Il
giornalista francese Nicolas Beau, co-autore dei testi di denuncia del deposto regime
quali Notre ami Ben Ali e La régente de Carthage, si sofferma
sulle tensioni che animano la repubblica maghrebina nel primo anniversario
della Costituente.
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Caricatura del vignettista tunisino Z. Nel disegno due schieramenti opposti si affrontano, gli islamisti di Ghannouchi (sostenuti dagli alleati di governo) e gli ex-rcdisti di Beji Cais Essebsi. Nel duello sta cercando di inserirsi l'oppositore di sinistra Hamma Hamami, alla guida del Fronte popolare.... |
Elezioni
posticipate, una costituzione che si fa attendere troppo, un paese diretto da
elite disconnesse dalla realtà e un popolo frustrato: sembra quasi che il
governo tunisino abbia la memoria corta…
Ciò
che colpisce oggi a Tunisi è fino a che punto le elite politiche ed
intellettuali della Tunisia legale abbiano dimenticato il paese reale. Ci si è
dimenticati troppo in fretta che sono state le rivendicazioni contro la povertà
e la corruzione, venute dal profondo del paese, a far cadere il regime di Ben
Ali.
Ma
da quel 14 gennaio 2011, data della partenza dell'ex dittatore in Arabia
Saudita, la situazione non ha fatto che peggiorare. A pochi passi dai
ristoranti chic e dagli hotel di lusso di Gammarth, Hammamet e La Marsa, le
regioni interne del paese si trovano sull'orlo dell'esplosione sociale.
Per
questi milioni di dimenticati che - al momento delle elezioni della
Costituente, giusto un anno fa - hanno scelto in maggioranza il voto islamista,
non c'è più tempo per il cicaleggio in assemblea. Il governo tunisino, dominato
dal partito islamista Ennahda, aveva promesso la presentazione della nuova
carta il 23 ottobre, data del primo anniversario della Costituente. Ma da
settembre ad oggi il potere tunisino non fa che prendere tempo e la
costituzione non è ancora pronta. Le elezioni, che dovevano aver luogo in marzo
(2013, ndt), sono rimandate di tre
mesi - giugno/luglio nella migliore delle ipotesi - in attesa di un accordo all'interno
della Costituente. La legittimità del governo, di conseguenza, è indebolita,
mentre contestata è la sua capacità di mantenimento dell'ordine di fronte alle
azioni dei gruppi salafiti. L'assalto di un commando estremista all'ambasciata
americana e l'omicidio a Tataouine (Tunisia meridionale), il 18 ottobre, di
Lofti Naguedh, responsabile locale del movimento anti-islamista "Nidaa
Tounes", sembrano aver traumatizzato l'opinione pubblica tunisina.
Il
23 ottobre potrebbe così fungere da detonatore per l'insieme delle frustrazioni
e delle delusioni accumulate dalla popolazione. Tanto più che, all'interno
della classe politica, si è sempre pronti a soffiare sul fuoco. Da una parte ci
sono i partiti che si oppongono alla troika al potere (Ennahda,
CPR,
Ettakatol,
ndr), che vogliono spingere gli
islamisti a costituire un governo di unità nazionale; dall'altra le forze di
sicurezza, esercito e polizia, che non hanno imparato molto dalla fine dell'era
Ben Ali; infine i salafiti, che sembrano sognare l'insurrezione, e il vicino
algerino, che non vede di buon occhio il processo democratico in atto in
Tunisia.
L'illustre
sconosciuto che è stato l'ex ambasciatore francese a Tunisi, il sarkoziste Boris Boillon, aveva emesso
un giudizio crudele, prima di lasciare il suo posto: "L'Assemblea
costituente è un imbroglio inutile, sarebbero bastate appena tre settimane per
redigere un nuovo testo costituzionale". Esagerato? Forse…
Dopo
l'euforia della campagna elettorale che ha preceduto l'elezione dell'assemblea,
il sistema tunisino sembra trovarsi già con il fiato corto. Se c'è un uomo
politico che riassume bene la disillusione del momento nei confronti dei
partiti e dei rappresentanti istituzionali è Mustapha Ben Jaafar, Presidente
della Costituente. Ben saldo sui suoi principi, quando si opponeva
all'allineamento dell'opposizione progressista al regime di Ben Ali durante gli
anni novanta, questo socialdemocratico si è sempre dimostrato un elemento
pragmatico, come l'amico François Hollande.
Durante
un'intervista rilasciata a fine 2011, il presidente del movimento Ettakatol
dichiarava: "bisogna scrivere in fretta la costituzione poiché più la
transizione si prolungherà e più la situazione rischierà di sgretolarsi".
In un incontro avvenuto l'estate scorsa a margine dei lavori dell'assemblea,
nel suo splendido ufficio - "il più bello della repubblica tunisina",
ha tenuto a specificare - giustificava ancora la sua alleanza con gli islamisti
con la necessità di mantenere gli impegni assunti di fronte al paese. Vale a
dire, presentare la bozza di costituzione il 23 ottobre, come promesso.
Tuttavia
il calendario non è stato rispettato e la metà dei venti eletti del partito
all'assemblea ha già abbandonato la nave. L'esercito lo esorta, attraverso il
ministro della Difesa, a prendere le distanze da Ennahda e diversi altri membri
del suo movimento e del governo pensano di lasciare la formazione. Alla fine,
proprio colui che incarnava la figura del saggio all'interno della famosa
troika che dirige il paese, sembra destinato ad un triste isolamento.
Il
discredito, dovuto ad un'attesa esagerata e ai dibattiti sterili sorti all'interno
della Costituente - per esempio sulla "complementarietà tra uomini e
donne" o sul riferimento o meno alla shari'a
- senza tirare in ballo gli aumenti indecenti dei salari degli eletti, colpisce
indistintamente, e in maniera inesorabile, tutti i partiti politici. Non c'è di
che rallegrarsi, a soli sei mesi dalla scadenza elettorale!
Imprenditori sull'orlo
di una crisi di nervi
L'impazienza
aumenta, la disoccupazione esplode, la crescita stagna. Le cifre annunciate dal
governo che attestano un tasso di crescita al 3% sono ingannevoli, poiché
calcolate sul periodo di recessione attraversato l'anno passato. Ancor più
significativo, l'economia parallela prospera.
In
settori importanti come la produzione di legno e di cemento, circa l'80% delle
transazioni avvengono in nero. Il commercio informale con l'Algeria è ai
massimi storici e al confine c'è chi gestisce un cambio di valute alternativo
tra i due dinari. In effetti gli algerini speculano sulla moneta tunisina che
gli permette di investire nel ramo immobiliare e di concedersi vacanze
confortevoli, aggirando il severo controllo dei cambi che vige nel loro paese.
Le
incertezze politiche non migliorano l'immagine della Tunisia agli occhi degli
investitori stranieri. Sulle oltre mille aziende francesi sedotte dal paradiso
sociale e fiscale di Ben Ali, circa la metà sta lasciando il paese o pensa di
farlo. Perfino i grandi gruppi alberghieri hanno ridotto di un terzo i loro
progetti sul territorio, secondo quanto indicato da una fonte diplomatica.
Anche
il turismo è in calo. A Tabarka, affascinante stazione balneare situata alla
frontiera algerina - divenuta celebre a fine 2010 per le vacanze di Michèle
Alliot-Maire (ministro degli Affari Esteri fino al febbraio del 2011, ndt) mentre la popolazione era in piena
sollevazione popolare - si ipotizza la chiusura dell'aeroporto internazionale
inaugurato con successo solo pochi anni prima.
La scatola nera
dell'Interno
Se
esiste un solo settore che oggi continua ad assumere è il Ministero
dell'Interno. Gli oppositori di Ben Ali stimavano gli effettivi della polizia a
130 mila uomini nel passato regime. Una cifra esagerata, il paese ne contava
infatti circa 50 mila. Ma, dal gennaio 2011, i nuovi assunti sono tra i 25 e i
30 mila, di cui 10 mila reclutati direttamente dal partito Ennahda.
Pertanto,
il malcontento non si placa nemmeno dentro al ministero, che risente
inevitabilmente delle difficoltà budgetarie del momento. Le tariffe degli
straordinari, pagati ai funzionari di polizia che lavorano di notte, vengono
saldate dopo sei mesi e prevedono un ritocco di appena 300 millimes all'ora (15
centesimi di euro). E' difficile, in queste condizioni, evitare che la
corruzione sia ancora una pratica così diffusa tra le forze dell'ordine…
La
disorganizzazione del ministero si è intensificata con le promozioni brutali
decise dall'attuale ministro Ali Larayedh. Su settanta quadri dirigenti, almeno
una sessantina sono stati sollecitati al pensionamento anticipato per lasciare
spazio a nuovi uomini di fiducia. A discolpa del ministro, che ha passato
lunghi anni di isolamento in prigione, bisogna dire che la ristrutturazione
dell'apparato repressivo di Ben Ali era un'operazione necessaria. Un'operazione
che poteva essere fatta però in maniera più delicata, evitando magari lo
scontro diretto con i sindacati che si sono formati dopo la rivoluzione in
questo settore dell'amministrazione a dir poco sensibile. In altre parole,
perfino la marmitta policière
ribolle, mentre si moltiplicano gli episodi di violenza nel paese.
In
questo clima di instabilità, in molti cominciano a fare ipotesi sulle reali
intenzioni e sulle prossime mosse dell'esercito. E' risaputa la vicinanza di un
certo numero di ufficiali, tra cui l'ormai celebre generale Ammar, con il
regime algerino o la diplomazia americana. Il primo non è certo un sostenitore
della transizione democratica tunisina. L'amministrazione Obama, invece, è
ancora sotto choc per l'attacco di cui è rimasta vittima l'ambasciata
statunitense a Tunisi.
Per
questo, si comincia già ad immaginare che i militari tunisini, stuzzicati da
algerini e americani, potrebbero - in caso di grave minaccia per la sicurezza -
suonare la fine della ricreazione. Comunque è difficile saperlo. Se la Tunisia
infatti è diventata un grande forum a cielo aperto dove ciascuno può esprimersi
liberamente, i soli a rimanere in silenzio sono proprio i militari.
Unica
certezza, l'insieme delle forze politiche, islamisti compresi, sta cercando di
ingraziarsi le caserme. La giustizia militare sta emettendo dei verdetti
contraddittori, contestabili e sbrigativi sui sanguinosi eventi di gennaio
2011? L'identità degli snipers che hanno sparato sulla folla resta ancora un
segreto di Stato? Nessuno - all'interno della classe politica - sembra
veramente interessato a denunciare queste "sviste", fatta eccezione
per qualche testa calda (e coraggiosa) sui rispettivi blog.
Sembra
quasi che l'esercito debba a tutti i costi rimanere il simbolo di una unità
nazionale che potrebbe essere minacciata.
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