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lunedì 18 novembre 2013

Fi-Sahara. La tenda della convivenza

Il Festival di cinema internazionale del Sahara è riuscito a riunire un regista marocchino, un atleta saharawi, un regista israeliano e un disegnatore informatico palestinese. Per sei giorni hanno mangiato allo stesso tavolo e dormito sotto la stessa tenda.
Traduzione dell'articolo di Pascual Serrano per La Marea

La storia è ricca di esempi di come l'arte, la scienza o lo sport siano riusciti ad avvicinare - a volte a unire - popoli che si erano sempre combattuti. La missione congiunta Apollo-Soyuz, nel 1975, permise alla navicella sovietica di incontrarsi e affiancarsi a quella statunitense, facendo in modo che astronauti di nazioni rivali passassero nello spazio da una parte all'altra, cosa ben più difficile da concretizzare - al tempo - tra i rispettivi Stati sulla terra.

Altro esempio, giocatori Usa e cinesi insieme sullo stesso tavolo per quella che è passata alla storia come la "diplomazia del ping-pong": l'avvio del disgelo nelle relazioni tra le due nazioni avvenuto nel 1970.

Quanto successo lo scorso ottobre al Fi-Sahara si può iscrivere in questa dinamica. Il cinema è riuscito a riunire sotto una stessa tenda un regista marocchino, un atleta saharawi, un regista israeliano e un disegnatore informatico palestinese. Una tenda della convivenza. E' accaduto durante i giorni della X edizione del Festival internazionale cinematografico del Sahara, organizzato nel campo profughi saharawi di Dakhla (Tindouf), situato in territorio algerino.

Mohamed Tayeb è cresciuto in un accampamento di rifugiati palestinesi in Siria. Da lì è emigrato in Europa fino ad insediarsi in Spagna, dove ha coltivato le sue doti grafiche. Prima i cartoni animati e adesso, assieme ad altri colleghi, ha creato il videogioco Zaytun, con protagonista proprio un rifugiato palestinese.

Durante il festival ha tenuto alcune lezioni ai giovani saharawi ed ha cercato un confronto sulle evoluzioni del suo gioco interattivo. Zaytun accoglierà presto nuovi personaggi, tra cui un profugo saharawi che affiancherà la combriccola di palestinesi, iracheni, zapatisti messicani e via via tutti gli oppressi e umiliati dalla geopolitica mondiale, gli eroi di Tayeb.

Quanto alla sua convivenza con gli altri ospiti del festival, Mohamed dichiara: "non è importante tanto per il reciproco scambio di informazioni che avviene, quanto per la bellezza di condividere almeno un tratto di strada assieme. E' un primo passo".

Il regista israeliano Guy Davidi ha diretto assieme al palestinese Emad Burnat il documentario "5 broken cameras", candidato agli Oscar. "Un lavoro condiviso - spiega Davidi - "ciascuno con compiti differenti. Io ho girato le immagini e messo per iscritto la sceneggiatura, ma la storia è di Burnat". Come prova dell'incomunicabilità tra popoli racconta che "per un israeliano, entrare in territorio algerino è illegale. In pochi hanno avuto la possibilità di farlo. Io come conseguenza - fino ad ora - ho dovuto subire le critiche aperte del mio governo".

Riguardo al conflitto arabo-israeliano, Davidi sottolinea che "ci sono molti attivisti in Israele a favore della pace e del rispetto dei diritti umani. Non c'è una soluzione magica al conflitto, ma strade diverse, ognuna delle quali ha ostacoli gravosi da superare". "D'altra parte - aggiunge - molta gente che crede nella soluzione pacifica non è abbastanza determinata per lottare e andare fino in fondo".

Alla domanda se ritenga una buona idea che i quattro rispettivi capi di governo si siedano sotto una stessa tenda come hanno fatto loro, Davidi risponde: "gli farebbe bene senz'altro prendersi un tè tutti assieme, anche se per me la storia non la fanno i dirigenti ma i popoli".


"La soluzione ideale sarebbe la tenuta del referendum"

Il marocchino Nadir Bouhmouch ha scritto, diretto e prodotto il documentario "My Makhzen & Me" incentrato sul movimento di protesta 20 Febbraio, affermatosi nel suo paese durante l'onda lunga delle "primavere arabe". "In Marocco non c'è democrazia, il governo non ha poteri. A comandare è il sovrano e la sua corte di amici e consiglieri", afferma il regista.

Nadir è il co-fondatore del movimento di disobbedienza artistica Guerrilla Cinema, nato dall'esigenza di denunciare le regole e il controllo imposti dalle autorità sulla creazione cinematografica, "una restrizione alla libertà di espressione".

"Bisogna chiedere un'autorizzazione per poter girare un film, e noi - in segno di protesta - facciamo riprese rubate, senza permesso e su temi che mai sarebbero accettati dalla censura istituzionale".

Rispetto al conflitto tra Rabat e la RASD (Repubblica araba saharawi democratica), Nadir assicura che in Marocco "intere generazioni sono state indottrinate sulla marocchinità del Sahara Occidentale. Solo una piccola parte riesce a maturare una riflessione critica. Inoltre, se i miei concittadini conoscessero le condizioni in cui vive il popolo saharawi sono convinto che appoggerebbero la sua domanda di autodeterminazione".

Per Bouhmouch "l'ideale sarebbe la tenuta del referendum [previsto dalla tregua conclusa sotto l'egida dell'ONU nel 1991, ndt]. Se lo avessero fatto - come da programma - dopo il cessate-il-fuoco, i saharawi avrebbero avuto l'indipendenza. Il governo marocchino, consapevole che il voto non avrebbe mai sancito l'annessione, ha deciso di rinviarlo all'infinito".

Hmatou Salah Ameidan è nato a Laayoune (città di riferimento del Sahara Occidentale sotto controllo marocchino) nel 1982. Fondista, ha conquistato numerosi trofei internazionali prima di diventare il protagonista del film "The runner". Dopo aver vinto l'ennesima gara con la maglia della nazionale marocchina, Hmatou è dovuto partire in esilio poiché colpevole di aver mostrato una bandiera saharawi sulla linea del traguardo.

"Il film si fa portavoce del mio messaggio - spiega Ameidan - il messaggio di un atleta che tramite lo sport ha cercato di accendere i riflettori sulla causa saharawi e sulle violazioni che il mio popolo continua a subire".

Il documentario è stato proiettato in vari paesi europei e per la prima volta viene diffuso sul suolo africano. Rispetto alla sua esperienza sotto la tenda della convivenza, Hmatou dice: "Sono orgoglioso che un marocchino sia qui al mio fianco. E' un successo sulla strada dell'avvicinamento dei nostri popoli e un fatto che permette di smentire le falsità propagandate dal regime di Rabat".

Per sei giorni e sei notti questi quattro ragazzi hanno mangiato allo stesso tavolo, hanno dormito sotto lo stesso telo ed hanno passeggiato assieme per il deserto, chiacchierando per ore di fronte allo schermo del festival. L'augurio è che in futuro il resto dei loro compatrioti - politici compresi - comincino a seguire il loro esempio.

(Traduzione pubblicata in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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