E'
nella Tunisia profonda che la storia comincia. Una storia fatta di lotta, di
repressione e di dignità. Una storia ancora attuale. Il documentario del
regista Sami Tlili ripercorre gli eventi che sconvolsero il bacino minerario di
Gafsa nel 2008 e ci racconta una "rivoluzione in marcia" che in pochi
al tempo vollero o seppero vedere.
Dopo
l'anteprima al festival di Abu Dhabi (di cui si è laureato vincitore) e la proiezione
"sofferta" alle JCC (Journées Cinématographiques de Carthage), Yaalan bou el phosphate ("Sia
maledetto il fosfato") - documentario del giovane regista tunisino Sami
Tlili - è finalmente in programma nei cinema della capitale tunisina dal 12
dicembre scorso (guarda il trailer).
Il
film, come annunciato dal titolo, evoca la maledizione lanciata dalla presenza
della materia prima sul territorio. I fosfati, infatti, sono un vanto per la
regione, uno dei maggiori introiti per l'economia nazionale ma il loro
sfruttamento non riesce ad assicurare sviluppo e condizioni di vita decenti agli
abitanti del posto. Nonostante la ricchezza del sottosuolo, l'indice di
disoccupazione resta tra i più elevati del paese e gran parte della popolazione
locale cerca di tirare avanti con piccole attività di coltivazione e
allevamento, rese ancor più difficili a causa dell'aridità del terreno e
l'inquinamento derivato dall'attività estrattiva.
Il
contesto socio-economico descritto dal documentario sembra distante anni luce
da quello delle zone settentrionali e orientali del paese, lungo il litorale
mediterraneo, dove le attività portuali e l'indotto assicurato dalle
transazioni commerciali (tra cui gli stessi fosfati) permettono un livello di
crescita e sviluppo considerevoli, e sanciscono una sperequazione regionale che
è stata tra le cause principali del collasso del "sistema-Ben Ali".
Il
regista rievoca la lunga rivolta che nel 2008 ha infiammato la regione e ne
tratteggia i contorni attraverso le testimonianze dei protagonisti
(disoccupati, sindacalisti, professori, ex detenuti), alternando immagini,
poesia, voci di speranza e di disperazione. Tlili ripercorre gli eventi e ci
racconta così di una "rivoluzione in marcia", che in pochi al tempo
vollero o seppero vedere.
E'
il gennaio del 2008 quando viene organizzato un primo sit-in a oltranza di
fronte al comune di Redeyef (sud-ovest tunisino) da alcuni disoccupati della
regione, per contestare i risultati di un concorso di assunzione indetto dalla
Compagnie des phosphates de Gafsa (CPG).
A
quel concorso si erano presentati oltre mille candidati per soli ottanta posti
a disposizione. Ma i risultati affissi non sembrano tenere conto delle quote
riservate ai figli dei vecchi minatori e, per gli esclusi che lanciano la
protesta, sono il frutto della corruzione e del clientelismo con cui le
autorità locali e i vertici della società gestiscono lo sfruttamento del
minerale.
L'episodio
segna così l'inizio di un movimento di disobbedienza civile che interesserà i
villaggi di Redeyef, Metlaoui, Moularès e Mdhila e che resisterà oltre sei mesi
- tra scioperi e manifestazioni - prima di cedere alla repressione violenta del
regime di Ben Ali, pronto a schierare l'esercito per mettere fine alla
contestazione.
Il
movimento - a cui oltre i giovani disoccupati aderiscono sindacalisti, membri
di associazioni locali e semplici cittadini - sceglie lo slogan
"determinazione e dignità" per portare avanti rivendicazioni
politiche (fine della repressione) e soprattutto sociali: l'annullamento del
concorso, facilitazioni all'impiego per i diplomés-chomeurs
della zona, maggiori investimenti industriali e l'accesso ai servizi di base
per tutta la popolazione (acqua corrente, elettricità, strutture sanitarie..).
Quella
di Redeyef è la sollevazione popolare più importante mai registrata dalle
"rivolte del pane" del 1984 e dall'ascesa al potere di Zine El
Abidine Ben Ali (1987) e il suo bilancio, dopo l'intervento del regime, sarà di
tre morti, decine di feriti e centinaia di manifestanti finiti in arresto -
torturati in carcere e, alcuni, condannati a lunghe pene. Tra le vittime della
repressione figurano anche alcuni giornalisti
che avevano cercato di dare risalto agli eventi.
Il
documentario di Sami Tlili descrive una realtà sociale e geografica cruda,
intensa e pone - più o meno velatamente - degli interrogativi allarmanti e di
attualità. Ad oltre quattro anni dalla rivolta di Redeyef e a due anni ormai
dall'inizio della rivoluzione, cosa è stato fatto per cambiare la situazione?
Apparentemente
nulla, o comunque troppo poco. Ne sono una conferma le notizie arrivate negli
ultimi tempi dalla zona del bacino minerario, dove la rabbia continua a covare
sotto la cenere e dove gli scioperi e le proteste sono riprese con regolarità
dal marzo 2011, quando la CPG ha deciso di organizzare un nuovo concorso di
assunzione.
In
quest'occasione le domande presentate dagli abitanti della zona sono state
oltre 20 mila (per 3 mila posti) e le code agli uffici pubblici di Metlaoui e
dei villaggi circostanti, per richiedere le dovute certificazioni, sono durate
giorni interi. Alla fine i risultati sono stati contestati ancora una volta e
un nuovo procedimento di selezione è in corso.
Intanto
il malcontento si fa strada. La primavera scorsa gli operai della Société de
l'environnement - una filiale della CPG dopo i disordini del 2008 per allentare
la tensione sul comparto produttivo - sono entrati in sciopero ed hanno
bloccato parte dell'approvvigionamento idrico alla miniera di Kef Eddor,
paralizzando l'attività estrattiva. Le ragioni della protesta: ottenere un
miglioramento delle condizioni di impiego, l'aumento della retribuzione almeno
al livello del salario minimo (circa 120 euro quello attuale) e la copertura
sanitaria.
Nelle
ultime settimane, invece, è stata la volta dei diplomés-chomeurs (laureati-disoccupati) di Sned (Gafsa), che hanno
manifestato per reclamare l'assunzione diretta, bloccando le rotaie per il
trasferimento del minerale verso i porti della costa.
Lo
scorso 13 novembre infine, mentre la principale centrale sindacale del paese
(UGTT) rinunciava allo sciopero generale e la CPG annunciava una drastica riduzione della produzione (80%)
e degli introiti dell'azienda, i lavoratori di Sned hanno sospeso tutte le
attività paralizzando l'intera cittadina.
La
condanna dei fosfati, insomma, continua ad incombere sugli abitanti di Gafsa che
nonostante le sollevazioni e le promesse del nuovo governo si trovano di fronte
alla stessa "maledizione" di sempre…
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