Le
voci su un grave deterioramento della salute del Presidente si rincorrono ormai
da settimane, dentro e fuori i confini algerini. Mentre la stampa locale cerca
di far luce sul futuro della massima autorità del paese, il governo si vuole
rassicurante e censura gli allarmismi. La popolazione invece, in preda al
malessere sociale, rimane distante dalla politica e dai suoi retroscena.
A
fine aprile scorso il Capo dello Stato veniva ricoverato d'urgenza
nell'ospedale militare francese di Val-de-Grace in seguito ad una "leggera
ischemia […] senza conseguenze irreversibili", secondo le parole
pronunciate dal suo medico personale. Sulla vicenda da allora è sceso però un
blackout informativo, che ha agitato parte dell'opinione pubblica e della
classe politica locale. Le uscite recenti del Primo ministro Abdelmalek Sellal
(Fln), volte a rassicurare i cittadini sui "notevoli miglioramenti" di
Abdelaziz Bouteflika, non bastano a stemperare le polemiche e a cancellare le
voci secondo cui la situazione clinica sarebbe ben più grave di quanto si
voglia far credere.
E'
la conferma della "natura opaca" del regime, di cui - secondo la
ricercatrice Karima Direche - "è difficile definire i contorni".
"Di
certo il Capo dello Stato non è il solo a prendere le decisioni e fa parte di
una più vasta oligarchia che comprende i vertici militari, protagonisti indiscussi
della politica algerina fin dal colpo di stato del 1965 - spiegava l'accademica
in un'intervista rilasciata ad Osservatorioiraq poco
prima delle ultime elezioni parlamentari -. L'esercito resta la spina dorsale
del regime e mantiene un ruolo centrale nella cooptazione delle elite e dei
partiti incaricati dell'amministrazione di governo".
Anche
per questo gli algerini sono abituati alle lunghe assenze mediatiche del
Presidente settantaquattrenne che, pur essendo titolare delle principali
funzioni esecutive, sempre più di rado interviene direttamente (almeno in modo
visibile) nelle dinamiche politiche e sociali del paese. Le sue apparizioni in
pubblico avvengono con il contagocce, persino nei periodi di crisi più intensi come
le rivolte urbane scoppiate ad inizio 2011 o il sequestro-massacro di In Amenas nel gennaio scorso.
Inoltre
della presunta 'malattia' di Bouteflika, o di una certa 'stanchezza
presidenziale', si parla ormai da anni e non è certo l'aggravarsi delle sue
condizioni ad aver sorpreso la stampa locale, quanto piuttosto il silenzio
assoluto - in merito - delle autorità, che hanno reagito solo dopo le fughe di
notizie nei media francesi e il tentativo di rompere il tabù da parte di alcuni
giornali algerini.
Tra
i primi a lanciare l'allarme era stato il settimanale parigino Le Point che, citando fonti ministeriali dell'Esagono, aveva accennato a possibili
sviluppi drammatici sul ricovero della massima carica. Anche secondo due
quotidiani algerini, Bouteflika sarebbe entrato in coma. Ma il dossier
realizzato sull'argomento da Mon Journal
et Djaridati (versione arabofona del
primo) non è mai uscito nelle edicole.
Programmata
per domenica 19 maggio, la pubblicazione è stata bloccata dal Ministero della
comunicazione nel momento in cui i giornali erano in stampa. Il governo nega di
aver adottato il provvedimento di censura, ma lo stesso giorno il direttore di Mon Journal Hicham Aboud (ex funzionario
dei servizi segreti militari) è stato citato in giudizio dal tribunale di
Algeri per "attacco alla sicurezza dello Stato, all'unità nazionale, alla
stabilità e al bon funzionamento delle istituzioni". La motivazione, si
legge nel comunicato diffuso dalla Procura, risiede nei "propositi
tendenziosi" espressi da Aboud su alcuni media stranieri riguardo alla
salute del Presidente e nell'"impatto negativo" che questi avrebbero sull'opinione
pubblica.
Erano
quasi 15 anni che in Algeria - dove la carta stampata gode di una relativa
libertà di espressione nonostante la dipendenza dal finanziamento pubblicitario
pubblico e il monopolio statale sulla distribuzione - un giornale non finiva
sotto sequestro con il suo direttore trascinato in tribunale. Un duro colpo per
il settore, che ha subito reagito esprimendo solidarietà alla vittima del
bavaglio e allo stesso tempo inquietudine.
Il
sindacato di categoria ha "messo in guardia" l'esecutivo dalle
"tentazioni di un ritorno ai vecchi metodi fatti di ricatti e pressioni di
ogni genere", mentre per Reporters sans frontières (RSF) la decisione
delle autorità algerine è "incomprensibile e ingiustificata":
"anche se la diffusione di informazioni allarmanti sulla salute di un Capo
di Stato può suscitare emozione (…) non esistono ragioni sufficienti affinché
un tale argomento sia considerato tabù" spiega il comunicato di RSF, prima
di ribadire il diritto della popolazione ad essere informata, specie sulle
"conseguenze politiche che potrebbero derivare da un vuoto di
potere".
Kamel
Daoud, apprezzato giornalista al Quotidien
d'Oran, ricorda che è proprio l'imposizione del silenzio ad autorizzare
ogni sorta di deriva e speculazione sul futuro degli eventi. L'aver appreso dal
Quai d'Orsay (Ministero degli esteri francese) la notizia della permanenza di
Bouteflika a Parigi - trasferito recentemente in un'altra struttura ospedaliera
per 'ragioni di convalescenza', mentre il premier Sellal assicurava che, visti
i progressi, sarebbe stato dimesso - è per Daoud un motivo di profonda
"umiliazione".
La
riflessione di analisti e commentatori è unanime: "se la malattia non è
così preoccupante come dicono, perché non mostrano le immagini del
Presidente?".
A
spiegare il mutismo e la reticenza di Algeri, oltre alla scarsa trasparenza congenita
del regime, vi sono preoccupazioni maggiori legate alla 'successione'.
Abdelaziz Bouteflika, eletto nel 1999 a conclusione di un decennio di violenze
interne dove dietro alle stragi islamiste e al terrorismo si è celato lo
scontro tra clan militari orfani del 'timoniere' Houari Boumedienne, aveva
rappresentato una scelta condivisa dalle 'alte sfere' per uscire dall'impasse.
Bouteflika
già ministro degli Esteri nel post-indipendenza, sotto Ben Bella e poi
Boumedienne (1963-1979), ha così potuto insediarsi saldamente alla presidenza,
modificando perfino la costituzione per eludere il limite di due mandati previsto
dalla carta.
Rieletto
nel 2004 e poi nel 2009 (con notevoli riserve sulla regolarità degli scrutini),
nominato presidente ad honorem del Fronte di liberazione nazionale (Fln, ex
partito unico ancora largamente maggioritario in Parlamento), Bouteflika
sembrava destinato ad una nuova conferma elettorale nel 2014. Una sua uscita di
scena improvvisa - non concordata - potrebbe riaprire contrasti e spaccature
dietro alla facciata istituzionale, una prospettiva ancor più problematica se sommata
all'instabilità sociale
a cui è sottoposto il paese e i recenti scandali di corruzione
emersi in merito alla redistribuzione degli introiti petroliferi e alle
commesse per lo sfruttamento delle risorse energetiche.
Forse
anche per questo, oltre allo svilimento del ruolo della stampa, le autorità si
mostrano sorde alle richieste di alcuni partiti dell'opposizione parlamentare,
che vorrebbero l'applicazione dell'articolo 88 della costituzione. L'articolo
in questione prevede la destituzione del presidente in carica in caso di
"infermità grave e duratura" e di "impossibilità dell'esercizio
delle proprie funzioni".
Non
si fa illusioni, tuttavia, lo scrittore e giornalista Mohamed Benchicou, autore
di alcune opere critiche all'indirizzo del regime, tra cui Bouteflika: une imposture algérienne (2004). La penna dissidente,
che ha pagato con il carcere i propri scritti, spiega che "la costituzione
non è fatta per essere applicata ma per essere 'sfruttata' dai governanti. […]
I nostri hanno capito, in un mondo dove la democrazia e i suoi apparati
istituzionali sono divenuti una fonte di legittimità riconosciuta, che bisognava
adeguarsi e far finta di organizzare elezioni, chiamando in causa la
costituzione al bisogno e stando ben attenti, però, a che questo processo non
sfociasse in una reale alternanza".
L'ultimo
esempio in proposito è costituito dalle elezioni legislative del maggio scorso
che, nonostante l'enfasi riformista del regime e un contesto regionale di
primavere e cambiamento, hanno visto il trionfo dei due vecchi partiti 'di
amministrazione' (Fln, Rnd - Rassemblement national démocratique) e il mancato
allargamento, al contrario di quanto auspicato, della rappresentanza politica.
La stessa conformazione del governo, ad eccezione del primo ministro, è rimasta
sostanzialmente invariata da circa un decennio.
Altra
conferma della chiusura del sistema algerino, l'oscuro bilancio
fornito da Amnesty International sul rispetto dei diritti umani nel paese. Il
rapporto pubblicato pochi giorni fa dall'ong si sofferma sulle limitazioni
imposte alla libertà di espressione e associazione, sulle violazioni subite
dagli attivisti (persiste il divieto di manifestare ad Algeri) e sul ruolo
preponderante ancora detenuto dai servizi segreti militari (DRS, Département du
renseignement et de la sécurité) nella perpetuazione dei metodi repressivi.
Così,
a chi invoca la destituzione di Bouteflika in nome dell'articolo 88, Benchicou
ricorda con amarezza che "la malattia, per un Capo di Stato, è un handicap
soltanto in un contesto democratico. Per un autocrate è normale 'governare' anche
da un letto di ospedale. Non bisogna dimenticare che l'Algeria è il solo paese
al mondo dove il Consiglio dei ministri non si riunisce quasi mai, senza che
ciò desti il minimo scandalo".
L'amnesia
- travestita da "processo di riconciliazione" - imposta alla
popolazione dopo le atrocità vissute durante 'la decennie noire' ('90), dopo i quasi 200 mila morti e i circa 20
mila scomparsi (di cui le autorità non riconoscono l'esistenza), è ancora vissuta
come un trauma nazionale. I cittadini, sebbene alle prese con un alto tasso di
disoccupazione (soprattutto giovanile) e confrontati al clientelismo delle
amministrazioni, sembrano aver smarrito quel bisogno di 'chiedere il conto' che
li aveva spinti ai moti insurrezionali degli anni '80. La politica è oggi considerata
come una sfera impenetrabile, un'attività senza rapporti con la vita quotidiana
né con gli espedienti che questa comporta per la maggior parte della
popolazione.
"In
autocrazia - conclude duramente Benchicou - la questione del potere, o del modo
in cui esso viene esercitato, è di sola competenza dei dirigenti. Il popolo non
deve preoccuparsi di nulla: con o senza presidente, lo Stato continua a
funzionare. Del resto solo un'élite, o presunta tale, cerca di sapere la verità
sulla sua malattia. Il popolo,
invece, non si pone le domande sbagliate. Primo perché non ne ha i mezzi. Poi,
perché non sa che cosa farsene delle risposte. Tutto questo [le polemiche sul
ricovero di Bouteflika, nda] non lo
riguarda. Per lui, ormai, la politica non è altro che un passatempo riservato a
pochi iniziati, scrupolosi di conservare i propri interessi".
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