggio ad una vera democrazia. Demain ritorna senza fanfare né tamburi, ma con la ferma volontà di accompagnare la “transizione democratica” (nel caso in cui venisse avviata) e di denunciare la mascherata reale, nel caso in cui la monarchia cercasse di creare diversione con una revisione cosmetica della costituzione. Conoscete il detto forgiato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Demain riprende quindi il suo posto nel paesaggio mediatico nazionale nel momento in cui i giovani marocchini, come tutti i giovani arabi, si sollevano ed esigono la fine di un regime assoluto, la fine della corruzione endemica e il passaggio ad una vera democrazia. Demain ritorna senza fanfare né tamburi, ma con la ferma volontà di accompagnare la “transizione democratica” (nel caso in cui venisse avviata) e di denunciare la mascherata reale, nel caso in cui la monarchia cercasse di creare diversione con una revisione cosmetica della costituzione. Conoscete il detto forgiato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Il nuovo Demain è un giornale on-line, indipendente e generalista. La satira, elemento indispensabile della nostra identità, sarà uno dei punti di forza della nuova avventura. Assieme ad un piccolo gruppo di giornalisti, abbiamo deciso di fare di questa pubblicazione una bandiera della democrazia in Marocco, di diventare i portavoce di chi non ha voce, di trasformarci nella vedetta che scruta l’orizzonte, pronta a dare l’allarme per denunciare le violazioni dei diritti umani in un paese dove ancora assistiamo al sequestro dei cittadini, alle detenzioni arbitrarie ed extragiudiziarie, al confino in luoghi segreti e all’utilizzo della tortura sui prigionieri. Ma Demain on-line non è un giornale creato per combattere. Se prende posizione in modo chiaro contro gli abusi del makhzen (leggi regime, ndr), contro i suoi servizi di sicurezza tentacolari, contro i gruppi finanziari che gli sono vicini (il cosiddetto “makhzen economico”, composto da una banda di approfittatori il cui solo merito è di essere fedeli servitori del re), lo fa per rispondere alla sua unica vocazione, informare! Informare su tutto, in assoluta libertà, senza censura né autocensura.
Sia chiaro, in questo giornale non abbiamo dei modelli professionali di riferimento. La stampa americana, un tempo da esempio per tutti noi, si è persa nei meandri della guerra in Iraq, mentre la stampa francese, più vicina per un fattore linguistico, ha esaurito ormai ogni credibilità a causa delle esitazioni dei suoi “inviati speciali”, smarriti nei corridoi dei palazzi e nelle camere dei riad a spese dell’autocrazia alawita, vale a dire del contribuente marocchino. Ci resta tuttavia un eroe, un’icona o un martire, come preferite. Un povero venditore ambulante di frutta e verdura chiamato Mohamed Bouazizi il quale, decidendo di darsi fuoco in una fredda giornata di dicembre in una località sconosciuta della Tunisia, ha acceso la scintilla che ci restituirà la nostra libertà e la nostra dignità perduta.
Per riassumere, questa pubblicazione elettronica si impegna ad occupare il terreno della libera informazione, disertato ormai dai media tradizionali che hanno abbandonato l’agenda giornalistica in cambio di interessi commerciali, trasformandosi in portavoce del regime. Fintanto che in Marocco ci sarà una monarchia assoluta, fintanto che la libertà di espressione resterà una parola vana, Demain continuerà ad esistere. Dopo, staremo a vedere…
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