"Il
'peccato originale' della Troika è non aver delimitato in maniera precisa le
competenze e la durata della Costituente e del governo provvisorio. La gestione
del potere opaca e verticistica, che poco si addice ad una democrazia in
gestazione, non ha fatto che aumentare sfiducia, sospetti e accuse nei suoi
confronti".
A
due settimane dall'omicidio
dell'oppositore Chokri Belaid il futuro della transizione tunisina è sempre più
incerto. L'iniziativa del premier Hamadi Jebali, volta alla formazione di un
governo di 'tecnici' in carica fino alla tenuta delle prossime elezioni, non ha
ottenuto il sostegno sperato e il primo ministro dovrebbe rimettere oggi il suo
mandato nelle mani del Presidente della repubblica, intenzionato tuttavia a
proseguire le concertazioni.
Il
contesto, intanto, è quanto mai delicato. La polarizzazione tra la coalizione
di governo (la Troika), non intenzionata a lasciare le posizioni di comando seppur
in calo di consensi e sulla via dello sfaldamento, e le opposizioni, pronte a
cavalcare la crisi per estromettere i rappresentanti eletti nell'ottobre 2011, sembra
difficile da ricucire per poter giungere ad un'intesa condivisa.
L'instabilità
politica del paese ha subito una netta accelerazione in seguito all'uccisione
di Belaid e al ritorno della violenza, "ma affonda le sue radici almeno un
anno e mezzo prima, nel momento della creazione dell'Assemblea nazionale
costituente (Anc)". Ne abbiamo discusso con il professor Eric Gobe, da
anni studioso delle dinamiche politiche e sociali tunisine e caporedattore
della rivista L'Année du Maghreb fino
al dicembre scorso.
Poco
più di un anno fa, stilando un bilancio
della rivoluzione in occasione del primo anniversario della fuga di Ben Ali,
lei ha affermato che la Tunisia "non sarà mai più come prima". E'
sempre dello stesso parere?
Niente
è più come prima, lo ribadisco. La Tunisia non può più tornare come era prima
del 14 gennaio 2011, ma questo non significa che alla fine del periodo di
transizione il paese disporrà automaticamente di un ordinamento democratico. Il
timore che si producano dei colpi di mano, di qualsiasi colore o provenienza,
c'è. Ma l'esperienza accumulata, la memoria politica - della dittatura prima e della
sollevazione popolare poi - la sperimentazione dei primi strumenti democratici
- con tutti i limiti del caso - l'esercizio delle libertà conquistate - pur non
ancora consolidate - costituiscono un'eredità indelebile con cui da ora si
dovrà fare i conti. Qualunque sia il tipo di governo che si instaurerà dopo
questa fase di profonda incertezza.
L'instabilità
politica, per quanto inevitabile in una fase di transizione, ha subito una
netta accelerazione dopo l'omicidio di Chokri Belaid. Come si è arrivati a
questo punto?
E'
necessario ripercorrere le ultime tappe, partendo dalla creazione
dell'Assemblea nazionale costituente, a cui è stato assegnato un mandato
ambiguo. Da una parte ha il compito di redigere la nuova costituzione e
dall'altra ha subito acquisito lo status di assemblea legislativa, senza che
gli stessi costituenti si preoccupassero di limitarne la durata in modo chiaro.
Tutto questo, mentre il decreto di convocazione delle elezioni (23 ottobre
2011) precisava che l'Anc sarebbe restata in carica un solo anno, tempo
ritenuto sufficiente per la stesura della nuova carta.
Se
la Troika (Ennahda,
Cpr,
Ettakatol)
ha approfittato di questa ambiguità per spartirsi cariche e potere, le
opposizioni non hanno perso tempo a mettere in discussione, soprattutto negli
ultimi mesi, la legittimità delle istituzioni ritenute "transitorie".
Le problematicità del rilancio economico e la presenza di forti e ripetuti
movimenti di contestazione sociale ha poi aumentato il clima di instabilità.
E'
così che il governo, in difficoltà nella gestione del paese, ha cercato di
strumentalizzare certe realtà più o meno marginali - come le Leghe per la
protezione della rivoluzione (Lpr) o i gruppi detti salafiti - per regolare
conti con le opposizioni e i dissensi più fastidiosi, anche in modo aggressivo
e violento.
In
questo senso, l'omicidio di Chokri Belaid non è il primo campanello d'allarme (scontri
tra Lpr e membri di Nidaa Tounes avevano portato alla morte di un
rappresentante del partito di opposizione a Tataouine nel novembre scorso, nda) anche se certamente è il primo
episodio a toccare una personalità di statura nazionale. Non tanto per il peso
politico del Fronte popolare, quanto piuttosto per il carattere emblematico
della sua figura, un avvocato tra i più attivi durante le proteste che portarono
alla caduta di Ben Ali.
La
responsabilità dell'omicidio Belaid è quindi da imputare a Ennahda?
La
Troika e soprattutto Ennahda, che controlla quasi tutti i ministeri di
sovranità, sono i maggiori responsabili della situazione. Molti osservatori
concordano nel sostenere che le Lpr annoverano tra le loro fila simpatizzanti
dell'attuale governo, ma nella maggior parte dei casi le leghe sono formate da
uomini di mano e non hanno un'ideologia da difendere. Ricordano sempre più da
vicino la baltajia egiziana all'opera
durante la protesta di piazza Tahrir. Più che una milizia parallela, le leghe sembrano
ormai elettroni liberi in grado di sfuggire al controllo di chi vorrebbe
servirsene (le recenti dimissioni
dei vertici delle Lpr potrebbero confermare questa affermazione, nda).
Perché
le autorità non hanno mai accettato la loro dissoluzione? Perché hanno permesso
che all'interno di alcune moschee o su certe stazioni radiofoniche continuassero
a circolare appelli alla violenza senza che gli autori venissero perseguiti per
i loro propositi? In questo senso parlo di responsabilità, non di mandanti o
esecutori.
Tra
l'altro, la storia insegna che il ricorso alle milizie
non è un fenomeno nuovo in Tunisia. Se ne servì il Neodestour di Bourghiba per
"raddrizzare" i dissidenti all'interno del movimento nazionale prima
e dopo l'indipendenza, e Ben Ali nei primi anni dopo il colpo di Stato.
Oltre
alle Lpr, lei ha parlato di strumentalizzazione dei 'salafiti'. Qual è
l'incidenza di questo fenomeno?
Per
prima cosa vorrei precisare che le leghe sono una cosa e i salafiti, corrente
politico-religiosa, un'altra. Sono due realtà distinte, fenomeni di differente
natura, anche se si possono avere in certe situazioni delle sovrapposizioni.
Una
parte di Ennahda non nasconde le sue simpatie nei confronti di questi gruppi e
le dichiarazioni di alcuni suoi leader detti 'radicali' mostrano una sorta di
compiacenza. In effetti, nonostante gli appelli alla violenza di alcuni shaykh e le azioni di forza condotte
all'interno delle università, il governo ha iniziato a prendere misure
repressive contro certi suoi esponenti solo dopo l'attacco all'ambasciata
americana di Tunisi del settembre scorso.
La
presenza di un'entità salafita si presta facilmente a diversi tipi di
strumentalizzazione. Da parte di Ennahda, per far pressione sugli alleati di
governo, da parte di alcune sue correnti per modificare i rapporti di forza
all'interno del partito, e ovviamente da parte dei detrattori della formazione
islamica, pronti ad agitare in ogni momento lo spauracchio della teocrazia.
Ora,
esprimere una valutazione sull'incidenza che i gruppi e l'ideologia salafita
hanno nella Tunisia post 14 gennaio è difficile. Dal punto di vista
quantitativo si tratta di un fenomeno di proporzioni ridotte, ma sul piano
qualitativo siamo di fronte ad una realtà estremamente attiva. E una minoranza
attiva è molto più visibile di una maggioranza silenziosa. In virtù soprattutto
della sovraesposizione mediatica, per nulla casuale, di cui gode.
La
radicalizzazione politica a cui stiamo assistendo riflette una reale
polarizzazione sociale tra "pro" e "anti" islamisti?
A
priori no, come testimoniato dai risultati
alle elezioni dell'Anc dove i partiti che hanno fatto campagna elettorale
agitando la minaccia islamista sono stati duramente sconfitti.
Ma nel corso dell'ultimo anno - e in modo ancor più evidente nel corso delle
ultime settimane - il susseguirsi di accuse e linciaggi, il ricorso alla violenza
fisica e verbale, alle dimostrazioni di forza, hanno rinsaldato una
polarizzazione politica che a lungo andare potrebbe generare una frattura ancor
più profonda a livello sociale.
Quale
responsabilità hanno le opposizioni nel deterioramento del clima politico e
dell'intero processo di transizione?
Una
responsabilità condivisa con la maggioranza, per quel che concerne la crescita
della radicalizzazione. Tuttavia, ancora una volta, la matrice del problema si
trova nella doppia natura dell'Anc e nell'ambiguità delle istituzioni
provvisorie.
Da
un punto di vista prettamente politico, infatti, Nidaa Tounes e il Fronte
popolare sono le opposizioni ufficiali e si comportano di conseguenza. Contrastando
l'azione di governo e cercando di aumentare il proprio seguito, come Ennahda ha
cercato di consolidare la sua posizioni procedendo a nomine nei posti chiave
delle amministrazioni. All'interno di un'assemblea legislativa, è normale che
l'opposizione faccia il suo lavoro di critica al potere, anche in modo intransigente
se necessario.
Ma
l'Anc è, o meglio avrebbe dovuto essere, prima di tutto una costituente. Un
contesto dove le rivalità e gli scontri, gli interessi di parte, sarebbero
dovuti passare in secondo piano rispetto alla definizione di un consenso, anche
minimo, sulla forma e i contenuti da dare al nuovo Stato. Era questa la
priorità, assieme alle riforme e agli investimenti in campo economico, che è
stata persa di vista in un processo già in sé delicato come la transizione.
Da
dove vengono e cosa rappresentano queste due opposizioni?
Nidaa
Tounes, guidata da Beji Caid Essebsi (burghibista e benalista della prima ora,
poi estromesso da incarichi di governo, nda)
è una coalizione di partiti eterogenei - che vanno da posizioni
liberal-conservatrici ai social-democratici dell'opposizione ufficiale al
vecchio regime (ex-PDP,
ex-Ettajdid)
- tenuti assieme dal comune richiamo alla matrice desturiana e dall'avversione
nei confronti dell'islam politico.
Qualunque
sia il giudizio morale sul passato di certi suoi esponenti, Nidaa rappresenta attualmente
una parte considerevole della società tunisina. Molto meno significativo è invece
il peso del Fronte popolare, espressione della sinistra radicale già attiva e
fortemente repressa sotto il vecchio regime (ex-PCOT).
Il Fronte - nonostante un certo apparentamento con il sindacato - ha un
ancoraggio sociale limitato, inversamente proporzionale all'attivismo dei suoi
leader. Da non confondere infatti è il ruolo che certi suoi rappresentanti
possono ricoprire al momento delle mobilitazioni (come a Gafsa o a Siliana) e
un'eventuale risposta elettorale della popolazione.
Se
da un lato si continua ad agitare lo 'spauracchio islamista', dall'altro si paventa
a gran voce un ritorno dell'RCD (il partito dell'ex presidente Ben Ali, nda)
sotto mentite spoglie. Come considera la retorica veicolata dalla Troika
all'indirizzo di Nidaa Tounes?
E'
un'argomentazione piuttosto banale. Il ricorso a uomini del vecchio regime è
una costante che si riproduce in tutte le transizioni, dove è impossibile fare
tabula rasa, e non sorprende che qualche vecchio 'fantino' tenti, più o meno
discretamente, di rimettersi in sella. Tanto più che gli elementi attivi sotto
il precedente sistema hanno ancora le loro reti e le loro influenze, un
capitale politico che fa gola sia a chi si trova al governo sia a chi sta
all'opposizione.
Quando
dico che la Tunisia non potrà più essere come prima mi riferisco anche a
questo. Nel caso in cui gli esponenti 'del vecchio regime' dovessero vincere le
prossime elezioni, non arriverebbero mai alle percentuali bulgare dell'epoca di
Ben Ali. Si troverebbero di fronte alla necessità di negoziare alleanze,
entrerebbero in logiche di confronto prettamente politiche, un terreno su cui
era impossibile avventurarsi prima del 14 gennaio.
Il
'riciclaggio' a cui si è assistito fin dai primi governi provvisori post Ben
Ali, non è una conseguenza della scarsa volontà ad instaurare un processo di
giustizia transazionale?
Come
dicevamo, le esitazioni sono spiegabili da un punto di vista politico - evitare
di estromettere chi può ancora servire - oltre che da riflessioni di carattere
etico: fino a dove è possibile spingersi per riparare e riconciliare, e dove si
otterrebbe l'effetto opposto? Siamo di fronte ad un nuovo terreno scivoloso che
potrebbe aumentare la frattura - e di conseguenza lo scontro - politico e
sociale.
Intanto
una sorta di giustizia di transizione 'indiretta', non dichiarata, è comunque
in atto. Agli ex dirigenti dell'RCD e a coloro che avevano ricoperto incarichi
ministeriali sotto Ben Ali era stata vietata la candidatura alle elezioni del
2011 (sebbene queste liste non siano mai state rese pubbliche). E' stata votata
la legge sull'indennizzo delle vittime del vecchio regime, è stata creata una
'Commissione martiri' all'interno dell'Anc e i tribunali militari stanno
giudicando alcuni quadri del ministero dell'Interno ritenuti responsabili delle
repressioni passate.
Resta
da vedere quanto le rivendicazioni della società civile, che esprime un rifiuto
netto dell'impunità e chiede un maggior investimento delle autorità su questo
punto, riusciranno a prevalere sull'esigenza di stabilità, soprattutto nella
situazione attuale.
Come
spiega il ricorso ai tribunali militari, criticato
sia all'interno del paese che dalle ong internazionali per i diritti umani?
E'
una dimostrazione che l'esercito ha preso potere e agisce in autonomia rispetto
alla politica, altro segno di discontinuità con il passato. Ciò non significa
che il suo giudizio sui quadri del ministero responsabili di violazioni sarà
più giusto o equo di quello che avrebbero emesso i tribunali civili. E' tutto
da vedere. Significa invece che i militari, dopo i giorni gloriosi del gennaio
2011 quando il generale Rachid Ammar fu accolto da liberatore a Tunisi, non
sono 'rientrati nelle caserme' lasciandosi estromettere come al tempo di Ben
Ali. Si sono allontananti dai riflettori, ma intendono controllare da vicino la
fase transitoria.
Altri
segnali rivelatori di questo nuovo paradigma sono la presenza del generale
Ammar nel 'consiglio dei saggi' su cui il premier Jebali si è appoggiato per
sostenere la formazione di un governo di unità nazionale e la condanna
dell'ex portavoce del presidente Marzouki - Ayoub Massoudi - per "attacco
alla dignità dell'esercito". Un'altra variabile, insomma, che complica
l'analisi e la comprensione della situazione attuale.
L'omicidio
di Chokri Belaid, intanto, ha sancito il fallimento della Troika che sembra
destinata all'implosione..
Dopo
un anno di attese, ritardi e temporeggiamenti, la Troika è ormai costretta a
confrontarsi con la realtà. Il 'peccato originale', lo sottolineo ancora una
volta, è quello di non aver delimitato in maniera precisa le competenze
dell'Anc e la sua durata, di non aver stabilito meccanismi chiari di
funzionamento e un tempo massimo entro cui sottoporre la costituzione
all'approvazione, del popolo o degli eletti.
Tutto
questo avrebbe contribuito a ridurre sfiducia, sospetti e accuse nei suoi
confronti, alimentanti fra l'altro da una gestione del potere opaca e
verticistica che poco si addice ad una democrazia in gestazione. Durante l'anno
e mezzo in cui ha governato si è avuta l'impressione - ed è ormai più che
un'impressione - che i ritardi nella realizzazione degli 'obiettivi della
rivoluzione' siano stati funzionali al consolidamento del potere in atto, un
potere all'origine 'transitorio'. Del resto, non molto tempo fa, un deputato
del Cpr (partito del Presidente Marzouki, nda)
si era lasciato scappare una piccola confessione in proposito: "quando si
è assaggiata una fetta della torta, il desiderio è quello di mangiarsela
tutta".
Quali
sono, a questo punto, le prospettive della transizione tunisina?
C'è
un concreto rischio di sfaldamento non solo per la Troika, ma anche per i singoli
partiti che la compongono, viste le profonde divergenze interne espresse in
questi ultimi giorni. Le defezioni tra le fila del Cpr e di Ettakatol si
moltiplicano. All'interno di Ennahda le correnti sembrano aver preso il
sopravvento, del resto Hamadi Jebali - politico per definizione - non ha molto
a che vedere con Saddoq Chourou, che farcisce i suoi interventi all'Anc di
riferimenti coranici sulla conformità o meno di certi provvedimenti alla morale
religiosa.
L'errore
più grande, a questo punto, sarebbe legare la legittimità politica del governo
ancora in carica a quella elettorale dell'assemblea. Non è il momento di
distruggere, ma di ridefinire compiti e priorità, dell'Anc e del nuovo
esecutivo che uscirà da questa fase turbolenta. E' necessario che l'assemblea
si concentri esclusivamente sulla scrittura della costituzione e che un governo
di unità nazionale, meglio ancora di tecnici, provveda alle riforme "di
salute pubblica" - ad esempio la creazione di autorità indipendenti per la
regolazione dei media e della giustizia - rimaste bloccate dagli interessi di
parte. Tra le priorità del nuovo esecutivo dovrà rientrare anche l'allestimento
di un organismo indipendente per le future elezioni - sul modello dell'ISIE
- in grado di assicurare la neutralità degli apparati decisionali, su cui già
pesava l'ombra del sospetto.
L'iniziativa
di Jebali sembrava essere una soluzione, ma non ha raccolto i consensi
necessari. Aspettiamo di vedere se il tentativo del presidente Marzouki avrà
miglior fortuna. Di certo, un eventuale esito negativo delle concertazioni in
corso non farebbe che gettare nuova nebbia nel processo di transizione..
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