Rabbia
e dolore. L'uccisione di una figura di spicco dell'opposizione rischia di far
precipitare il paese nel caos e nel vuoto istituzionale. Oggi, in concomitanza
con i funerali, è stato indetto lo sciopero generale. Ritorno alla piazza:
nuovo inizio o tramonto della rivoluzione tunisina?
Chokri
Belaid, avvocato militante e segretario del Movimento dei patrioti democratici
(MPD) è stato ucciso a colpi di pistola sotto la sua abitazione la mattina del
6 febbraio. Un "omicidio pianificato, eseguito da professionisti", lo
ha definito il compagno di lotta Hamma Hammami. Un omicidio politico.
Figura
di spicco dell'opposizione - prima al sistema Ben Ali e poi al governo della
troika (Ennahda, Cpr, Ettakatol) - Belaid aveva partecipato nei mesi scorsi alla
fondazione del Fronte Popolare assieme ad Hammami. La coalizione di sinistra
radicale, benché scarsamente rappresentata all'Assemblea costituente, si era
introdotta efficacemente nel duello tra l'esecutivo e i principali sconfitti delle
prime elezioni libere, riuniti dal vecchio guardiano bourghibista Beji Caid
Essebsi sotto la sigla Nidaa Tounes.
Così,
mentre la troika e Nidaa hanno trascorso i mesi della transizione scambiandosi
reciproche accuse - "cacicchi del RCD", "agenti
contro-rivoluzionari" le insinuazioni dei primi, "nemici delle
libertà", "fautori di una nuova dittatura religiosa" la risposta
degli altri - e facendo salire i toni di un confronto non soltanto politico, il
Fronte di Hammami e Belaid non ha perso di vista le priorità di una Tunisia
insorta in nome della dignità, riuscendo a tessere legami con le categorie e le
regioni marginalizzate. Con quella Tunisia profonda ancora in attesa di
cambiamento.
Nonostante
le responsabilità della sua professione, Belaid era un attivista di terreno
infaticabile, personaggio carismatico e di indubbia statura morale, che aveva
contribuito ai primi passi della transizione democratica post 14 gennaio come
membro della Haute instance pour la
réalisation des objectifs de la révolution.
Nessuna
sorpresa, dunque, quando alla notizia della sua morte migliaia di attivisti
hanno deciso di scendere in piazza in tutto il paese per esprimere il loro dolore
e la loro rabbia.
Dolore
e rabbia riversati contro le sedi del partito islamico e contro le forze di
polizia (un agente è rimasto ucciso), responsabili del tragico evento e simboli
di un potere reazionario agli occhi dei manifestanti, che hanno visto nell'omicidio
di Belaid un ulteriore segnale della deriva di Ennahda e un chiaro monito per
chi volesse ostacolarne gli interessi.
Ipotesi
a cui si sono aggiunte le cariche delle forze anti-sommossa sulla folla
radunatasi in avenue Bourghiba (di
fronte al Ministero dell'Interno) al grido dégage,
e il lancio di lacrimogeni con cui è stato accolto il corteo, alla presenza
della vedova Besma Khalfaoui, che stava accompagnando l'ambulanza
con le spoglie della vittima.
Photo Amine Boufaied (Nawaat) |
"Qualunque cosa mi accadrà, sarà il Ministero
dell'Interno ad esserne responsabile. E' lui che deve proteggere i cittadini",
aveva profeticamente dichiarato l'oppositore - negli ultimi tempi oggetto di
attacchi mirati sempre più frequenti - poche settimane prima di essere
assassinato.
La
sera precedente all'omicidio si era spinto anche più in là e, riferendosi all'agguato
delle leghe 'a protezione della rivoluzione' (maggioranza nahdaoui) contro il
meeting del suo partito al El Kef, aveva ammonito in diretta su Nessma TV: "non bisogna abituarsi alla violenza
politica, cauzionata dalle autorità con il loro lassismo. Abbiamo bisogno di
pace per portare a termine il cambiamento".
Le
leghe, sempre più discusse e spesso definite milizie al soldo del partito
islamico, si erano già rese responsabili di altri episodi violenti, come gli scontri
a Tunisi con gli attivisti sindacali dopo la rivolta di Siliana e, episodio
ancor più grave, la morte di un rappresentante di Nidaa Tounes a Tataouine nell'ottobre
scorso. Per Belaid, l'appello del direttivo di Ennahda alla liberazione dei suoi
membri coinvolti nella vicenda, pubblicato pochi giorni fa, non era altro che
"un via libera al proseguimento delle aggressioni".
Photo Nawaat |
La
risposta, tragica, alle parole del leader non si è fatta attendere, e la
collera della popolazione (o meglio di una parte) si è ampiamente riversata sulla
compagine di governo. E' così che, nelle ore successive all'omicidio, già
cominciavano a circolare voci su presunte liste di 'obiettivi sensibili' da
eliminare diramate segretamente dal Ministero dell'Interno, sull'esistenza di ordini
impartiti da Ghannouchi e sulla probabilità di un futuro scenario all'algerina.
Ma
le conseguenze di questo "atto odioso", favoriscono davvero le
tentazioni egemoniche del partito islamico e dei suoi alleati?
Sembrerebbe
piuttosto che l'esecutivo in carica, peraltro già in calo di consensi, abbia molto
da perdere dal clima di destabilizzazione che sta imperversando nel paese.
Ai
rappresentanti di Ennahda va senz'altro imputato l'atteggiamento di "colpevole indulgenza" - come
ha ricordato il leader del fronte Popolare Hamma Hammami - nella mancata
protezione di un cittadino già oggetto di ritorsioni fisiche e politiche. La
responsabilità è evidente nelle pesanti ambiguità che hanno caratterizzato la gestione
del dossier sicurezza (in merito per esempio all'operato delle leghe) e nella
scarsa capacità di dominio dei vecchi apparati (da cui i ritardi
dell'applicazione di una efficace giustizia transazionale).
Tuttavia
avallare l'ipotesi di un coinvolgimento di Ennahda appare affrettato e
semplicistico, anche in considerazione del suicidio politico a cui sta andando
in contro.
La
strategia improntata al mantenimento ad oltranza di un potere in origine
'provvisorio' (quello emanato dalle elezioni della costituente) e all'accaparramento
'silenzioso' delle posizioni di comando, tradotto in ritardi nella creazione di
istanze indipendenti (media, giustizia) e nella nomina di personaggi fedeli al
partito alla testa delle amministrazioni pubbliche, è destinata a subire un duro
contraccolpo.
La
reazione del primo ministro Hamadi Jebali, che nella serata del 6 febbraio ha
annunciato la formazione di un governo tecnico e unitario fino all'approvazione
del testo costituzionale e alla tenuta di nuove elezioni, ne è la conferma.
Anche
se, tuttavia, l'iniziativa personale del numero 2 di Ennahda sembra condannata
a non avere seguito.
Infatti,
tanto i tenenti del partito islamico - intenzionati nonostante tutto a restare
al timone - quanto il capofila della principale forza di opposizione (Beji Caid Essebsi) - desideroso di accedervi al più presto - hanno subito
rigettato la proposta al mittente, ignorando gli appelli alla concertazione
rivolti nelle ultime ora da numerose personalità super partes.
"Oggi più che mai
il paese ha bisogno di elevarsi al di sopra delle logiche partigiane e delle
ambizioni personali, il presidente del Consiglio ha dimostrato di aver capito la
gravità del momento" scrive Farhat Othman
su Nawaat,
"onoriamo la memoria di chi ha dato
la vita per la Tunisia della rivoluzione, offrendogli in dono una vera
democrazia. Facciamo in modo che Belaid non sia morto invano".
Le
discussioni e gli incontri a palazzo presidenziale proseguono, ma appare sempre
più evidente, da un lato, l'indebolimento del governo (o di quel che ne resta) e
la frattura all'interno della sua formazione maggioritaria (tra i sostenitori
di Jebali e l'ala radicale), e dall'altro la prospettiva di un imminente vuoto
istituzionale. Se la decisione di sospendere la partecipazione all'assemblea
costituente adottata dalle opposizioni è stata letta inizialmente come una
forma di protesta legittima e comprensibile, gli appelli ad una sua immediata
dissoluzione piovuti da più direzioni (Nidaa, sindacato..) potrebbero, segnando
la conclusione prematura e indecorosa della prima esperienza democratica del
paese, innescare conseguenze ancor più negative.
"Sciogliere la
costituente - continua Ferhat Othman, in una tra le
analisi più lucide apparse in questi giorni - vuol dire andare nel senso tracciato dai criminali, preparare il
terreno ad un confronto. Una situazione accomodante per gli avatar del vecchio
regime, per i nostalgici e per i dittatori in fieri, di qualunque appartenenza
ideologica, che sognano un nuovo ordine liberticida".
Intanto,
non si fermano le contestazioni e gli episodi di violenza nelle strade della
capitale come nel resto del territorio nazionale. La cronaca è ancora quella di
un paese sotto choc. A ventiquattrore dalla morte del leader del MPD, nuovi
incendi hanno devastato le sezioni islamiste a Kelibia e Sfax, dove bande
armate non meglio definite
hanno saccheggiato alcuni quartieri della città, mentre la polizia è
intervenuta con gas lacrimogeni e un utilizzo sproporzionato della forza a
Gafsa e a Tunisi.
Photo Lengliz Nejib (Nawaat) |
Gli
scontri e i disordini di ieri, le infiltrazioni dei cortei e la perpetuazione
degli atti di vandalismo non esenti da manipolazioni non lasciano presagire
nulla di buono in vista della giornata di sciopero generale indetta per oggi
dall'UGTT, in concomitanza con il funerale di Chokri Belaid. L'iniziativa del
sindacato punta a riaccendere il fervore rivoluzionario, in verità mai sopito,
e far tornare la piazza protagonista "come nei giorni del gennaio
2011".
Ma
la genuinità di una protesta che ha tutto il diritto di chiedere giustizia e di
mettere a nudo l'incompetenza dimostrata dalle autorità nel far fronte ai
bisogni primari della popolazione (trasparenza decisionale, miglioramento delle
condizioni socio-economiche), corre il rischio di perdersi - visti i toni
assunti nelle ultime ore - in un'esasperata polarizzazione o peggio in uno
sterile regolamento di conti, in cui a passare in secondo piano sarebbero
proprio le reali esigenze del popolo tunisino.
L'attacco
all'attivista Sihem Bensedrine
- 'colpevole' di aver assunto in precedenti occasioni la difesa dei nahdaouis - o le minacce rivolte contro
i membri della troika intenzionati a partecipare alle esequie sono segnali inquietanti,
nonostante gli appelli alla calma diffusi dal leader del Fronte Popolare
Hammami.
Nell'attuale
fase di incertezza, la distanza tra il vuoto istituzionale e il caos
generalizzato potrebbe rivelarsi breve, tanto che - secondo alcuni osservatori
- sembra quasi che qualcuno stia giocando con il fuoco nell'obiettivo di
raccogliere le ceneri di un paese lacerato.
Furono
proprio la minaccia dell'instabilità, la frustrazione e il malessere sociale
che nel 1987 spianarono la strada all'instaurazione di un regime totalitario e
repressivo, lasciando carta bianca ad un 'salvatore' in grado di garantire
sicurezza e governabilità.
Letta
in questa prospettiva la commemorazione di un nuovo martire per la libertà, un
momento che dovrebbe spingere tutte le parti coinvolte a fare un passo indietro,
gettando le basi per un ritorno ai principi rivoluzionari di solidarietà ed
emancipazione sperimentati nelle giornate della 'kasbah 1' e della 'kasbah 2',
potrebbe all'opposto innescare il loro definitivo tramonto.
(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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