La
manovra economica per il 2013 è al vaglio del Parlamento. I tagli e le
ristrettezze annunciate dal governo non toccheranno il budget di spesa previsto
per il sovrano, che già gode di un'ottima salute finanziaria. Intanto alcuni
dissidenti rompono il tabù e manifestano contro la "depredazione di
Palazzo", ma le autorità reprimono.
Domenica
18 novembre a Rabat le forze di sicurezza marocchine hanno impedito con la
violenza lo svolgimento di una manifestazione indetta dal Movimento 20 febbraio per reclamare, data la dura crisi economica che sta investendo il regno alawita, la riduzione del budget
statale assegnato annualmente al monarca e alla sua corte.
Il
budget in questione ammonta a 2.576.769.000 dirham (ossia 232.980.922 euro) -
stando al capitolo di spesa riservatogli nella legge finanziaria - ed è rimasto
invariato rispetto all'anno precedente, nonostante la crescita del deficit di
bilancio e la spirale dell'indebitamento che sta risucchiando il paese.
I
crediti concessi dalle banche e dagli organismi internazionali serviranno
infatti a coprire circa il 30% della manovra, mentre le misure di austerità
annunciate dall'esecutivo porteranno ad una severa revisione della caisse de compensantion (sistema di
sovvenzioni ai prodotti di prima necessità), già anticipata nei mesi scorsi dal
rincaro del carburante.
Intanto
la disoccupazione giovanile è in aumento - oltre il 30% secondo uno studio
recente diffuso dalla Banca mondiale - la pressione dei diplomés-chomeurs (laureati-disoccupati, nda) nelle strade della capitale è costante e i tagli alla spesa
pubblica sembrano colpire, seppur in maniera irrisoria, esclusivamente quei
ministeri che dovrebbero farsi carico del problema (Ministero della Gioventù,
dell'Impiego, dell'Educazione e della Cultura).
Le
casse dello Stato sono in rosso e la popolazione è sempre più in difficoltà,
allora perché - si domandano i membri del "20 febbraio" - continuare
a versare nelle tasche del sovrano circa 700 mila euro al giorno?
Tanto
più che, ricordano i giornalisti Eric Laurent et Catherine Graciet (Le roi prédateur, Seuil, 2012), questa
dotazione si fa carico anche dei costi di mantenimento e funzionamento di
palazzi reali e residenze private, comprende le spese per il rinnovo annuale del
lussuoso parco auto (Aston Martin, Ferrari) e del guardaroba del monarca (circa
2 milioni di euro nel 2010, secondo i due giornalisti).
"Siamo
qui per denunciare la politica dei due pesi due misure del governo, che invita
i cittadini a stringere la cintura, ma non fa una mossa quando si tratta di confermare
le sontuose spese di Palazzo che gravano sul bilancio pubblico",
dichiarava un attivista in marcia lungo viale Mohammed V - nel cuore della
capitale - prima di raggiungere il luogo fissato per il sit-in.
La
"lista civile" dietro cui si nasconde la sovvenzione alla monarchia -
è questa l'espressione utilizzata nell'art. 45 della costituzione che
l'autorizza - dovrebbe essere oggetto di discussione in Parlamento e di
controllo della Corte dei conti, come del resto ogni altro capitolo di spesa
della finanziaria. Ciò significa che qualsiasi deputato in disaccordo con il
provvedimento dispone, in teoria, della facoltà di votare contro, secondo la
propria coscienza.
Questo
in teoria, ma la realtà è diversa. La prassi consolidatasi nel tempo prevede
infatti che tutti gli eletti in Parlamento - di ogni tendenza politica - rinnovino
ogni anno, senza discussioni e all'unanimità, il budget assegnato al sovrano (e
da lui stesso proposto), considerato una "linea rossa" invalicabile.
"Di solito non osiamo nemmeno pronunciare il termine 'budget reale' al
momento del dibattito sulla manovra economica", confidava al settimanale Tel Quel un deputato rimasto anonimo.
Proprio
di fronte al Parlamento - "il simbolo della democrazia di facciata calata
sul paese", continuava il nostro interlocutore - si sarebbe dovuta tenere
la manifestazione di protesta convocata dal movimento dissidente. Il
condizionale, ancora una volta, è d'obbligo dal momento che le forze di polizia
sono intervenute con violenza (fisica e verbale) fin dall'arrivo delle prime
decine di attivisti, impedendo lo svolgimento dell'iniziativa.
Wak wak âla chouha,
mizania klitouha ("Vergogna, ti stai divorando il
budget"), lo slogan lanciato dai primi ad accorrere in viale Mohammed V. Insulti
- anche all'indirizzo dei giornalisti presenti, tra cui i corrispondenti delle
agenzie Reuters ed Efe - e manganelli la risposta delle autorità (tre i feriti
ricoverati in ospedale), che si è accanita particolarmente su due storiche
figure del movimento progressista, Khadija Ryadi e Abdelhamid Amine
(rispettivamente presidente e vice-presidente dell'Associazione marocchina per
i diritti umani), e sul giovane Hamza Mahfoud (già oggetto di trattamenti particolari
durante le proteste dei mesi scorsi).
Il
"20 febbraio", nonostante l'indiscutibile indebolimento
e la repressione
a cui deve far fronte, è così tornato a far sentire la propria voce e a rilanciare la sua
lotta per il cambiamento democratico, la dignità e per l'attuazione di una
giustizia sociale in Marocco, di cui da quasi due anni si è fatto portavoce.
Certo i numeri e la pressione esercitata non sono paragonabili a quelli del 2011,
ma un'azione diretta contro la figura del sovrano come quella intentata ieri
sarebbe stata impensabile prima dell'inizio della "primavera" locale.
Re dei poveri o re
degli affari?
Il
budget statale assegnato al monarca ha un'incidenza media dell'1/2% sulla
manovra annuale complessiva. Considerato da questo punto di vista, potrebbe
apparire poca cosa agli osservatori meno attenti. Tuttavia, se paragonato ad
altri esempi conformi la prospettiva cambia.
Ahmed
Benseddik, un tecnocrate
uscito dalle grazie del Palazzo dopo aver denunciato la corruzione nelle alte
sfere di potere, ha fornito un anno fa alcuni dati
interessanti in materia. L'ex funzionario ha messo a confronto la dotazione
reale marocchina con quella della presidenza francese e della monarchia
spagnola. Risultato, il budget alawita è di due volte superiore a quello
dell'Eliseo e di 12 volte e mezzo quello borbonico, numeri che diventano più
eloquenti se rapportati al PIL dei rispettivi paesi: il costo pubblico del
sovrano di Rabat diventa in questo caso 248 volte più alto di quello dell'omologo
iberico e sessanta volte superiore a quello del Capo di Stato francese.
Le
critiche sollevate dagli attivisti nei confronti della "voracità" di
Mohammed VI non riguardano soltanto l'ingente allocazione statale a lui
riservata, ma anche la fortuna personale accumulata dal momento dell'incoronazione
(1999), grazie alla posizione dominante occupata nel sistema economico
marocchino.
Un
"successo" - ripercorso da Laurent e Graciet nel libro Le roi prédateur, main basse sur le Maroc
- che non sembra risentire della fase di recessione attraversata dal paese,
come confermano i bilanci costantemente in attivo
della holding reale SNI/ONA. Oltre ai benefici "storici" legati
all'introito dei fosfati, la società di investimenti è riuscita ad affermarsi
in poco tempo, attraverso le sue filiali, come leader nei principali settori
strategici (bancario, assicurativo, agro-alimentare, immobiliare, minerario, energie
rinnovabili, telecomunicazioni, e grande distribuzione nei supermercati).
Così,
presentatosi dopo l'ascesa al trono all'opinione pubblica come il "re dei
poveri" - in virtù dei piani di sviluppo promossi e delle donazioni
elargite dalle sue fondazioni, provvedimenti peraltro effimeri se consideriamo
che l'indice di povertà colpisce quasi un terzo della popolazione (28%, fonte
UNDP 2010) - Mohammed VI si è rapidamente trasformato nel "re degli
affari", riuscendo a quintuplicare in dieci anni la propria fortuna.
A
diffondere pubblicamente le cifre per la prima volta - dato l'abituale silenzio
che aveva sempre circondato le questioni di Palazzo - era stata la rivista
americana Forbes nel 2009, piazzando il sovrano alawita nella lista delle
personalità più ricche del mondo. Nella speciale classifica riservata alle
teste coronate il monarca marocchino occupava allora il settimo posto con 2,5
miliardi di dollari stimati (che non comprendono il capitale immobiliare
costituito dai palazzi e residenze), davanti all'Emiro del Qatar e del Kuwait,
teoricamente meglio equipaggiati considerando le risorse in idrocarburi a loro
disposizione.
La
nuova etichetta di businessman di cui si è fregiato Mohammed VI è però severamente
criticata dai due giornalisti francesi che ricordano, citando fatti e testimonianze,
come lo spirito imprenditoriale abbia poco a che fare con un contesto politico
ed economico estremamente opaco e in cui "il potere assoluto di cui gode il monarca ha permesso di azzerare la concorrenza. Il
Marocco di oggi è ben lontano dall'essere un'economia aperta e
competitiva".
"In
origine il nostro intento non era quello di scrivere un libro sulla fortuna del
sovrano - riferisce Eric Laurent nel corso di un'intervista rilasciata al
settimanale L'Express
- Volevamo fare una sorta di bilancio della monarchia al momento delle
primavere arabe, per capire come si stava adattando, quale era il suo margine
di manovra e in che modo sarebbe riuscita a conservare la sua legittimità. E'
stato solo ad inchiesta in corso, attraverso le testimonianze raccolte, che ci
siamo resi conto che il sovrano si trovava ad aver accumulato un'enorme fortuna,
mentre le risorse e gli introiti del paese continuavano ad essere scarsi. La
situazione ci ha sorpreso. Scavando più a fondo abbiamo capito che la prassi
adottata dal re e dalla sua entourage era quella della sottrazione e della
malversazione: sudditi divenuti clienti delle società reali in situazione di
quasi monopolio, appropriazione di una parte considerevole delle sovvenzioni di
Stato e dei fondi della cooperazione. In altre parole una depredazione".
Pertanto,
conclude sempre il giornalista, un arricchimento sfrenato come quello
registrato da Mohammed VI e da alcuni uomini al suo servizio potrebbe avere
delle conseguenze incalcolabili - ben più gravi della manifestazione repressa
davanti al Parlamento - in un momento in cui la popolazione si trova stretta in
una morsa tra recessione e austerità che indebolisce in particolar modo la
classe media.
"Nel
contesto sociale marocchino [tutto questo] non può non essere vissuto come una
provocazione e di conseguenza alimentare gli estremismi. Si è andati troppo in
là".
Nessun commento:
Posta un commento