La
Tunisia ha commemorato ieri i due anni dallo scoppio della rivoluzione. Due
anni dall'immolazione del venditore ambulante Mohamed Bouazizi, la scintilla
che determinò la sollevazione popolare contro il regime di Ben Ali. A Sidi
Bouzid doveva essere una giornata di celebrazione, ma gli abitanti del posto
non sembrano avere molto da festeggiare. E lo hanno fatto capire chiaramente
alle più alte autorità del paese…
(Photo by Jacopo Granci) |
Per
la fondatrice di Radio Kalima Sihem Bensedrine, accorsa assieme ad altri storici militanti nella "culla della rivoluzione", il 17 dicembre corrisponde ormai "al giorno
in cui il popolo ha messo da parte la paura per liberarsi dalla
dittatura". Tuttavia, afferma l'attivista alludendo agli insuccessi dell'attuale
esecutivo in materia di sviluppo locale (e non solo), questo giorno è anche un
monito lanciato a tutti i rappresentanti politici affinché si ricordino che i
tunisini hanno la forza e "la capacità, oggi, di cambiare quei governi
incapaci di realizzare le loro rivendicazioni".
E
in effetti l'aria che si respira a Sidi Bouzid non è quella della festa
annunciata nei giorni scorsi dalle autorità con l'organizzazione del
"Festival Bouazizi". A due anni dalla sollevazione e dalla feroce
repressione attuata dalle forze di sicurezza (oltre 300 morti e migliaia di
feriti in pochi giorni), l'80% dei dossier dei "martiri della
rivoluzione" sono stati rigettati dalla giustizia militare e la verità su
quegli episodi di violenza sembra far fatica a venire a galla.
In
più, secondo i dati diffusi dal ministero dell'Industria, negli ultimi undici
mesi gli investimenti nella regione si sono ridotti del 36% e le offerte di
lavoro del 24%. Una realtà di indigenza che gli abitanti di Sidi Bouzid
conoscono bene. Un sentimento di precarietà che vivono quotidianamente sulla
propria pelle e che non hanno mancato di trasmettere a due tra le più alte
cariche del paese, il presidente della Repubblica Moncef Marzouki e il
presidente dell'Assemblea costituente Mustapha Ben Jafaar, giunti nella
cittadina dell'interno per la commemorazione.
"Siete
venuti qui un anno fa e avete promesso che le cose sarebbero cambiate in sei
mesi, ma da allora la nostra condizione è solo peggiorata" hanno gridato
dalla folla all'indirizzo dei due presidenti, accolti tra i fischi e gli slogan
"il popolo vuole la caduta del governo". La situazione, rimasta sotto
controllo durante il discorso di Marzouki, è poi degenerata in un lancio di
sassi all'indirizzo di Mustapha Ben Jafaar - secondo quanto riportato da Radio Kalima - tanto che le due autorità hanno dovuto abbandonare velocemente la
cerimonia.
Alcune
migliaia di persone si erano radunate fin dal mattino di fronte alla sede della
Prefettura, il luogo dove Mohamed Bouazizi si è dato fuoco e dove è stato
allestito il palco in suo ricordo. Durante il suo discorso, il presidente
Marzouki ha cercato di difendere l'operato del governo in carica spiegando che
"dodici mesi non sono sufficienti per realizzare gli obiettivi della
rivoluzione" e che in ogni caso l'attuale esecutivo "è il primo
governo eletto e legittimo che non ruba al popolo e vuole soltanto il bene di
tutto il paese".
Di
diverso parere sono sembrati gli abitanti di Sidi Bouzid che - stando al resoconto
fornito da Afp - hanno finito per invadere il palco, accompagnando la partenza
prematura dei due presidenti al grido dégage,
dégage!...
(Di seguito la
traduzione dell'articolo Sidi Bouzid ne veut pas oublier la
révolution scritto da Elodie Auffray per Slate Afrique)
Nizar
Bargougui, 24 anni
Nizar
Bargougui percorre le vie malmesse del quartiere Nour ("luce"). I
ricordi ancora vivi, racconta le notti che due anni fa hanno infiammato questo
sobborgo popolare di Sidi Bouzid: "facevamo cadere i pali della luce per
sbarrare le strade, lanciavamo ferro sui fili elettrici per togliere la
corrente, montavamo sui tetti delle case in costruzione e da lì gettavamo le
bottiglie molotov sulla polizia".
I
ragazzi del quartiere Nour sono stati tra i primi a sollevarsi dopo
l'immolazione del loro concittadino Mohamed Bouazizi, il 17 dicembre 2010. In
quel momento Nizar, come gli altri, si è rivoltato "contro Ben Ali e la
famiglia Trabelsi, che hanno rubato un intero paese" e "contro la
polizia che faceva i loro interessi invece di difendere quelli del
popolo".
Due
anni più tardi sembra quasi rimpiangere di avervi preso parte e si lascia
andare a commenti dal sapore nostalgico.
Dopo
la rivoluzione Nizar ha smesso di lavare macchine, a trenta chilometri da casa,
per lanciarsi nel mazout. Nel
quartiere Nour sono spuntati decine di piccoli rivenditori di benzina di
contrabbando, ma dopo qualche mese Nizar si è fatto beccare e si è visto
confiscare il pick-up con cui raggiungeva la "zona franca" in
Algeria. Al momento non possiede i 5 mila dinari (circa 2.500 euro) necessari
per recuperarlo.
Da
allora "le mie giornate trascorrono in va e vieni tra casa e il caffè, c'è
poco altro da fare a Sidi Bouzid". Persino ammazzare il tempo è diventato
più difficile: il caffè è aumentato e le sigarette pure.
"Durante
la sollevazione sognavamo di cambiare tutto. Ci aspettavamo che lo Stato
facesse appello a investitori per portare lavoro in questa terra". Ma per
il momento "ci sono solo i cantieri". I primi governi di transizione
(Ghannouchi 1 e 2, Beji Caid Essebsi, ndr)
hanno moltiplicato le possibilità di trovare questo genere di lavoretti, che
nella maggior parte dei casi si rivelano fittizi. O peggio, dei "nidi di
corruzione".
"Bisogna
oliare bene i capi e i caporali prima di ottenere un posto. Io mi rifiuto - fa
sapere il nostro interlocutore - di pagare per avere un lavoro retribuito 240
dinari al mese (circa 120 euro)".
Nizar
non sopporta la propaganda di Ennahda che si fa vanto sui manifesti appesi
ovunque dei buoni risultati del governo, "proprio come prima faceva Ben
Ali". Lui non ha neanche votato alle elezioni di un anno fa, come del
resto molti altri ragazzi in prima fila nei giorni della rivolta.
Nizar
finisce per confessare che proverà a presentare il dossier per poter aprire un
suo autolavaggio. Ha già il locale, un piccolo magazzino di proprietà del
padre, ma non i soldi da investire per l'acquisto dei materiali.
Hamida
Hamdi, 35 anni: "possiamo contare solo su noi stessi"
Hamida
Hamdi parlotta con altre due amiche davanti all'agenzia di lavoro interinale, invasa
di gente. Il suo sogno è quello di creare una piccola azienda.
Tredici
anni fa è partita verso la costa, come molti altri abitanti della regione, per
lavorare in una delle tante fabbriche tessili presenti in quella zona. Da
allora non ha mai rinunciato all'idea di un suo atelier, spinta
dall'insostenibilità dei magri salari percepiti e dalla frustrazione per
"lo sfruttamento patito lungo la costa".
Hamida
vorrebbe "che la gente di Sidi Bouzid rimanga a lavorare qui e che possa
smettere un giorno di essere obbligata a partire verso Sfax o Monastir".
Ci aveva già provato, per la verità, cinque anni fa. Senza successo. La
rivoluzione le ha dato il coraggio di insistere, ma confessa: "non
possiamo fare affidamento sulla politica, possiamo contare solo su noi stessi".
Habib
e Slimane Rebhi, i businessman del dopo rivoluzione
"La
voglia di fare c'è e molta. Il nostro problema, spesso, è l'amministrazione che
mette i bastoni tra le ruote", spiega Habib Rebhi. Assieme a suo fratello
Slimane, 25 e 29 anni, sono rientrati da Tunisi, dove stavano completando gli
studi, per lanciare un'impresa informatica: l'International Tunisia for
Information Technology (ITIT), cha ha i suoi uffici nel cyberparc di Sidi Bouzid.
Danno
lavoro ad altre quattro persone e contano di assumerne a breve una decina.
L'ITIT fa parte dei numerosi progetti finanziati dall'ong di microcredito Enda
dopo la rivoluzione. "Alcuni dicono che se le cose non cambiano è a causa
dell'instabilità o della mancanza di iniziative, ma si sbagliano. I giovani di
qui si danno da fare, ma non hanno i mezzi di partenza necessari o non ricevono
la giusta assistenza".
Hichem
Hajlaoui: "lo Stato non ha più il controllo"
Laureato
in informatica, Hichem Hajlaoui ha alternato diversi lavori dal momento
dell'uscita dall'università. Dopo la rivoluzione, però, ha scelto di dedicare
tutte le sue energie alla crescita della società civile. "Con altri
ragazzi abbiamo fondato una decina di associazioni. Organizzazioni culturali,
per la promozione del patrimonio e per l'assistenza nella ricerca di
lavoro".
Nella
regione esistono oggi circa quattrocento associazioni ma, per la scarsità dei
mezzi a disposizione, solo una decina funzionano correttamente. "La
maggior parte si mobilitano attorno a singoli eventi, ma non hanno la capacità
di impostare una strategia a lungo termine".
Hichem
e i suoi amici hanno ottenuto un finanziamento dalla cooperazione tedesca:
diciassette ragazzi saranno formati nel campo dell'inserimento lavorativo e
delle strategie per lo sviluppo locale. Dopo due anni di sforzi, Hichem spiega
le motivazioni che in molti casi hanno portato al fallimento delle iniziative
dei suoi coetanei ed hanno determinato, da prima della sollevazione, la
situazione di ristagno in cui versa la zona: "sicuramente l'incuria delle
amministrazioni, un potenziale agricolo non sfruttato al meglio e la mancanza
di organizzazione della manodopera stagionale..".
E
poi bisogna mettere nel conto i problemi del post-rivoluzione: lo Stato
"che non ha più il controllo", il comune che va avanti senza un sindaco
in carica…e soprattutto la voragine finanziaria scavata dai
"cantieri".
Mohamed
Slimani, 33 anni
Mohamed
Slimani ha una specializzazione in biologia ma, come confessa scherzosamente
lui stesso, è stato "reclutato per lottare contro il regime di Ben Ali e
poi quello di Ennahda". Mohamed è un attivista del Partito comunista dei
lavoratori (confluito nel Front Populaire), un ex membro dell'Unione generale
degli studenti tunisini e uno dei coordinatori dell'Unione dei
laureati-disoccupati (UDC) di Sidi Bouzid.
In
tutta la regione se ne contano più o meno 12 mila. L'UDC, che esiste dal 2006,
si batte - tra le altre cose - per la trasparenza e per l'adozione di criteri
esclusivamente sociali nei concorsi di assunzione del pubblico impiego,
promossi in gran numero dal 2011.
"Avevamo
chiesto di far parte dei comitati di selezione, ma non ce l'hanno
permesso". Lui stesso aveva superato due diversi concorsi, ma si è visto
bloccare l'accesso al posto di lavoro. La precedenza, a parità di risultati, va
infatti ai più anziani e così due "compagni" di 45 e 48 anni sono
stati reclutati al suo posto. Mohamed ne ha "solo" 33 e continua a
dare lezioni in una scuola privata per 4 dinari l'ora (2 euro).
Riadh
Hidouri
Tra
i più attivi durante la sollevazione di due anni fa e poi nel corso dei sit-in
alla casbah
di Tunisi, Riadh Hidouri vuole "continuare a manifestare, perché poco o
nulla è cambiato". Nel settembre scorso questo laureato con
specializzazione in fisica ha partecipato ad una manifestazione nel piccolo
villaggio di El Omrane, sulla statale che collega Gafsa a Sfax.
Una
strada che viene bloccata molto spesso, negli ultimi mesi, per fare pressione
sulle autorità. Assieme ad altri undici manifestanti, Riadh è stato arrestato
di notte a casa sua e poi accusato di aver ostacolato la circolazione, ma
soprattutto di "aggressione a pubblico ufficiale, aggressione armata e
creazione di banda criminale…" elenca lui sorridendo amaramente, ancora
incredulo.
"Ecco
come trattano i ragazzi della rivoluzione! Abbiamo conquistato un po' di
libertà, ma il governo sta cercando in tutti i modi di ridurla di nuovo".
In seguito ad una intensa mobilitazione in tutta la zona, gli undici finiti in
arresto sono stati rimessi in libertà lo scorso 23 ottobre, nel primo
anniversario di un'elezione a cui Riadh dice di non aver partecipato.
Khaled,
28 anni: "saremo protagonisti di nuove rivoluzioni"
Per
Khaled la situazione socio-economica "è più grave di prima". Ma non
si dispera e non rimpiange nulla. I giovani di Menzel Bouzayane, il villaggio
dove sono caduti i primi morti il 24 dicembre 2010, restano fieri di quei
giorni, che per loro si inscrivono nella schiera delle battaglie illustri già combattute
dai loro padri contro la colonizzazione.
"Saremo
i protagonisti di nuove rivoluzioni", afferma Khaled, 28 anni, sei volte
campione di full contact. Professore di educazione fisica, vive in realtà del
suo piccolo commercio di mazout di
contrabbando. Forse verrà presto assunto come funzionario, il suo status di
"ferito della rivoluzione" gliene dà il diritto.
Il
24 dicembre 2010 Khaled è stato colpito da una pallottola nel polpaccio.
"Io rifiuto di essere assunto solo per questo. Non è una soluzione! Altri
sono stati molto efficaci in quei momenti, non sono solo i feriti a dover
essere favoriti".
I
giovani di Menzel Bouzayane hanno già programmato, se i feriti verranno
reclutati, "di organizzare una manifestazione per sostenere tutti gli altri
disoccupati".
Oltre
allo sviluppo della sua terra, Khaled vorrebbe conoscere la verità, "il
nome di chi mi ha sparato e di chi ha dato l'ordine". Non è la condanna
dei colpevoli ad interessarlo - "ammetto che la mia è una ferita di
guerra" - ma vuole sapere come sono andate davvero le cose.
Per
due volte si è recato al tribunale militare di Sfax, dove si svolgono le
udienze: "ci sono dei progressi nelle indagini, ma l'impressione è che i
giudici non vogliano andare nella giusta direzione".
Kalil
e Hamza, nuovi salafiti
Kalil
e Hamza hanno scelto "di diventare salafiti", come altri a Sidi
Bouzid. Hamza si definisce "un salafita indipendente", ma più che
altro dà l'impressione di essere un po' smarrito. Veste il qamis, ma solo il venerdì, fuma molto e beve alcolici di tanto in
tanto. Non è il solo, assicura: "molti fumano hashish, alcuni addirittura
lo vendono".
Ha
già tentato tre volte la traversata verso Lampedusa, l'ultima quest'anno. "Un
salafita made in Cina, di pessima qualità", commenta in disparte uno dei
suoi amici. Hamza è soddisfatto di poter adempiere alla preghiera e parlare di
religione senza avere nulla da temere. "Prima ci facevano passare
automaticamente per terroristi". Ci tiene poi a sottolineare che i
"fratelli" forniscono un aiuto importante alla comunità,
"sostenendo chi vuole aprire un piccolo negozio o chi non ha i soldi per
sposarsi".
Kalil,
invece, ha fatto una scelta radicale: ha mollato la Guardia nazionale sei mesi
fa perché non aveva più intenzione "di applicare e far rispettare delle
leggi che non provengono dall'islam".
Anis
Chouaibi
Insegnante
di ginnastica al mattino, Anis Choubani il pomeriggio si trasforma in
giornalista. E' uno dei membri fondatori della pagina fb "SBZone
radio", che dopo la rivoluzione è passata da 30 mila a 76 mila aderenti.
"Ora
siamo più liberi in questo lavoro ed anche più professionali". I dodici
amministratori della pagina hanno seguito dei corsi in giornalismo
partecipativo ed hanno creato un'associazione per formare a loro volta gli
studenti.
Abdelwaheb,
24 anni
Da
cinque anni, ogni fine settimana, Abdelwaheb si allena con i suoi amici
appassionati di breakdance alla maison de
la culture. Questi ballerini hip-hop vorrebbero riuscire ad animare la
città, a mostrare il loro talento, ma le loro richieste trovano sempre
resistenze e si scontrano con un certo conservatorismo. "Ci dicono che
questo non fa parte del patrimonio locale da valorizzare".
D'altronde
non ci sono mezzi per organizzare esibizioni, come invece accade nei centri
della costa. "Qui non ci sono sponsor e l'amministrazione si rifiuta di
aiutarci. Siamo sempre di fronte alla stessa situazione: non riusciamo mai a
fare quello che ci piace", recrimina Abdelwaheb che però non si dà per
vinto. "Vogliamo continuare ad esercitarci e magari proporre un'attività
seria, con un allenatore professionista. Potremmo fondare un'associazione di
danza contemporanea cercando di diffondere questa cultura e togliere alcuni
nostri coetanei dalla lunga e inutile attesa nei caffè".
Abdelwaheb
non nasconde la sua soddisfazione per "la fine del regime di polizia,
degli arresti e delle condanne arbitrarie", ma - come molti altri qui - si
lascia andare all'amarezza quando, pensando alla situazione attuale, ha
l'impressione di trovarsi di fronte "ad un'occasione persa".
(Articolo pubblicato da Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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