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sabato 25 maggio 2013

Melilla. Nel limbo dei migranti

Accampati nella foresta del Gurugù, lungo le pendici che si affacciano sull'enclave spagnola, i sub-sahariani in transito in Marocco restano nascosti e aspettano il momento adatto per scavalcare la rete di confine. L'ultimo tentativo ad inizio settimana scorsa a seguito del quale la polizia alawita ha stretto la morsa repressiva.

(Foto by Blasco de Avellaneda, Periodismo Humano)


(Traduzione dell'articolo scritto da Belen Amador per Periodismo Humano)
Nessuno sa esattamente dove si trovino. Fanno parte di quei 150 migranti che per ventiquattrore hanno occupato le prime pagine dei media locali e nazionali spagnoli. Ma tre giorni dopo il tentativo di scavalcare il reticolato di frontiera con il Marocco, nell'enclave spagnola di Melilla non si sa nulla dei 70 sub-sahariani che mancano tuttora all'appello. E' anche vero che sono ben pochi ad interessarsi del loro destino. Eccetto rare ong, nessuno fa domande sulla sorte di queste persone stanziate "alle porte" dell'agognata Europa.

Servirebbero indagini. Il ché non è affatto scontato, se si tiene conto delle difficoltà a cui sono confrontati i vicini marocchini che vogliono denunciare il trattamento riservato dalla polizia locale ai migranti in attesa del transito. Nonostante ciò, fonti in contatto con l'ospedale Hassani di Nador segnalano che sono stati accolti "diciannove feriti in seguito all'assalto della recinzione". Chiariscono, poi, che soltanto una delle ambulanze era accompagnata dalla polizia e che tre contusi hanno raggiunto la struttura con altri mezzi. "Erano malmessi, scalzi, non riuscivano a camminare, ma volevano lo stesso tornare alla foresta di Gurugù". Allo stesso tempo, la fonte sottolinea l'atteggiamento di alcuni marocchini che non hanno esitato a prestargli soccorso, fornendo scarpe e altro. "Un aiuto importante - conclude - per persone gravemente inferme e senza mezzi di sostentamento".

Ma il maltrattamento dei sub-sahariani non finisce qui. Durante la notte tra martedì e mercoledì (14-15 maggio, ndt), infatti, la gendarmeria alawita ha invaso gli insediamenti di fortuna dei migranti, "non solo quelli di Gurugù". In alcuni casi "hanno bruciato tutto, dai teli di plastica alle coperte", in altri - come l'accampamento formato essenzialmente da cittadini nigeriani - "hanno effettuato arresti" mentre alcuni dei presenti sono riusciti a fuggire. Le stesse fonti informano che la mattina di mercoledì due feriti, "di cui uno in gravi condizioni dopo aver ricevuto colpi al volto e alla testa", deambulavano storditi lungo la strada.

Anche l'agenzia stampa marocchina (Map) ha pubblicato una notizia sui fatti di inizio settimana, in cui assicura che vi sono indagini in corso sulla morte di un migrante. Le autorità "non hanno specificato se il rinvenimento del cadavere sia legato al tentativo di raggiungere l'enclave spagnola". Inoltre la Map informa che "durante l'assalto sono state arrestate 54 persone, tra cui 4 feriti ricoverati nell'ospedale di Nador". Periodismo Humano, tuttavia, ribadisce che sono stati 19 e non 4 i ricoveri nel centro ospedaliero.

Secondo un'altra dichiarazione rilasciata dalle autorità di Rabat, sempre diffusa dalla Map, "i candidati all'emigrazione illegale si sono mostrati particolarmente violenti e hanno lanciato pietre contro le forze dell'ordine". Affermazione smentita categoricamente da alcuni marocchini che vivono nei pressi del Rio Nano, luogo dove si è verificato il tentativo di ingresso lunedì scorso (13 maggio, ndt).

Abbiamo avuto modo di parlare con alcuni di loro, che ogni giorno attraversano la frontiera per venire a lavorare a Melilla. I testimoni assicurano: i sub-sahariani che non sono riusciti a saltare la rete, sono stati picchiati dalla polizia. "Non potevano nemmeno alzare la testa mentre ricevevano sempre più colpi e l'unica reazione possibile era mettersi le mani davanti alla faccia per cercare di proteggersi".

Alla domanda se in questi casi abbiano mai visto un migrante porsi in atteggiamento aggressivo rispondono di "no" senza esitare. "Ce ne saranno pure di violenti ma noi, durante tutti gli anni trascorsi qui, non ne abbiamo mai incontrato uno". Al contrario - aggiungono - "dell'atteggiamento inumano" riservato loro dalla polizia.

Definiscono i fatti di lunedì "un incubo". All'una di notte due furgoni della gendarmeria si sono fermati nelle vicinanze delle case. "Non ho parole per descrivere quello che ho visto", dice uno di loro e aggiunge con le lacrime agli occhi che gli agenti "pestavano senza pietà" cinque sub-sahariani mentre "altri otto erano già stati rinchiusi nelle camionette". Una scena, ammette l'interlocutore, frequente in questa zona (…) dove poi, l'indomani di ogni tentativo di attraversamento, è facile imbattersi nei feriti che non sono riusciti a passare. "Questa volta però non c'era nessuno", dice riferendosi allo scorso martedì mattina.

L'inasprimento della violenza, da parte degli agenti, preoccupa gli abitanti del Rio Nano. "La cosa peggiore è che, quando ci imbattiamo in questi eventi, il massimo che possiamo fare è gridare e chiedere che smettano", riferisce un altro residente della zona. "Tutti sanno cosa succede, il governo marocchino come quello spagnolo, ma entrambi fanno finta di non vedere". Loro invece non possono, non ci riescono. E ogni tanto fanno entrare in casa i migranti per prestargli un primo soccorso, anche solo per offrire dell'acqua. "Vengono scalzi, con le mani ancora insanguinate e i piedi scorticati dai sassi e dalle pietre su cui camminano".

Fonti differenti concordano sul fatto che le forze dell'orine marocchine stiano operando con crescente brutalità nelle ultime due settimane, dopo che circa 200 sub-sahariani hanno tentato l'accesso al territorio spagnolo, una settantina con successo.

Ma la morsa non si stringe solo attorno ai candidati all'emigrazione. Lo scorso 25 aprile il fotografo Gianfranco Tripodo, accompagnato da un collega, è stato ugualmente oggetto delle 'attenzioni' della polizia marocchina.

"Volevamo realizzare un reportage sugli accampamenti del Gurugù" confida il fotografo. (…) I primi due giorni sono trascorsi senza problemi, il terzo però è andato in modo differente. "I migranti ci hanno avvertiti che la polizia pattugliava la zona, per questo siamo rimasti nascosti, un po' distanti dagli accampamenti". Tornati alla macchina hanno però trovato ad attenderli un furgone della gendarmeria e vari agenti in borghese.

"Dopo averci chiesto che cosa stavamo facendo lì ed aver controllato i passaporti, ci hanno portato in commissariato per scrivere i verbali". Il fotografo riconosce che l'atteggiamento dei poliziotti non è stato aggressivo, "sebbene il fatto che eravamo giornalisti ci sia valso non pochi rimproveri". Dopo due ore di fermo, in cui sono state passate al vaglio tutte le immagini raccolte, i due sono stati rilasciati con il chiaro avvertimento di non tornare più. Lo stesso era successo poco prima ad altri due giornalisti, un australiano e un marocchino.

E' una pressione costante quella che incombe su chiunque cerchi di avvicinarsi al Gurugù. "Vogliamo solo portare acqua e qualcosa da mangiare", afferma un cittadino di Nador, "ma non ci lasciano passare", prosegue poi riferendosi alle camionette della gendarmeria marocchina - quelle con i vetri oscurati utilizzate per ricacciare i migranti al confine con l'Algeria (oltre Oujda, ad est, ndt) - che pattugliano costantemente la zona montuosa di frontiera.

"Non è che non ci importi di loro", spiegano i vicini marocchini, "ma in queste condizioni non possiamo fare gran ché". Intanto i giorni passano e le aggressioni contro queste persone, il cui unico delitto è quello di cercare un futuro più dignitoso, continuano.

(Traduzione pubblicata in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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