Si
intitola Dialy ("mio/a") ed
è l'ultima creazione della troupe di Rabat. Liberamente ispirato a The vagina monologues di Eve Ensler, lo
spettacolo è espressione dell'intimità femminile - oltre cento testimonianze
raccolte nella fase preparatoria - e solleva il sipario sul tema tabù della
sessualità. "La donna deve superare le inibizioni sociali e riconciliarsi
con il proprio corpo", il messaggio lanciato da Aquarium.
Perdendosi
tra le vie strette e chiassose del quartiere popolare Akkari, a pochi passi dal
capolinea del tram Rabat-Salé, può capitare di imbattersi in una vecchia
residenza dall'aria anonima, che nulla sembra invidiare alle modeste abitazioni
di rue Ezzaouia.
Ma,
superato il portone massiccio color azzurro, non è il tradizionale salone 'alla
marocchina', con i tavolini bassi pronti per il tè e i sofà disposti lungo il
perimetro delle pareti, a dare il benvenuto agli ospiti. Bensì un ampio patio
adibito a galleria espositiva e a teatro permanente, con tanto di palcoscenico e
stanze trasformate in camerini.
E'
il 'quartier generale' della compagnia Aquarium, da vent'anni promotrice di
iniziative culturali capaci di fondere attivismo sociale e performance
artistica, utilizzando il teatro come "mezzo di espressione
femminile". La troupe non fa mistero della sua vocazione a
"promuovere l'uguaglianza tra sessi e diffondere la cultura di genere
attraverso l'arte", come ribadito dallo statuto costitutivo
dell'associazione.
Ne
sono una testimonianza alcune tra le rappresentazioni più riuscite, tutte
rigorosamente in darija (variante
locale dell'arabo): ad esempio Chaqa'iq
nooman ("Papavero", termine utilizzato per indicare il ciclo
mestruale) che cerca di 'volgarizzare' i contenuti del nuovo codice di famiglia
(moudawwana
2004) a colpi di metafore popolari, oppure Hkayat
nssa ("Storie di donne") in cui viene data voce - tra le altre -
alle vittime di violenze coniugali, o ancora Tata M'barka, spettacolo incentrato sul calvario vissuto dalle bambine-domestiche.
Aquarium,
un laboratorio di femminismo? Sicuramente, ma non solo.
La
piccola realtà di Akkari è soprattutto un esperimento di cittadinanza attiva ben
radicato nel tessuto locale, un luogo di incontro e di scambio rivolto principalmente
agli abitanti del quartiere. E' così che, oltre agli atelier di teatro per
ragazzi, nella sede di rue Ezzaouia
si è tenuto tra il dicembre 2011 e il giugno 2012 un ciclo di appuntamenti
settimanali riservati esclusivamente alle donne - di estrazione e orizzonti
differenti - disposte a condividere il proprio vissuto in tema di sessualità e
il proprio rapporto con la verginità.
"Nella
società marocchina la maggior parte dell'universo femminile soffre di un
malessere fisico, legato al sentimento di rifiuto e di vergogna per il proprio
corpo, inculcato fin dalla tenera età da una mentalità tradizionalista se non
estremamente conservatrice", confessa la regista - e presidente
dell'associazione Aquarium - Naima Zitan. "Quando le donne prendono
coraggio e si decidono a parlarne, lo fanno quasi sempre in un circolo
ristretto di amiche o vicine. In questo modo le possibilità di arricchimento
personale e le prospettive di apertura restano limitate".
E'
proprio per fornire maggior risonanza a queste voci e per mettere a frutto le reciproche
esperienze che Aquarium ha lanciato la serie di incontri Voir en elles dove, superate le diffidenze iniziali, le
protagoniste hanno messo da parte timori e inibizioni per animare il dibattito.
Risultato, l'allestimento di un nuovo spettacolo - Dialy - presentato ufficialmente dalla compagnia nel gennaio scorso
(dopo alcune anteprime andate in scena nel 2012).
Tra tabboun e tabù
"Come si chiama
l'organo sessuale femminile in dialetto marocchino? Come? A voce alta per
favore, non si sente bene", gridano le tre
interpreti dell'opera, all'apertura del sipario. Così inizia Dialy, palcoscenico sobrio, un filo con mutande
appese di varie forme e colori come unico elemento scenografico. "Tabboun!" ("vagina"), incalzano
le stesse attrici tra i mormorii e qualche risata da parte del pubblico,
sorpreso nell'udire una parola comunemente considerata triviale e sconveniente.
Tabboun,
una parola appena sussurrata, tabù, come l'universo che riassume (la sessualità
femminile). In realtà, fa sapere Naima Zitan, durante gli incontri preparatori
promossi da Aquarium erano almeno una ventina i termini individuati per
indicare la vagina nel linguaggio quotidiano. "Ma la questione del nome, o
dei nomi, è solo una parte dello spettacolo, oltre che un buon escamotage da
cui partire per raccontare storie, per far rivivere - in forma anonima - le testimonianze
raccolte".
Un
escamotage per alcuni sufficiente a tracciare un parallelo diretto con l'opera
della statunitense Eve Ensler, The
Vagina Monologues (1996). "Inutile negare una certa
prossimità, anche per come è stata concepita la rappresentazione - continua la
Zitan - ma non si tratta di un semplice adattamento". Dialy possiede una specificità esclusivamente marocchina, spiega la
regista, "le angosce, le speranze e gli stati d'animo che racconta, persino
il modo di esprimerli sono saldamente ancorati al vissuto locale. E' un
tentativo di resistenza contro la 'circoncisione culturale' di cui la nostra
società è vittima e artefice allo stesso tempo".
Se
il testo della Ensler, infatti, considera la vagina come uno strumento di
emancipazione attraverso il quale ottenere una completa femminilità e
sviluppare la propria individualità, per la sceneggiatrice Maha Sano è prima di
tutto il bisogno di riconciliazione con il proprio corpo ad essere emerso con
forza durante gli atelier di Akkari, a cui hanno partecipato più di
centocinquanta donne. Una riconciliazione "che passa attraverso la
riappropriazione".
"Dialy! - è mio! -
ce l'ho addosso! Lo porto sempre con me, dappertutto: in camera, all'hammam, al
mercato, proprio dappertutto, persino alla moschea!", ribadisce sul palco
l'attrice Nouria Benbrahim, riferendosi al proprio tabboun.
Per
cinquanta minuti Aquarium accende i riflettori - in maniera tenera e
umoristica, ma mai superficiale - su un'intimità femminile ampiamente
sconosciuta. Negata. Ironizzare sui problemi e sulle umiliazioni che le donne
vivono ogni giorno diventa così uno sfogo, una sorta di catarsi.
Tra
i temi centrali dell'opera, c'è ovviamente quello della verginità, della
conservazione dell'imene elevata a valore morale e a norma sociale. "Una
costrizione iniqua che provoca le peggiori aberrazioni", afferma la Sano,
accennando ad alcune scene dello spettacolo.
Un uomo prende la sua
sposa nella prima notte di nozze mentre la sorella bussa alla porta senza
troppa reverenza chiedendo, "allora, è vergine o no?"; stesso
scenario, ma questa volta l'uomo copre il volto della sposa, fino quasi a
soffocarla, durante la deflorazione; oppure, una ragazza vittima di violenza,
sodomizzata, si confessa alla famiglia che reagisce ringraziando Dio perché la
figlia "è rimasta vergine, nonostante tutto".
Sano
e Zitan mostrano il loro talento nel mescolare il dramma al ridicolo, nel
dipingere situazioni paradossali. Come
quella di una donna seduta nel corridoio di un ospedale, in attesa del parto, a
cui il marito dice: "fammi uno squillo quando hai finito".
"Gli
uomini sarebbero dunque ridotti ad esseri bruti, insensibili e assetati di
sesso?", fanno notare alcuni osservatori alla fine della rappresentazione.
"Non si può certo negare il carattere patriarcale, anche violento, della
nostra società, soprattutto in certi contesti - replica la regista - Ma dietro
al machismo sono celate spesso insicurezze, ignoranza o veri e propri
complessi. Per questo, da un punto di vista didattico-terapeutico, credo che i
colleghi uomini dovrebbero avventurarsi nei 'monologhi del pene', facendo
emergere la loro sensibilità maschile".
L'intento
delle autrici resta quello di promuovere il rispetto reciproco, non certo
l'odio tra i sessi. Un tentativo coraggioso "di dissipare l'ipocrisia
sessuale dei marocchini, misticamente nascosta dietro l'ossessione della hchouma (vergogna)", fa presente
Abdelilah Bouasria (professore di Studi arabi al Monterey Institute in
California) nella sua 'ode alla femminilità' scritta
per celebrare la nuova avventura artistica di Aquarium. "Si tratta in
realtà un falso pudore, che non è sanzionato né dal Corano né dagli Hadith e
che ci riporta paradossalmente all'Europa vittoriana corrosa dal senso di colpa
cristiano".
Al
professor Bouasria fanno eco le parole della stessa Naima Zitan, che ha
recentemente invitato "i nostalgici dell'arte pulita" a rileggere la
letteratura erotica arabo-musulmana, "per rendersi conto della libertà di
creazione che si respirava già secoli fa".
Il
riferimento è ai commenti e alle reazioni negative suscitate da Dialy in certi ambienti conservatori,
tra cui il giornale di riferimento del PJD (partito islamico al governo, ndr) che ha accusato la compagnia di
"incoraggiare la provocazione e la dissolutezza". Tuttavia, né le
critiche né i discorsi moralizzatori (e nemmeno le velate minacce) sembrano intimidire
la troupe di Akkari: "la maggior parte dei nostri censori non ha nemmeno
visto lo spettacolo, sempre molto apprezzato dal pubblico. E in ogni caso, una
creazione che non sia capace di innescare un dibattito è una rivoluzione priva
di interesse", conclude la Zitan parafrasando Emma Goldman.
(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
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