"Non
smetteremo mai di cantare. Abbiamo fatto una scelta: la nostra battaglia è
attraverso la musica e la poesia. Se il nostro popolo parla della natura, noi
faremo altrettanto; se parla di pace, anche noi parleremo di pace, ma se parla
di guerra lo sosterremo con i nostri strumenti" (Eyadou ag Leche).
Impossibile
separare i Tinariwen (plurale di tenéré,
"deserto" in tamashek) dalla storia e dal patrimonio culturale tuareg.
I fondatori del gruppo sono originari di Tessalit, nord est del Mali, ma hanno
trascorso gran parte della loro vita tra le comunità in esilio nel territorio
libico e algerino. Un'esperienza che ne ha determinato tanto il percorso
artistico quanto il bagaglio militante che da trent'anni li accompagna nelle
loro performance.
"Le
frontiere non significano niente per noi. Anche se le nostre famiglie sono
rientrate in Mali di recente per stabilirsi nella regione montuosa dell'Adrar,
continuiamo a sentirci abitanti del grande Sahara", afferma il bassista
Eyadou.
Canto
di rivolta, di erranza e d'amore, la musica dei Tinariwen sfugge ai confini e alle
facili classificazioni. Blues del deserto, tindé
moderno, al-guitara, tante sono le
definizioni che cercano di riassumere il matrimonio tra le sonorità elettriche di
chitarre e amplificatori, e i ritmi tradizionali dei canti collettivi e della
poesia salmodiata berbera.
I
Tinariwen, pionieri di un genere sempre più diffuso e apprezzato ben al di
fuori delle distese sabbiose del Sahel, preferiscono tuttavia parlare di musica
assouf, termine che rimanda a un
sentimento contrastante di nostalgia e benessere. O meglio di musica ishumar, mezzo di espressione poetico e
politico che ha dato voce, a partire dagli anni ottanta, al movimento di
contestazione delle giovani generazioni tuareg confinate nel sud algerino.
Nell'arco
di un ventennio il gruppo è passato dal kalashnikov al Grammy Award (2012), ma
non ha mai perso l'attaccamento alle proprie radici. "La testa e i
pensieri, in questo momento, vanno al nostro popolo, all'Azawad e alle
durissime condizioni dei rifugiati. Continueremo lo stesso, però, a salire sul
palco, il canto e la musica sono i nostri strumenti di lotta. Le nostre armi di
resistenza culturale e politica".
Teshumara
La
colonizzazione prima e poi la creazione di Stati nazionali (seguita
all'indipendenza di Mali, Niger e Algeria) ha significato l'interruzione del
continuum spaziale e culturale nell'area sahelo-sahariana. Per le popolazioni
semi-nomadi tuareg, dedite essenzialmente ad un'economia pastorale e di
scambio, tutto questo si è tradotto in una regressione della libertà di
circolazione e, di conseguenza, in una crisi sociale e politica profonda,
sfociata in ribellioni e in un clima di costante tensione nei confronti dei
governi centrali (Bamako e Niamey).
Ricercatori
come Boilley, Claudot-Hawad e Lecoq hanno tracciato con precisione questa fase
'turbolenta', segnata dalla fuga dei Kel Adagh negli anni sessanta - insorti
contro l'inclusione del loro territorio nei confini maliani e poi massacrati
dall'esercito - o dagli esodi massicci durante le carestie degli anni settanta.
Migliaia
di tuareg hanno finito così per 'sedentarizzarsi' nei sobborghi di Gao, Kidal,
Agadez e nelle baraccopoli della 'diaspora' algerina. E' nella desertica
Tamanrasset infatti, dove si concentra una tra le maggiori comunità di
rifugiati, che i giovani tuareg in cerca di un futuro - come Ibrahim ag
Alhabib, tra i fondatori dei Tinariwen - iniziano ad essere apostrofati con il
termine ishumar o shumara, dal francese chômeur (disoccupato). Una parola che perderà
velocemente il suo significato d'origine per collocarsi in un nuovo immaginario
militante e per distinguere una nuova forma resistenza, la teshumara.
"Teshumara identifica uno stato d'animo, un
modo di vita, una corrente ideologica e una visione politica che si sviluppano
ai margini della società tuareg", precisa l'antropologa Claudot-Hawad.
Le
generazioni cresciute in esilio elaborano, nel corso degli anni ottanta, una
riflessione critica radicale che poggia le basi sulla riscoperta dell'identità
per far fronte alla dispersione e su nuove strategie di lotta. Il movimento in
gestazione prende forma in Libia, grazie al sostegno - per nulla disinteressato
- di Gheddafi, dove musicisti e giovani disoccupati diventano soldati e vengono
formati alle tecniche di combattimento moderne.
Comincia
così un periodo di attivismo accanito, di preparativi e di interconnessioni che
porteranno all'offensiva armata dei primi anni novanta, la tanakra ("risveglio, sollevazione"). E' in questa fase che
si assiste alla trasformazione di una realtà informale in un'organizzazione
politica, strutturata attorno ad un obiettivo definito (l'autodeterminazione
tuareg) e accompagnata da un nuovo fermento socio-culturale, incarnato proprio dalla
musica ishumar.
Dal tindé a al-guitara
Tra
le prime generazioni di ishumar, un
gruppo di artisti riesce a mettersi in evidenza per la profondità delle loro
composizioni poetiche e per l'utilizzo di uno strumento ancora inedito tra le dune
del deserto. Si danno il nome di Taghreft
Tinariwen, ma per il pubblico saranno da subito i Tinariwen (il termine
esprime una connotazione 'politica' di appartenenza al territorio).
Ibrahim
e compagni abbandonano il tradizionale liuto a tre corde per far spazio alle
chitarre, probabilmente influenzati dal repertorio cabilo dell'epoca. Lo stesso
Ibrahim "Abaraybone" racconta di aver cominciato la sua formazione
musicale strimpellando una chitarra 'artigianale', fabbricata con un manico
attaccato a un bidone.
Se
il loro stile verrà presto identificato con la preponderanza delle sonorità
moderne (tanto che molti lo battezzano al-guitara)
i Tinariwen non rinunciano però all'apporto delle melodie locali per dare
completezza al nuovo genere.
Negli
accampamenti di Tamanrasset, infatti, le donne tuareg - a cui nelle occasioni
di festa sono riservate forme specifiche dell'espressione musicale (tamburi,
battito di mani, canto ritmato) tindé
- partecipano alle esibizioni degli ishumar
e declamano in pubblico le loro gesta. Alcune coriste, interpreti di questo neo-tindé 'politicizzato', entrano così
a far parte del gruppo. Le loro voci, e gli strumenti tradizionali che le
accompagnano, contribuiscono a sfumare le atmosfere elettriche della band.
Ma
come riuscire a collegare una chitarra elettrica al suo amplificatore in pieno
deserto? "All'inizio utilizzavamo dei generatori a batterie - spiega Abaraybone
- e gli amplificatori erano ricavati da vecchie radio transistor. Con il tempo
siamo passati ai gruppi elettrogeni alimentati a benzina".
Gli
anni ottanta costituiscono il periodo più fecondo per i Tinariwen in termini di
composizione e esibizioni live, anche se bisognerà aspettare quasi un ventennio
perché il gruppo decida di assumere una dimensione più 'professionale'. I
musicisti tuareg, come gli altri ishumar,
si considerano al servizio della lotta in preparazione e vivono seguendo il
ritmo della sua evoluzione.
I
loro testi impegnati servono a raccontare le sofferenze, la condizione di
marginalità ma soprattutto a risvegliare la coscienza tra le popolazioni in
esilio. I bivacchi serali attorno al fuoco (zahuten)
sono le occasioni di incontro e di scambio dove diffondere i versi della teshumara, mentre artisti e attivisti
davano vita ad un nuovo nomadismo 'sotterraneo' per veicolare il messaggio di
rinascita e emancipazione tra le comunità sparpagliate in tutto il Sahel.
"Amici miei, ascoltate e
capite/Sappiate che esiste un solo paese che ci unisce/una sola fede e un solo
obiettivo/Unitevi in una sola mano/Conoscete la sofferenza/ci imprigiona e non
ci lascia via di scampo/a meno che non mi ascoltiate/(..)/Alziamoci e
prendiamoci cura del nostro paese/là dove le nostre tende giacciono
distrutte".*
Chitarra e kalashnikov
Sempre
negli anni ottanta, in seguito all'apertura delle frontiere libiche e l'inquadramento
militare fornito da Tripoli ai tuareg, cambia il volto di una teshumara fino ad allora clandestina, appena
sussurrata, e vengono poste le premesse per l'insurrezione armata. Le caserme e
i campi di addestramento costituiscono nuovi spazi educativi, non solo sul
piano bellico ma anche su quello culturale (studio delle lingue straniere) e
ideologico.
"Se
l'esercito tuareg riuscisse a capirsi e ad unirsi/vincerebbe tutte le
battaglie/contro gli occidentali e contro i musulmani/Quattordici soldati/si
sono trovati di fronte alle milizie francesi/appostate in una montagna
pericolosa/Si sono battuti in modo fiero/Voi che rimanete, che cosa ne dite?/La
nostra rotta è verso l'avvenire/Che lo vogliate o no".*
I
membri dei Tinariwen non si sottraggono a questo destino. Imbracciano il
kalashnikov, alternandolo alla chitarra, e continuano a scrivere e suonare canzoni,
che acquisiscono sempre più il carattere di un bollettino politico.
Allo
stesso tempo l'eco dei loro testi si amplifica, grazie all'intervento
propulsivo delle audiocassette, che si affermano come 'un media di riferimento'
per un movimento ormai sul piede di guerra.
"I
nostri primi nastri - su cui sono incise anche lunghe introduzioni e commenti,
ricorda Abaraybone - possono essere considerati delle lettere spedite al nostro
popolo. Utilizzavamo la musica per fare appello alla solidarietà, alla
preservazione della nostra cultura e della nostra storia".
Quando
inizia l'offensiva nelle regioni settentrionali del Mali, i musicisti partecipano
alla 'rivoluzione' a lungo invocata. Si uniscono agli scontri, dove gli insorti
tuareg sono opposti alle forze governative. Schierati in prima linea,
compongono versi che hanno il sapore di 'cronache dal fronte'. Versi in cui
matura la disillusione per un'impresa destinata a naufragare in poco tempo.
"Il
nemico è nei paraggi/e non abbiamo possibilità di nasconderci/Non abbiamo acqua
né otri/e nemmeno una strategia di indipendenza".
"Lo stupore mi colpisce/di
fronte a genti incapaci di unirsi/Contro di loro si sono alleate/la sete, il
vento, la siccità e il sole".*
Dopo
l'apertura ufficiale dei negoziati (1991), il movimento si divide fino a
raggiungere l'implosione. I Tinariwen vengono presi nella tormenta e la stessa
unità del gruppo ne risente. I suoi membri, rientrati in terra d'esilio, attenderanno
qualche hanno prima di deporre le armi e decidere di dedicarsi interamente alla
musica. Seguiranno a lottare per il loro popolo, ma per farlo sceglieranno questa
volta lo strumento con cui si sentono più utili alla causa: non più il fucile
bensì la chitarra.
Alla
fine degli anni novanta, dopo un ricambio generazionale all'interno della
formazione, i musicisti entrano in studio con regolarità e stringono sodalizi
con gruppi e produttori internazionali. Nel 2002 arriva il primo 'vero' album The Radio Tisdas Sessions, a cui seguono
altri quattro cd e un crescente riscontro di pubblico.
Intanto
l'esperienza dei Tinariwen, il loro stile e la loro poetica, fanno scuola. I vecchi
ishumar hanno gettato le basi per
l'insegnamento e la diffusione della chitarra ed oggi decine di band e
musicisti in tutto il Sahel cercano di seguire le tracce dei loro mentori, continuando
a mettere in versi dubbi, passioni e illusioni. (Si consiglia in proposito la visione
del documentario "Teshumara: les guitares de la rébellion touareg", nda)
"Se avessero
ascoltato le parole delle nostre canzoni…"
L'ultimo
album registrato dalla band tuareg - Tassili
(2011) - è stato insignito del Grammy Award nella categoria world music. Negli
ultimi anni il blues del deserto - calcato sull'andatura ondeggiante dei
dromedari e sulle atmosfere interminabili che abitano le dune - ha ottenuto
riconoscimenti importanti e un notevole successo commerciale, mentre le
composizioni hanno assunto un carattere sempre più filosofico e introspettivo.
I
Tinariwen correrebbero dunque il rischio di essere 'contaminati' dalle rock
stars? No, stando almeno alle parole del produttore francese Jean-Paul Romann.
"Ibrahim e gli altri non vogliono abbandonare il loro deserto. Non sono
mossi da particolari ambizioni personali. Semplicemente, approfittano della
notorietà per dare più forza al loro messaggio e per sensibilizzare gli
ascoltatori sulla tragica situazione vissuta dai tuareg".
Del
resto "la semplicità è libertà", ha sempre ribadito Ibrahim
Abaraybone, e le nuove melodie - seppur meno dirette e pungenti dei primi
'canti di rivolta' - non hanno perso il loro sguardo critico sulla realtà.
"Quest'anno
ho toccato il fondo/la mia anima ha sete, datemi da bere/Dove io dormo non ci
sono esseri viventi/Domando ai miei tormenti di lasciarmi in pace/(…)/Chi ha
messo in questo mondo così tanta disuguaglianza?/Chi ha fatto dell'amore una
purezza/che alcuni praticano senza sincerità/nascondendo il loro tradimento
dietro mille volti?".**
L'insurrezione
del Mouvement national de liberation de l'Azawad (MNLA) ad inizio 2012 e la
conquista dei territori del Mali settentrionale (Kidal, Gao, Timbouctou) ha
raccolto il sostegno immediato di alcuni membri del gruppo, fieri che il popolo
tuareg abbia infine "rialzato la testa, dopo le ennesime promesse non
mantenute da Bamako".
"Se
avessero ascoltato le parole delle nostre canzoni non saremmo mai arrivati a
questo punto. Siamo un popolo pacifico, ma siamo anche stufi di farci mettere i
piedi in testa. Da cinquant'anni chiediamo scuole per i nostri figli, pozzi per
gli animali, il diritto di vivere e muoverci nel nostro spazio e quello di
veder riconosciuta la nostra lingua e la nostra cultura. Non abbiamo ancora
ottenuto niente", spiega il bassista Eyadou ag Leche, che poi precisa:
"sappiamo che questa situazione non è imputabile al popolo maliano, con
cui ci sentiamo in profonda coesione, bensì alle autorità che si sono rifiutate
di mettere in pratica gli accordi (per lo sviluppo delle regioni a maggioranza
arabo-berbera e maura, nda) conclusi
a seguito delle rivolte precedenti".
Durante
i concerti dei Tinariwen le bandiere dell'Azawad, o più genericamente quelle amazigh,
sventolano numerose tra il pubblico e a volte compaiono perfino sul palco. Ma,
nonostante la loro esplicita vicinanza al fronte ribelle, i musicisti non hanno
mai fatto menzione di una loro affiliazione diretta al movimento. Il loro
impegno, al di là del piano musicale, sembra riversarsi più che altro nel campo
umanitario e assistenziale (raccolta fondi e donazioni, alla fine di ogni
esibizione, per le migliaia di profughi stanziati in Algeria e negli altri
paesi vicini). Soprattutto da quando sono divampati gli scontri tra gli
indipendentisti tuareg e i gruppi islamici radicali per il controllo del
territorio 'liberato' (aprile 2012).
Quanto
all'intervento militare francese per sostenere Bamako nella riconquista del
nord, i Tinariwen non si sono espressi pubblicamente sull'argomento. Ma le
dichiarazioni del bassista Eyadou, che respinge in maniera categorica l'associazione
tra il MNLA - 'laico' - e gli islamisti di Ansar Dine o degli altri nuclei
fondamentalisti, non sembrano lasciare dubbi in proposito.
"L'effettivo
controllo del nord del Mali da parte dei ribelli avrebbe ripercussioni dirette
sugli Stati vicini, dove sono insediate altre comunità tuareg e importanti
ricchezze minerarie. Facile allora fare di tutta l'erba un fascio e poi scagliarsi
contro i terroristi. Ma quando noi cercavamo di sollevare il problema su una
sospetta presenza islamista in Sahara, già diversi anni fa, nessuno ha voluto
ascoltarci".
*
Traduzione dei testi dal tamashek al francese in N. Belalimat, "Qui sait
danser sur cette chanson, nous lui donnerons la cadence. Musique, poésie et politique chez les Touaregs", in Terrain, n. 41, 2003.
**
Traduzione dal tamashek al francese a cura di N. Belalimat, disponibile sul
sito ufficiale del gruppo Tinariwen.
Nessun commento:
Posta un commento