Riaperto
pochi giorni fa il processo di adesione di Ankara all'Europa, sebbene "i
turchi non sembrano più così entusiasti come dieci anni fa". Il punto con
il professor Etienne Copeaux del CNRS di Lione.
(traduzione dell'articolo di Sybille Larocque per Jol Press)
Dopo
tre anni di silenzio l'Unione Europea ha deciso di riaprire i negoziati di
adesione al governo turco, sottolineando "gli avanzamenti
democratici" compiuti da Ankara per giustificare l'avvio del nuovo
capitolo di trattative.
Ma
la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è diventata davvero così democratica? I suoi
cittadini si sentono europei? E sono sempre tentati dalla prospettiva di
integrare un'Europa in evidente crisi economica?
A
rispondere è il professor Etienne Copeaux, ricercatore al Groupe de Recherche
et d'études sur la Méditerranée et le Moyen Orient (CNRS) di Lione e curatore
di un blog interamente dedicato alla
Turchia.
L'Unione
Europea ha deciso di rilanciare il processo di adesione. Cosa ne pensano i
turchi? Vogliono davvero integrare l'UE?
Difficile
rispondere, quando diciamo turchi ci riferiamo ad un insieme di persone molto
variegato tra loro. All'interno della sensibilità di sinistra c'è una reale
volontà di entrare in Europa, anche se negli ultimi dieci anni si sta
obiettivamente riducendo. D'altronde l'Europa in questo momento non offre
prospettive molto allettanti. Dall'inizio degli anni 2000 in poi i turchi,
compreso il mondo degli affari, cercano nuovi mercati e nuove strategie di
sviluppo, il loro interesse verso l'UE è decrescente.
Dopo
anni di negoziati e tira e molla, i turchi si sentono europei?
Per
noi il sentimento di appartenenza all'Europa è ormai naturale, la nostra
generazione è cresciuta con questa idea. Nel caso turco la situazione è un po'
più complessa, sebbene Ankara fosse già dal 1963 nella prospettiva di integrare
gli embrioni della futura UE. Ha ottenuto lo statuto di candidato all'adesione
nel 1999 e durante gli anni che hanno preceduto questo riconoscimento la
popolazione turca manifestava apertamente il desiderio di sentirsi europea.
Anzi, le difficoltà interposte all'adesione da molti Stati UE sono state
vissute come un'ingiustizia: i turchi si sono sentiti strumentalizzati, l'Ovest
e la Nato si sono serviti di loro durante la Guerra Fredda e poi li hanno
scaricati. Dirigenti politici e imprenditori erano consapevoli dei servizi
offerti in ottica anti-comunista e si aspettavano qualcosa di più in
contropartita.
Eppure
in Europa sono ancora in molti a pensare che, a causa della loro storia e della
loro cultura, i turchi non possano trovare posto nell'UE..
Invece,
è proprio in virtù della loro storia che i turchi si sentono europei. L'impero
ottomano è stato essenzialmente un impero europeo, fin dal XIV secolo.
Conservatori, nazionalisti e islamisti ritengono che quest'Europa ottomana sia
un'eredità imprescindibile, al contrario di quanto si pensa e si dice nel
Vecchio continente.
L'UE
è in crisi. Ankara non ha piuttosto interesse a girare lo sguardo altrove, in
cerca di altri paesi più promettenti in termini di crescita e sviluppo?
Dei
tentativi sono stati fatti anche in passato, specialmente dal primo governo a
colorazione islamista di Necmettin Erbakan, tra il 1996 e il 1997, per formare
un'unione dei paesi musulmani in via di sviluppo. Unione - conosciuta come D-8
- che era costituita da paesi molto diversi, dalla Nigeria alla Malesia.
Nonostante i grandi mercati, almeno potenziali, rappresentati, il tentativo non
è andato a buon fine.
Ce
n'è stato un altro, dopo la dissoluzione dell'URSS, per creare una grande
intesa commerciale turcofona che inglobasse tutti gli Stati dell'Asia centrale.
L'intesa ha funzionato meglio in questo caso e ci sono tuttora numerosi
investimenti turchi nella regione. Può essere un'alternativa, per il futuro, ma
ha bisogno di tempo per strutturarsi.
Infine,
ci sono stati vari tentativi di integrazione con i mercati arabi. Ma i turchi,
sebbene musulmani, non sembrano avere troppe affinità con questo contesto. Allo
stesso tempo non possono ignorarlo, sono i loro vicini. Così gli investimenti
sono aumentati negli ultimi anni e, malgrado una certa instabilità conseguita
alle "primavere", si vedono sempre più imprenditori turchi in paesi
come Algeria, Egitto e Tunisia.
Rilanciando
i negoziati, l'Unione Europea ha tenuto a sottolineare gli avanzamenti
democratici compiuti da Ankara. Eppure, la Turchia è ancora un paese dove le
minoranze sono perseguitate e dove una recente rivolta popolare è stata repressa
con la violenza. Come valuta il discorso dell'UE su questo punto?
Piuttosto
disarmante. L'Unione Europea si è focalizzata sugli eventi di giugno,
constatando che ci sono stati eccessi da parte della polizia, ma ha ritenuto
che la situazione sia ormai risolta. Invece, ha chiuso completamente gli occhi
sulla repressione ferrea in atto dal 2009 che ha causato l'arresto di quasi 10
mila detenuti di opinione.
La
Turchia è il secondo paese al mondo per numero di giornalisti in prigione.
Alcuni processi vanno avanti da anni ormai, la libertà condizionale viene
concessa con il contagocce e non c'è quasi nessuna speranza di proscioglimento
per gli oppositori politici.
Allora
perché questo discorso pronunciato dall'UE?
Ce
lo chiediamo un po' tutti. Dopo le reticenze del passato, sembra esserci
un'eccessiva compiacenza nei confronti del governo turco. Anche i grandi media
europei tacciono sulla situazione turca, mentre attualmente l'esecutivo di
Erdogan porta avanti una campagna di repressione contro le forze dissidenti
della società civile quasi comparabile a quella condotta da Putin in Russia.
Noi
critichiamo Putin ma rimproveriamo in maniera leggera Erdogan, adottando un
atteggiamento di "due pesi due misure" riprovevole dal mio punto di
vista. Quel che è peggio, c'è da temere che l'Europa stessa si stia
"turchizzando", nel senso poliziesco dell'espressione. Con il
pretesto della lotta al terrorismo si giustifica un livello di repressione
sempre più alto.
(Traduzione pubblicata in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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